The Umbrella Academy: Stagione Uno – La difficoltà di essere straordinari | Recensione

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Umbrella Academy Stagione 1

Quando nel 2007, il cantante dei My Chemical Romance Gerard Way, reduce dal grandioso successo dell’album “The Black Parade”, decise di intraprendere la carriera di scrittore di fumetti, nessuno si sarebbe mai aspettato che quello sarebbe stata la nascita di un’autore di tutto rispetto. Inizialmente tutto faceva pensare ad una delle tante incursioni nel mondo del fumetto one time only di un personaggio del mondo dell’intrattenimento, ma non fu affatto così, Way con la prima miniserie dedicata alla Umbrella Academy lasciò subito il segno in quello che in futuro sarebbe diventato il posto della sua seconda giovinezza, arrivando addirittura a vincere un Eisner Awards – premio che possiamo definire come l’Oscar del fumetto.

Visto il grande successo del fumetto, Dark Horse tentò sin da subito di realizzare una trasposizione dell’opera di Way, inizialmente optando per una versione cinematografica sceneggiata da Mark Bomback, successivamente sostituito da Rawson Marshall Thurber nel 2010, versione di cui si sarebbe dovuta occupare la Universal. Arenata la produzione della versione cinematografica, nel luglio del 2015 è stato annunciato che The Umbrella Academy sarebbe stata adattata in una serie televisiva, piuttosto che in un film originale, prodotta dalla sezione televisiva della Universal. Dopo 2 anni di silenzio arrivò l’annuncio tanto sperato dai fan del fumetto, la produzione della serie sarebbe iniziata nei primi mesi del 2018 e ad occuparsi della distribuzione sarebbe stata niente meno che Netflix. Ed arriviamo ad oggi, quando a 12 anni di distanza dal successo de “La Suite dell’Apocalisse” – questo il nome della prima miniserie dedicata all’Umbrella Academy – approda finalmente su Netflix la prima stagione dello show tratto dall’opera prima di Gerard Way. Ma dopo tutti questi anni di attesa ne è davvero valsa la pena? Beh, direi proprio di Si.

Nello stesso giorno del 1989, quarantatré neonati nascono in svariate parti del mondo da donne che non si conoscono e che fino al giorno prima non avevano mostrato segni di alcuna gravidanza. Sette vengono adottati da Sir Reginald Hargreeves, un industriale miliardario, che dà vita all’Umbrella Academy e prepara i suoi “bambini” a salvare il mondo. Putroppo però non tutto va come pianificato. Negli anni dell’adolescenza, infatti fratture interne alla famiglia portano allo scioglimento della squadra e sarà solo la morte di Hargreeves a riavvicinare i sei membri sopravvissuti, dopo diciassette anni di allontanamento. Luther, Diego, Allison, Klaus, Vanya e Numero 5 collaborano per cercare di scoprire cosa si cela dietro la misteriosa morte del padre. Ma la famiglia così ricomposta è nuovamente divisa dalle personalità divergenti e dalle abilità contrastanti, oltre che dall’imminente minaccia di un’apocalisse globale.

La serie, composta da 10 episodi dalla durata di circa un’ora ciascuno, basa la sua trama principalmente sugli avvenimenti narrati ne La Suite dell’Apocalisse, rielaborandone però la trama ed esplorando maggiormente la psicologia del personaggi. Come si evinceva anche dai primi trailer, non mancano però delle sottotrame estrapolate da Dallas, ovvero la seconda miniserie originale, una su tutte la presenza dei due killer temporali Hazel e Cha-Cha.

La serie mette da parte un po’ dell’eccentricità che contraddistingue l’opera di Way, ponendo però maggiormente l’accento sullo sviluppo dei personaggi, che acquisiscono maggiore tridimensionalità rispetto alla controparte cartacea. Invariate restano invece le tematiche. Anche nella serie ritroviamo il tema della discriminazione, la solitudine e l’abuso di alcol e droghe, in quello che è praticamente una versione 2.0 del ciclo della Fenice Nera degli X-Men, trasposta decisamente in modo più dignitoso ed incisivo rispetto ad X-Men Conflitto Finale. Lo svolgimento della trama risulta solido, ricco di ottime trovate ed espedienti narrativi, riuscendo a costruire gradualmente dei colpi di scena ben pensati. In alcuni momenti gli eventi risultano un po’ troppo dilatati, rimandando risoluzioni per allungare il minutaggio di alcuni episodi. Questo è si un difetto, ma al contempo questa dilatazione risulta utile per espandere il world building e la psicologia di certi personaggi, come ad esempio Klaus, personaggio complesso e molto approfondito che ci permette, grazie al suo potere, di conoscere Ben, il settimo fratello morto anni prima delle vicende trattate, e, soprattutto, Hazel e Cha-Cha che, nella trasposizione televisiva, acquisiscono un fascino tutto nuovo, arrivando fino a sembrare personaggi usciti da un film di Quentin Tarantino.

Un valore aggiunto risiede nella scelta del cast che, pur presentando attori alle prime esperienze come David CastañedaEmmy Raver-LampmanAidan Gallagher, risulta solito e ben sfruttato. Ovviamente su tutti spiccano le interpretazione dei veterani, ovvero Ellen Page nel ruolo di Vanya, la solitaria settima sorella priva di poteri, e Robert Sheehan che, nella parte del medium strafatto Klaus, da sfogo a tutta la sua verve interpretativa. Non da meno la cantante Mary J. Blige che conferma le ottime impressioni date nel 2017 nel film targato Netflix Mudbound. Tra tutti però spicca la performance dell’insospettabile Aidan Gallagher, il giovane attore che dona vita ad uno splendido e brillante Numero 5.

La regia degli episodi è solida e non priva di particolari virtuosismi, una regia tutto sommato nella media, priva di difetti ed evidenti errori di montaggio, oltre che impreziosita da alcune scene dal forte impatto visivo e simbolico, come quella nella quale i protagonisti ballano contemporaneamente su una stessa canzone ma in stanze diverse della stessa casa, che per l’occasione, durante questa sequenza la sequenza si trasforma in una sorta di casa delle bambole.

Gli effetti speciali sono di buon livello, in linea con gli standard del media. Certamente in alcune scene il peso del budget limitato si fa sentire, ma viene ben camuffato da movimenti di camera e giochi di luci, mentre in altri casi la CGI è a livelli davvero notevoli, come nella realizzazione della scimmia Pogo, viva e dettagliata perfettamente. Ottimo il connubio tra la colonna sonora strumentale di Jeff Russo e la selezione di brani già noti, tra i quali troviamo 2 cover realizzate appositamente per la serie dallo stesso Gerard Way e una ad opera di Mary J. Blige.

In conclusione, The Umbrella Academy è sicuramente una serie di ottimo livello, ricca di personaggi peculiari ed espedienti narrativi intriganti. Il finale, perfettamente in linea con quello della controparte cartacea, che però lascia la risoluzione aperta con un cliffhanger che fa da trampolino per una seconda stagione. Unico “rammarico” risiede nel fatto che, con un pizzico di follia alla Dirk Gently e di coraggio in più, sarebbe potuta diventare tranquillamente uno dei prodotti originali più brillanti di Netflix.

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