Dopo le travagliate vicende private che l’hanno tenuto fuori dalle scene per qualche anno e, soprattutto, dopo la sua chiacchieratissima versione di Justice League realizzata a furor di popolo, Zack Snyder sbarca su Netflix con il ritorno ad un genere a lui assai caro, lo zombie movie, grazie ad Army of the Dead. Nel 2004 uscì il remake di Dawn of the Dead di George Romero, firmato appunto dallo stesso Snyder con il titolo di L’alba dei morti viventi, particolarmente apprezzato a livello di critica anche per la visione personale della tematica e la devozione mai pedissequa verso l’opera di Romero. Army of the Dead, invece, che ha l’intenzione di continuare, almeno idealmente l’infinita saga degli zombie sul grande schermo, si discosta decisamente dai canoni romeriani, trasformandosi in un grosso blockbuster d’azione volutamente trash misto ad un classico heist movie. 

Dopo una rapida infezione a macchia d’olio, i morti viventi hanno messo a ferro e fuoco la città di Las Vegas – come brevemente narrato negli splendidi titoli di testa che ci regalano dettagli della vita passata dei protagonisti sopra le note di una fantastica cover di Viva Las Vegas di Elvis Presley – la quale ora versa in uno stato di completo abbandono isolata dal resto della civiltà. La vera e propria trama del film inizia però quando Scott Ward (interpretato dal sempre impeccabile Dave Bautista) riceve la proposta da parte del potente Bly Tanaka (Hiroyuki Sanada) di penetrare in un caveau nei sotterranei di Las Vegas per recuperare la somma di 200 milioni di dollari lasciata indietro durante la fuga dalla città. Scott assembla così la sua squadra suicida: un eterogeneo gruppo di addetti a mansioni speciali e specifiche per entrare nelle mura di Las Vegas, affrontare gli zombie e portare via il denaro rimasto. Il nutrito gruppo comprende esperti nella lotta agli zombie, come Maria Cruz (Ana de la Reguera), Vanderhoe (Omari Hardwick), Mikey Guzman (Raùl Castillo) e Chambers (Samantha Win); un pilota di elicottero, necessario per la fuga (Tig Notaro); uno scassinatore per l’avanzatissima cassaforte (Matthias Schweighöfer, futuro regista del prequel del film); una fastidiosa guardia del campo di quarantena (Theo Rossi); Coyote (Nora Arnezeder), una contrabbandiera di uomini con grandi conoscenze della città e il braccio destro di Tanaka, Martin (Garret Dillahunt).

Purtroppo, dell’enorme lista di nominativi appena citati, pochi riescono a rimanere impressi nella testa dello spettatore, sia in termini attoriali che di evoluzione del personaggio: con Bautista letteralmente una spanna sopra al resto del cast, solo Matthias Schweighöfer fornisce una prova davvero interessante e lontana dal piattume generale, costituito da personaggi stereotipati e doti attoriali che navigano nella completa mediocrità.

In un mare di soluzioni narrative scontate, plot twist deboli e dialoghi scialbi, sono poche le note davvero interessanti a livello di sceneggiatura: Snyder rielabora in modo intelligente la tematica sociale degli zombie di Romero, il quale criticava la lobotomia collettiva della società americana totalmente asservita al consumismo e al capitale (particolarmente evidente nella celebre scena del supermercato), collocando il nucleo degli eventi tra le rovine post-apocalittiche di Las Vegas, piuttosto nota per essere la città simbolo della vita dissoluta. Ciò che Snyder innova in modo particolare, però, distaccandosi completamente dall’archetipo di zombie è l’organizzazione sociale dei morti viventi, tratto che può piacere o meno durante la visione del film, ma senza dubbio interessante: le creature hanno costituito, infatti, una propria società con tanto di gerarchie e ruoli ben definiti la quale, capovolgendo il punto di vista della narrazione, vede nella strampalata banda impegnata nella rapina l’immagine degli invasori venuti a distruggere la barbara perfezione in cui sono immersi. Da sottolineare, inoltre, numerose forzature di trama, tra cui spicca la storyline della figlia di Scott, che si unisce alla squadra per recuperare una sua amica mai tornata dalle rovine di Las Vegas, totalmente sterile ai fini della trama se non creando snodi narrativi forzati e successivamente dimenticati.

Dal punto di vista della regia, Zack Snyder gioca molto (forse) troppo con la messa a fuoco per la prima volta in carriera, risultando però fastidioso e spesso privo di significato; per il resto, si diverte a sperimentare molto con le inquadrature tipiche dell’action, creando soluzioni visive gradevoli. Ciò che risulta completamente nuovo nella filmografia di Snyder con Army of the Dead, però, è la fotografia, stavolta gestita dal regista stesso: benché il principio della pellicola possa far immaginare un’opera sui soliti toni dark con sporadici punti di luce, com’è tipico di Snyder, il resto del film pone particolarmente e straordinariamente l’accento sulla luce solare che pervade le rovine di Las Vegas, in completa controtendenza con la notte perpetua che popola le ambientazioni tipiche degli zombie movie.

In conclusione, Army of the Dead non rivoluziona, almeno positivamente, il genere dello zombie horror, rivisitandolo in chiave action con gli stilemi dell’heist movie, senz’altro interessante: la pellicola si rivela un film d’azione buono per una serata tra amici in cui è possibile ridere per le svolte trash della trama e per l’azione esageratissima e tamarra, ma è ben lontano dal possedere anche solo minimamente la ricercatezza di un’opera cinematografica di alto livello.


Army of the Dead sarà disponibile su Netflix a partire da venerdì 21 Maggio. Di seguito il trailer ufficiale del nuovo film di Zack Snyder:

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