A cinque anni dall’odiato – e amato – Madre! con Jennifer Lawrence e Javier Bardem, il regista Darren Aronofsky torna al cinema con una pellicola che si inserisce perfettamente all’interno della sua filmografia, distaccandosi però da quell’aura di disturbante che lo ha per molto tempo accompagnato. Adattamento cinematografico dell’omonima pièce teatrale di Samuel D. Hunter, autore anche della sceneggiatura del film, The Whale vede tra i protagonisti la giovanissima Sadie Sink, reduce del successo di Stranger Things, la nominata all’Oscar come migliore attrice non protagonista per il ruolo Hong Chau, il giovane Ty Simpkins (Avengers: Endgame), Samantha Morton (Accordi e Disaccordi) e l’acclamatissimo ritorno sulle scene di un immenso Brendan Fraser. Dopo essere stato presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia lo scorso settembre, il film arriva finalmente nelle sale a partire dal 23 febbraio.
Charlie (Brendan Fraser), un insegnante di inglese che soffre di grave obesità deve confrontarsi con i propri fantasmi e un amore mai rivelato che lo tormentano da anni, nonché con un rapporto irrisolto con la figlia adolescente Ellie (Sadie Sink), per un’ultima possibilità di redenzione. Una settimana nella vita di Charlie in cui tutto il suo mondo sembra essere costituito dall’amica e infermiera Liz (Hong Chau) e dall’arrivo dello strambo Thomas (Ty Simpkins) membro della chiesa New Life.
Con The Whale, Darren Aronofsky confeziona un dramma da camera in piena regola, ambientando l’intera azione all’interno delle mura dell’appartamento di Charlie in quella che è attualmente la sua pellicola più struggente. Seguendo un fil rouge che collega l’intera filmografia del regista, The Whale dialoga perfettamente con un suo altro grande film, The Wrestler con Mickey Rourke ed Evan Rachel Wood, in cui il rapporto padre/figlia era quasi alla base della narrazione. Abbandonati però i flash e i ring del wrestling, con The Whale la narrazione si fa più intima, cupa e decisamente più drammatica. Realizzato in 4:3, modalità di immagine sempre più adottata dal cinema contemporaneo, il film sfrutta questa modalità per non allontanarsi mai dai suoi personaggi, prediligendo primi piani intensi e limitati movimenti di macchina che lasciano spazio a dialoghi ed emozioni. Se si vuole continuare con un parallelo con la filmografia di Aronofsky, il film segue Noah, del 2014 e Madre! del 2017, in cui l’autore da una sua personale visione della religione, nel primo caso appunto il Diluvio Universale, nel secondo la riscrittura della Bibbia. In questo caso, nonostante la tematica religiosa non sia alla base, pervade un senso di redenzione personale che vede nell’ultimo atto della pellicola la sua massima messa in scena che potrebbe facilmente accostarlo alle pellicole appena menzionate. Ad essere presa in considerazione questa volta è forse la più grande opera della letteratura americana, Moby Dick di Herman Melville. Il protagonista è ossessionato dall’analisi di questo testo, tanto da ripetersi come mantra alcune tesine dei suoi studenti proprio nei momenti di difficoltà, ricordando a lui stesso e agli altri, come Melville scrive, la libertà di esistere, di vivere.
In modo freddo ed estremamente asciutto, il regista, abbandonando inutili patetismi che avrebbero potuto permeare l’intera opera visto il tema portante, esplorando le più recondite emozioni umane in un crescendo emotivo che trova il suo apice di drammaticità proprio in quel finale e in quel silenzio assordante mediante il quale l’intera opera si conclude. Basato sull’omonima pièce teatrale di Hunter, Aronofsky decide di mantenere l’azione all’interno dello striminzito appartamento di Charlie che sembra una cella, una trappola per il protagonista che a causa della sua grave obesità si è ritirato a vita privata tenendo delle lezioni di letteratura on line, rigorosamente a telecamera spenta. L’obesità non è il tema portante della pellicola, è solo una condizione di Charlie, che in seguito ad un drammatico evento, vede la sua intera esistenza collassare. Il delicatissimo tema dell’obesità che il film tratta però non sembra esser stato apprezzato da tutti. In particolare l’esperta di “fat studies” Roxanne Gay ha redatto un intero editoriale sul New York Times esaltando la performance di Brendan Frser ma scagliandosi contro la rappresentazione che il film fa di un corpo grasso.

Una pellicola che parla di emozioni, ma anche di corpi, di ossessione, tutte tematiche care al regista de Il Cigno Nero, noto per il suo modus operandi decisamente estremo e disturbante. The Whale al contrario, non è nulla di tutto ciò. Estremamente equilibrato per tutta la sua durata, vede solo nella parte finale la vera e propria esplosione emotiva, raggiunta grazie alle premesse che la pellicola aveva gettato fino a quel momento. Composto da un cast di soli cinque membri, le tre punte di diamante non possono che essere Brendan Fraser, Sadie Sink e Hong Chau. La giovanissima Sink, dopo aver dimostrato un’ottima capacità in ruoli drammatici con la sua interpretazione di Max in Stranger Things, veste qui i panni dell’adolescente Ellie, la figlia di Charlie, alla ricerca di un rapporto con il padre lontano ormai da anni. Ellie è tutto ciò che un adolescente può essere: cinica, cattiva, spregiudicata nei confronti di quel genitore che l’ha abbandonata. Il ruolo che interpreta è crudele, antipatico ma paradossalmente genuino. Hong Chau veste i panni di Liz, unica amica di Charlie e sua infermiera che lo aiutata in qualsiasi cosa. Liz si trova di fronte ad un bivio, aiutarlo o assecondarlo, purtroppo molte volte a vincere è proprio la seconda strada. Ma è Charlie il fulcro dell’intera storia, un uomo di quasi due metri per quasi trecento chili che nonostante la sua stazza sembra un bambino indifeso, interpretato da uno straordinario Brendan Fraser di ritorno sul grande schermo dopo lo stop alla sua carriera a causa di una denuncia di molestie nei confronti dell’ex presidente della Hollywood Foreign Press Association, Philip Derk ancora prima del movimento #MeToo. Fraser regala una performance corporea ed estremamente commovente, in cui si fa centrale la mimica facciale e le emozioni trasmesse da una scrittura potente.
The Whale non è solo il grande ritorno di Brendan Fraser sulle scene, ma anche il ritorno di Darren Aronofsky dopo due film come Noah e Madre! non particolarmente apprezzati. Partendo da un’analisi di Moby Dick di Melville, il film è una vera e proprio escalation emotiva in pieno stile Aronofsky, lontano però da quell’approccio disturbante e contorto che molte volte caratterizza la filmografia dell’autore. Pellicola composta da soli cinque membri, è un dramma da camera a tutti gli effetti, dove regna sovrana l’interpretazione di un magnetico Brendan Fraser e di una giovanissima Sadie Sink in un ruolo estremamente complesso. Un film che parla di corpi, di ossessione, di famiglia e di lutto capace di scavare un profondo abisso negli occhi di chi si siederà per assistergli.
The Whale arriva nelle sale cinematografiche a partire dal 23 febbraio. Ecco il trailer italiano del film: