Aquaman di James Wan | Recensione

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Aquaman rappresenta l’inizio di una nuova fase del progetto cinematografico Warner/DC. Dopo i magri risultati di Justice League, l’intento della major è quello di puntare su film fruibili singolarmente, e che narrino le gesta di personaggi meno noti rispetto ai celebri Batman e Superman. La pellicola diretta da James Wan rispetta entrambi i requisiti, e cerca di riabilitare la figura del Re di Atlantide, spesso oggetto di scherno, presso il grande pubblico. Il risultato è, purtroppo, una lezione esaustiva di 2 ore e 20 minuti su come NON si dovrebbe realizzare un buon film d’intrattenimento.

Aquaman è un agglomerato informe di effetti visivi dozzinali e di rumore visivo proiettato sullo schermo senza alcun riguardo. La CGI è forse la peggiore che si sia vista in tempi recenti all’interno di blockbuster ad alto budget, e fa rimpiangere quella di Venom. Intere sequenze sono paragonabili ai filmati di un videogioco, data l’assenza totale di elementi tangibili. Legittimo l’ampio utilizzo di effetti visivi per ricreare gli ambienti sottomarini, ma anche i momenti collocati sulla terraferma sono stracolmi di green-screen visibili ad occhio nudo. Considerata la scarsa qualità dei pochi oggetti di scena presenti, come armature atlantidee equiparabili a quelle dei Power Rangers, forse è stato meglio così. Il disastroso impianto visivo è soltanto la punta dell’iceberg. Il problema principale è il protagonista del film che, nonostante le premesse, non è Aquaman, bensì Jason Momoa.

La sceneggiatura è stata scritta con il solo e unico scopo di valorizzare in tutti i modi l’attore. Lo stesso vale per la regia, ricca di ralenty da videoclip per mettere in risalto i suoi bicipiti e, all’occorrenza, anche le forme di Amber Heard, con chiaro intento onanistico. Jason Momoa è sicuramente una persona molto simpatica nella vita reale, ma ha pochi tratti in comune con il personaggio fumettistico che dovrebbe interpretare. Il risultato? Aquaman, nel film, è un idiota insopportabile, un rozzo ebete privo della benché minima evoluzione psicologica. Di tanto in tanto, viene abbozzato qualche tentativo di approfondimento, ma senza alcun risultato. E’ dunque molto difficile prendere sul serio una storia dalle pretese epiche, e che invece si perde in sequenze che sfociano nel trash più becero ed imbarazzante. Le gag sono stupide, puerili, e fanno rimpiangere le peggiori battute dei Marvel Studios. Alcuni picchi grotteschi di demenza lasciano davvero spiazzati e disorientati. A peggiorare il tutto, la scelta, palesemente presa in post-produzione, di inserire brani di musica pop nella colonna sonora. L’agghiacciante cover di “Africa” dei Toto “cantata” da Pitbull è l’accompagnamento di una scena che rappresenta l’apice del disagio cinematografico più autentico.

A livello registico, è ravvisabile qualche guizzo, specie in una sequenza dal sapore horror tanto caro a James Wan. Alcune scene action in superficie sono gradevoli, ma quelle sott’acqua sono a dir poco incomprensibili, fino al punto in cui è impossibile distinguere i contendenti di un duello. Poca fantasia anche nella messa in scena, laddove l’unico modo per interrompere una discussione tra due interlocutori sembra quello di fare esplodere qualcosa. Come se non bastasse, Wan non ha diretto al meglio il cast. Gli attori continuano ad urlare istericamente, a recitare con un’enfasi ingiustificata, e a pronunciare i nomi dei propri personaggi come nei fumetti degli anni ’60. Del resto, si poteva fare ben poco con uno script ricco di cliché visti e stravisti, di spiegoni innaturali e ingiustificati che tentano in tutti i modi di creare una mitologia interessante. Le informazioni, però, vengono snocciolate in maniera troppo rapida, così com’è fin troppo rapido il ritmo nella prima parte. E’ dunque impossibile metabolizzare tutto quello che accade, e diversi colpi di scena non hanno impatto proprio perché privi di una costruzione metodica e ragionata. I personaggi, poi, viaggiano nella mediocrità più assoluta: sono caratterizzati in modo superficiale nel migliore dei casi, schizofrenico e insensato nel peggiore. Basti pensare ad Ocean Master, un cattivo privo del benché minimo spessore. Un vero peccato, perché le sue motivazioni, se approfondite, avrebbero potuto connotare il film di un messaggio ambientalista molto spontaneo e interessante.

Ma Aquaman è un progetto senza coraggio, che si rifugia continuamente nei territori dell’usato sicuro, strizzando ripetutamente l’occhio a “Star Wars”, a “Indiana Jones”, persino a “Tron Legacy”. Il risultato è una pellicola derivativa priva della benché minima identità, e che fa toccare al filone dei cinecomic vette di manierismo preoccupante. L’ennesima dimostrazione della mancanza di fiducia della DC nei propri personaggi, continuamente distorti per reagire alle tendenze imperanti. Aquaman diventa quindi l’ennesimo supereroe strafottente e ridanciano a tutti i costi, all’interno di un lungometraggio schizzoide, trash a più riprese, e che sa soltanto quello che non è: un bel film.