Black Mirror 3×02 – Giochi Pericolosi

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Siamo in un mondo in cui i videogiochi hanno preso non solo una grande fetta della popolazione mondiale nella loro maglia, ma hanno anche avuto riconoscimenti di pregio, divenendo anche uno sport. Giochi Pericolosi arriva molto prima di questo, ma già in un periodo in cui il videogame era uno dei passatempi più conosciuti al mondo, quindi bando alle ciance e vediamo insieme di cosa questa puntata di Black Mirror ci ha voluto mettere in guardia. 

La puntata segue Cooper Redfield (Wyatt Russel), un giovane che ossessionato da tecnologia e videogiochi parte per un viaggio che possa dargli divertimento e distrarlo dalla situazione a casa, che capiamo già dalle prime inquadrature non essere particolarmente buona. 

Arrivato a Londra, tramite un sito di incontri, fa la conoscenza di Sonia (Hannah John-Kamen), una sorta di giornalista Inglese che, anche lei come Cooper, mostra una fissa per i videogiochi dato che ne parla addirittura per un “giornale”. Cooper, rimasto senza soldi, chiederà aiuto a Sonia per poter tornare a casa, a Syracuse, e la ragazza gli proporrà di andare a fare da tester per il nuovo gioco della Saito Game, di Shou Saito (Ken Yamamura), ma l’uomo avido deciderà anche di tentare di fregare Saito e scattare delle immagini con il telefono del nuovo videogioco della compagnia per poter guadagnare anche qualcosa in più da questa avventura. Proprio qui iniziano le disavventure del nostro protagonista che si troverà pur di guadagnare qualcosa di più in un vero e proprio incubo di videogioco. 

La puntata è sicuramente come Black Mirror ci ha abituato molto attuale, a partire dai temi trattati, al come vengono gestiti alcuni di essi e alle inquadrature che dipingono un mondo estremamente informatizzato e dipendente dalla tecnologia, seppur ci siano degli elementi che trascendono la stessa tecnologia e ti portano una definizione di scienza futuribile anche ma plausibile, qualcosa di vicino ma anche lontano, come la stessa tecnologia su cui si basa il gioco della Saito Game. Proprio questo è una sorta di realtà ancora più aumentata che non inganna solo gli occhi ma anche i sensi. 

Dal punto di vista della regia, siamo di fronte ad una puntata buona, ma tra le 6 di questa terza stagione probabilmente la più debole e quella che più fatica ad ingranare a causa di un tema seppur interessante fin troppo discusso, e che forse andrebbe analizzato da un’altro punto di vista, che non sia quello dell’utilizzatore finale, quello del produttore, o magari andrebbe visto con un impatto più su larga scala per generare qualcosa di nuovo e non già visto. 

Gli attori sono tutti nella loro parte, non abbiamo grandi nomi che possano attirare l’attenzione, volti decisamente conosciuti anche per altri prodotti televisivi dove appaiono ma che non rimangono impressi nella mente. Se la prima puntata aiuta a costruire e a rendere memorabile un personaggio come quello di Lacie, interpretato da Bryce Dallas Howard, Giochi Pericolosi non crea nessun personaggio che puoi riconoscere o ricondurre facilmente a Black Mirror.

La pecca maggiore probabilmente non sta però nella regia o nelle interpretazioni quanto più nella computer grafica in alcuni momenti troppo invasiva, e che quando viene sostituita da effetti tangibili e pratici ne risente ancora perché dimostra come un riuscito make up o un uso di specchi e stanze che si muovono funzioni meglio di un effetto creato al computer.

Siamo decisamente su livelli molto diversi da quelli della TV generalista, anzi probabilmente qualcosa del genere se fatto su una televisione broadcast Americana attirerebbe sicuramente la mia attenzione e anche quella degli spettatori, ma diciamo che da Black Mirror (ma anche da Netflix) ci aspettiamo molto di più, sopratutto perché tra le 6 puntate è quella che più ha ambientazioni Inglesi e meno ricorda un prodotto british a partire ovviamente dalla componente tecnica e dall’argomento trattato. 

In definitiva possiamo dire che sia una effettiva buona puntata, ma che tradisce in un certo senso Black Mirror, nonostante il finale sia cattivo al punto giusto. 

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