Leggere A Babbo Morto, la storia natalizia di Zerocalcare, si è rivelata essere un’esperienza amara e anche abbastanza straniante. Presentata come, appunto, una storia di Natale, le 80 pagine edite da BAO Publishing sono in realtà un forte strumento di critica sociale e politica. Effettivamente, da un autore come Zerocalcare non ci si aspetterebbe di meno, ma in questo caso la metafora è tutt’altro che sottile, e il lettore se ne renderà conto in maniera sempre più evidente.
Babbo Natale è morto. Questo è il casus belli che dà il via agli eventi della storia, che diventa subito una storia di incertezze, dubbi, paure e rumore. I folletti della sua azienda, morto il loro capo, iniziano ad esser messi ai limiti della società e vengono discriminati da una comunità che non vede più in loro alcun tipo di utilità. La situazione è critica e come spesso succede nel mondo reale, sfocia nella violenza e in una serie di rivolte che però finiscono per generare più caos che una vera e propria rivoluzione. In tutto questo, l’ombra di una multinazionale si fa sempre più definita sulle sorti del Natale.
Parlare della storia di A Babbo Morto non è facile. Purtroppo. Purtroppo perché ci sarebbe veramente tanto da dire: Michele Rech decide di abbandonare quel parlare tra le righe che lo contraddistingue e questa volta la sua critica si immerge in questa sorta di mondo simi-fantastico e simil-reale in cui il lettore, se ha un minimo di conoscenza del contesto politico e sociale odierno, si ritroverà senz’ombra di dubbio.
La struttura della storia è particolare, anche per un autore come Zerocalcare che ha spesso abituato i suoi lettori a tipi di narrazione originali e diversi: A Babbo Morto è fatto di “quadretti” con descrizione, che di solito immortalano e ricordano un momento felice che si è vissuto, qui invece fissano nella memoria una serie di momenti critici del mondo che l’autore sta raccontando. Ecco dunque l’incidente di Babbo Natale, la sua morte, i problemi del figlio, le rivolte delle rider di Be.Fana, le discriminazioni dei folletti e via dicendo. Il tutto contornato sempre da decorazioni natalizie che contribuiscono ad una sensazione disturbante che Zerocalcare sicuramente, con l’andare avanti delle pagine, vuole instillare nel lettore. Gli episodi che poi meritano, o meglio necessitano, un ulteriore approfondimento, presentano delle note a piè di pagina e, se non dovesse bastare, qualche pagina di racconto a fumetti in bianco e nero, in perfetto stile sopra le righe come gli amanti dell’autore di Rebibbia ben sanno.
Questa tipologia di struttura, che, de facto, vuol raccontare solo i punti salienti di una storia ben più ampia ed estremamente tragica, mette in risalto le contraddizioni di un mondo fiabesco e, a livello puramente teorico, magico che altro non è che un focus su tutte quelle situazioni che hanno afflitto l’Italia negli ultimi anni: impossibile infatti non notare riferimenti al G8 di Genova (argomento già ampiamente trattato in altri lavori di Zerocalcare, avendolo l’autore vissuto in prima persona), alla vicenda di Stefano Cucchi, alle problematiche legate allo sfruttamento dei lavoratori nel settore della logistica o la discriminazione che parte dalla popolazione ma viene aizzata dalle forze politiche. Proprio per tutte queste motivazioni, Zerocalcare ha deciso di narrare la sua critica e le sue sferzate alla società in maniera ben più diretta di quanto non fosse abituato a fare. A Babbo Morto, infatti, è una storia che ha un duplice livello di lettura, se non addirittura triplice. Nel primo, ci si ferma a leggere ciò che c’è scritto e lo si interpreta come una narrazione fittizia. Tragica e straniante, trattandosi di una storia di Natale, ma pur sempre fittizia. Se nel primo livello di lettura non c’è alcuna percezione di critica sociale, nel secondo il lettore potrebbe iniziare a odorare la cosa, e magari incuriosito, potrebbe cercare di informarsi in maniera più concreta e attaccata alla realtà. Nel terzo livello di lettura si ritrova chi riesce perfettamente a comprendere ciò che ha tra le mani e, soprattutto, si accorge della profondità della storia.
Ecco, la profondità forse è uno dei problemi di A Babbo Morto, perché nelle 80 pagine vengono piantati diversi semi che però non tutti riescono ad attecchire. Diversi episodi sono unicamente accennati e non vengono tributati del giusto spazio che meriterebbero. Probabilmente perché nelle intenzioni dell’autore c’è la voglia di far capire al lettore il cosiddetto “andazzo” di quel mondo, e fargli trarre da solo le conclusioni su determinate situazioni che, dunque, vengono soltanto presentate.
Infine, una piccola nota a margine: Zerocalcare ha realizzato anche un audiolibro per A Babbo Morto, presente in esclusiva su Storytel. La storia è narrata dallo stesso Michele Rech e le voci secondarie sono affidate a Neri Marcorè e Caterina Guzzanti. Sicuramente si tratta di un bell’esperimento che contribuisce a render vivi i figuranti, più che personaggi, della storia. Un modo interessante di sopperire a tutti quei protagonisti come l’Armadillo, Secco e l’Amico Cinghiale che, pur essendo cartacei, ormai vivono di vita propria, pur essendo dei semplici “disegnetti”, come li chiama lo stesso Zerocalcare.
In conclusione, A Babbo Morto è una storia di Natale che di natalizio, in realtà, ha ben poco. Zerocalcare vuol raccontare una storia fatta di paure, violenze e discriminazioni, e per assurdo sceglie il periodo più magico dell’anno per farlo, magari per basare tutta la narrazione su un gioco di contrasti estremamente disturbanti che mette in luce i retroscena di una società, fiabesca ma non troppo, che aspetta solo il giusto casus belli per esplodere. Peccato che le 80 pagine lascino un senso di incompiutezza, ma il risultato finale è sicuramente di livello e lascia i lettori con la voglia di vedere nuovamente qualcosa di simile, facendosi trovare pronti ad ascoltare ancora una volta la voce dell’autore di Rebibbia.