Bohemian Rhapsody di Bryan Singer – Le origini della leggenda | Recensione

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Bohemian Rhapsody

Dopo anni di riscritture, cambi di regista e problemi di produzione vari, Bohemian Rhapsody, il film di Bryan Singer che si pone l’obiettivo di consacrare, cinematograficamente parlando, la memoria di una delle più grandi rock band di tutti i tempi, i Queen, ed il suo leggendario frontman Freddie Mercury, è finalmente realtà. Sono passati ben 8 anni da quando Brian May, storico chitarrista della band, annunciò l’inizio della produzione della pellicola che vedeva Sacha Baron Cohen nei panni di Freddie Mercury. La prima stesura del film prevedeva che Freddie sarebbe morto a metà film, per poi andare a narrare come la band sia andata avanti superando la morte del frontman. Non era proprio l’idea migliore far morire l’elemento di maggior interesse per il grande pubblico a metà del film, anche Cohen era di questa idea ed abbandonò il progetto proprio per questo motivo.

Il film, come già detto in precedenza, segue la storia dei Queen partendo dal 1969, anno in cui il giovane Farrokh Bulsara, vero nome di Freddie Mercury, entra a far parte degli Smile, gruppo di Brian May e Roger Taylor orfano del cantante solista. Da lì a breve si unì alla band anche il bassista John Deacon e il gruppo assunse il nome di Queen. Da qui un susseguirsi di eventi che portano la neonata band Britannica alla ribalta in poco tempo, inanellando successi dopo successi, fino ad arrivare alla celebre esibizione durante il Live Aid del 1985, passando per la creazione di brani iconici come Bohemian Rhapsody e We Will Rock You.

Precisiamo subito che, per quanto la 20th Century Fox punti a vendere questo film come un biopic sulla carriera dei Queen, sarebbe meglio definirlo il biopic su Freddie Mercury, in quanto sin dai primi minuti, Il personaggio interpretato da Rami Malek risulta il vero fulcro della narrazione. Era facile aspettarsi che Mercury avrebbe rubato la scena a tutto il resto del gruppo, come del resto succedeva anche nella realtà, però nel film la trama ruota troppo intorno alla sua figura, mettendo fin troppo in secondo piano la storia del gruppo e dei suoi componenti.

Continuando a parlare di Rami Malek, l’attore, reso celebre dalla serie tv Mr. Robot, sfoggia in questo film una prestazione davvero maiuscola, riuscendo a replicare alla perfezione espressioni e movenze tipiche di Mercury. Ma non finisce qui, Malek non si limita a “scimmiottare” le movenze del cantante dei Queen, ma ne diventa un tutt’uno impressionante, riuscendo a far trasparire al meglio gioie, dolori e turbamenti interiori del personaggio. Quando Malek entra in scena, sopratutto dalla metà del film in poi, sembra di rivedere il vero Mercury, solo un po’ più basso. Anche gli altri membri della band vengono ben trasposti, grazie sopratutto ad un’ottimo lavoro di make-up. Non si può dire lo stesso però della caratterizzazione dei personaggi in quanto, a parte alcuni ottimi momenti che li vedono protagonisti, Brian May, Roger Taylor e John Deacon non vengono approfonditi e resi vivi, finendo per diventare dei personaggi fin troppo stereotipati. Il maggior punto di forza della pellicola ruota intorno alla riproduzione delle esibizioni della band, su cui è stato fatto un lavoro minuzioso e accurato. Le coreografie di queste scene sono da pelle d’oca, sembra di assistere a delle vere e proprie esibizioni dei Queen, soprattutto durante le ultime battute del film quando viene riprodotto per intero il concerto al Live Aid.

Altro punti di forza della pellicola risiede, ovviamente, nella colonna sonora composta dai più celebri brani del gruppo, intervallati da delle tracce registrate in studio durante la creazione dei brani della band ed altre cantate appositamente per il film dal cantante Canadese Marc Martel, noto sul web per la sua voce incredibilmente somigliante a quella di Freddie Mercury. Come era possibile immaginarsi, per far stare il tutto in 2 ore di film, le vicende vengono molto romanzate, il che non è affatto un male, fatta eccezione per alcuni piccoli momenti in cui viene stravolta la realtà, cosa che salterà subito all’occhio di un fan più attento. Ottimo anche il modo in cui è stato trattato il tema l’AIDS, mediante l’utilizzo di poche ma significanti inquadrature ricche di pathos e emozioni. Era davvero facile sbagliare e ridurre tutto ad uno spot di prevenzione della malattia, mentre è stato tutto trattato con serietà, freddezza e limitando il tutto in pochi ma cruciali fotogrammi.

Il film però mette troppa carne al fuoco, non riuscendo in molti casi a trattare tutto in modo dignitoso. Vuole essere un biopic sui Queen, ma come già detto in precedenza, i membri della band non sono affatto caratterizzati, facendo venire meno le basi per determinate scene cruciali della pellicola. Tutto si concentra sulla figura di Mercury senza però avere il coraggio di andare fino in fondo. In alcuni passaggi sembra come se gli sceneggiatori non volessero ledere troppo l’idea che il mondo ha del cantante, facendo quasi ricadere tutte le colpe dei suoi errori su Paul Prenter, il manager e amante di Mercury che, in alcuni punti della pellicola, sembra assumere addirittura il ruolo del villain.

Inoltre è ben riscontrabile nella pellicola il cambio di regista in corso d’opera. Bryan Singer, inseguito ad una prolungata assenza immotivata dal set che aveva bloccato le riprese, è stato licenziato dalla 20th Century Fox e sostituito da Dexter Fletcher che ha completato le riprese, rigirato alcune scene e curato la post-produzione, pur non essendo accreditato. Ad esempio, nella prima parte, abbiamo alcune transizioni che ricordano quelle usate da Baz Luhrmann nei suoi film, transizioni che poi però vengono completamente dimenticate per il resto della pellicola. Parlando poi proprio di questi timeskip, se pur diversi dal solito, risultano fin troppo dedicati ad un pubblico ristretto, non risultando accessibili al 100% ai non fan dei Queen.

Bohemian Rhapsody è dunque un biopic nella media, che guadagna qualche punto in più grazie alla splendida colonna sonora, all’interpretazione di Rami Malek e alle ottime esibizioni che sono state riprodotte, sopratutto quella del Live Aid. Rimane però l’amaro in bocca poiché, con un po’ più di chiarezza sulla direzione del progetto, qualche problema di produzione in meno ed un briciolo di coraggio in più, questa pellicola poteva passare alla storia come IL film sui Queen e su Freddie Mercury.


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