La Favorita di Yorgos Lanthimos | Recensione

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LA Favorita

La Favorita, settimo lungometraggio di Yorgos Lanthimos, segna un netto cambio di rotta nello stile narrativo, registico e dialogico rispetto ai suoi due predecessori, il ben noto e controverso The Lobster e il meno famoso, a parere di chi scrive anche meno meritevole, The Killing of a Sacred Deer.

Dove queste pellicole ci avevano abituato a personaggi profondamente chiusi in se stessi, qui ritroviamo un’emotività straripante nelle sue esternazioni, fisiche e verbali. Dove vedevamo un disagio sociale incomprensibile, al limite del gratuito (penso ai protagonisti di “The Killing of a Sacred Deer”), qui troviamo un contesto complesso e stratificato, che non solo offre diversi punti di vista da cui analizzare i personaggi, ma stimola alla ricerca di un significato nascosto, più correttamente forse “velato”, come chiave di lettura globale della vicenda. Poiché si è parlato di contesto, occorre, prima di iniziare a parlare del film, offrirne a nostra volta uno.

La Favorita, ambientato nei primi anni del 1700, si svolge alla corte della regina Anna d’Inghilterra (Olivia Colman), una regnante che ci viene presentata come profondamente fragile, insicura, di salute cagionevole, che si affida in tutto e per tutto, questioni politiche e personali, a Sarah Churchill (Rachel Weisz), duchessa di Marlborough, una figura a metà tra amica, amante e manipolatrice. In questa scena si inserisce Abigail Hill (Emma Stone) cugina caduta in disgrazia di Sarah, che arriva a Corte chiedendo un impiego. La duchessa, per niente propensa a favorirla nonostante la parentela, le assegna inizialmente le mansioni più umili; tuttavia, con il tempo e un po’ di fortuna, Abigail riesce a farsi notare dalla cugina e, sopratutto, dalla Regina e dal resto della Corte.

Desiderosa di riscattarsi dal suo passato travagliato, la ragazza, accorgendosi di poter avere un certo ascendente sul lato più fragile e sensibile della regina, inizia a insidiare, più o meno consapevolmente, il posto di favorita a Miss Marlborough, figura per certi versi più simile ad una badante e di gran lunga meno amicale e materna. Questa nuova situazione crea un complesso triangolo di gelosie e rancori tra le tre donne, unite non solo platonicamente ma anche da un rapporto fisico che ha una forte connotazione simbolica e psicologica. Le due cugine, di fatto, lottano tra loro per il dominio sulla fragile mente della regina, entrambe mirano, una ad ottenere, l’altra a riconquistare, un forte ascendente su di lei, per poter veicolare le sue decisioni per i propri fini.

La differenza sostanziale tra le due donne, Abigail e Sarah, si concreta nei rispettivi desideri, la prima è un personaggio profondamente egoista, malgrado l’iniziale parvenza gentile e sensibile, il suo occhio è puntato sul raggiungimento di un elevato rango sociale, quindi in sostanza si interessa al suo benessere; la seconda, invece, sfrutta l’influenza che esercita sulla regina per governare in sua vece, interessandosi al futuro del regno molto più che al suo. Questa distinzione, che si fa sempre più netta con il procedere della narrazione, sfocia nella creazione di due personaggi profondamente antitetici, categorizzabili nel più classico scontro tra ragione e sentimento, logica e impulsività, freddo e caldo. Il film non fornisce mai delle prove schiaccianti a riguardo, ma l’impressione che Abigail e Sarah altro non siano che una metafora del continuo conflitto interiore vissuto dalla Regina Anna è forte.

Non si giunge mai a pensare che le due siano frutto della sua immaginazione, tuttavia il dominio che, prima una poi l’altra, a seconda dei momenti, esercitano sulla mente della Regina, sempre rappresentata come una donna fragile, spaventata e profondamente infantile, dovrebbe far pensare che possano essere personaggi costruiti ad hoc, inseriti in una sceneggiatura che in realtà non vuole parlare di scaramucce e gelosie tra donne ma, piuttosto, della mente danneggiata della Regina, provata da numerosi lutti (nel film lei stessa racconta di aver subito 17 aborti), dal peso della responsabilità di un sovrano pressoché assoluto in tempo di guerra e logorata dalla malattia.

Laddove Sarah rappresenta il suo lato ferreo e freddo, Reale e sovrano, decisa nelle questioni di politica e tagliente con chi la osteggia, Abigail è la sua parte più emotiva, quella che rifiuta l’abnegazione richiesta ad un regnante, che cerca conforto e indugia sulle vecchie ferite. Abigail è colei che massaggia le gambe della Regina per alleviarle i dolori della gotta, come è anche quella che gioca con i suoi 17 conigli, ognuno simboleggiante uno dei figli persi. E’ lei che, contro ogni evidenza, dice ad Anna che ha dei bellissimi capelli, solo per farla sentire più bella. Al contrario, Sarah, è del tutto incapace di abbandonare logica e sincerità ed in aperta contrapposizione con Abigail dice alla Regina che assomiglia ad un procione, la rimprovera quando si comporta in modo infantile, fino a permettersi di schiaffeggiarla, un gesto così estremo, nei confronti di un Reale, da svelare forse un po’ la ben congegnata metafora. Le stesse scene di amore saffico, come si diceva anche sopra, hanno una forte connotazione simbolica e rappresentano l’abbraccio della Regina prima ad una e poi all’altra parte di se.

In conclusione, La Favorita risulta una pellicola molto ben pensata, ben scritta e, probabilmente, anche uno dei lavori più validi di Lanthimos. Registicamente molto più vario dei suoi precedenti lavori, ci sono scelte, come quella di usare il Fish-eye in determinate scene, che danno molto più colore al film. Si sente che la sceneggiatura non l’ha visto partecipe, il suo tocco nei dialoghi manca in modo evidente ma, almeno a parere di chi scrive, il film ne guadagna nel bilanciamento tra scene drammatiche e scene leggere, anche comiche, quasi totalmente assenti nei suoi precedenti lungometraggi, sbilanciati spesso verso il dramma e il disagio esistenziale pressoché costanti.