Royal City di Jeff Lemire – This is Radio Nowhere | Recensione

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Royal City

Un giorno me ne andrò via da qui!” In quanti hanno pronunciato questa frase a gran voce, almeno una volta nella vita? Mettere in discussione il proprio io, è normale, specie quando ci rendiamo conto che, molte delle caratteristiche che ci compongono, sono state forgiate dalla semplice consuetudine.
Facciamo una cosa in un dato modo perché chi ci sta intorno la fa così, da sempre. Mangiamo, beviamo, studiamo, lavoriamo, amiamo e odiamo sempre e comunque in un modo che abbiamo assimilato dall’ambiente in cui siamo immersi.

C’è qualcosa di male nel sentirsi oppressi dall’ambiente in cui si vive? Un tempo, chi si poneva a questa domanda, veniva paragonato ad un novello Joyce che, alla ricerca dello scopo dell’esistenza, finiva per perdersi in mezzo alla gente della sua personale Dublino. Ora, grazie a Jeff Lemire, tutti coloro che sono alla ricerca del senso della vita, hanno un nuovo libro di testo: “Royal City“.

Royal City è il nome di una cittadina americana, di quel genere che abbiamo imparato a conoscere bene attraverso letteratura cinema e televisione. Questa è la tipica città dove la vita è rimasta semplice come nel proverbiale passato. Nascere a Royal City significa vivere in una comunità felice e sincera, dove tutti conoscono tutti, tanto da non dover chiudere la porta a chiave quando si va a dormire. Ma, nel contempo, un alone di decadente e Lynchiana memoria ricopre l’intera città. Ciò a partire dalla storica fabbrica di Royal City che, similarmente a “Twin Peaks, rappresenta il “fulcro sociale” ormai decaduto dell’intera città.

Decadente” è forse l’aggettivo che meglio descrive l’atmosfera di Royal City. Jeff Lemire, con un sapiente uso del suo caratteristico stile grafico, mette in risalto lo stretto legame che lega il decadimento urbano e sociale ad un passato tragico, fatto di errori e rimpianti. Il tragico quadro d’insieme che ne risulta, però, non scade mai nella banalità di un melodramma. Ciò è dovuto ad una trama realistica e ricca di avvenimenti. Royal City è un dunque una storia drammatica, incentrata non solo su una città, ma anche su una famiglia: i Pike.

Attraverso i componenti della famiglia Pike, Lemire ci mostra i differenti modi in cui un essere umano sceglie di vivere la propria vita un’ambiente costrittivo e prossimo al collasso.
Tara Pike, la figlia maggiore, cerca di spingere Royal City verso il futuro, con un piano edilizio che rilancerà l’economia locale. Tuttavia, per la realizzazione di tale progetto, la sopracitata storica fabbrica fulcro dell’intera città, dovrebbe chiudere. Pertanto, ironicamente Tara finisce per essere odiata dall’intera comunità (suo marito incluso). Patrick, il figlio di mezzo, è uno scrittore, con ben due pubblicazioni all’attivo. Per raggiungere tale traguardo, egli ha ritenuto indispensabile lasciare Royal City subito dopo il diploma. Tuttavia, Pat è in balia del blocco dello scrittore da ormai tre anni e il suo matrimonio con un’attrice di Hollywood è in crisi. Richie, il figlio minore, Il figlio minore è stato invece inghiottito dalla città. Egli è un alcolizzato che lavora alla fabbrica solo per potersi pagare il suo lento declino verso l’inesorabile fine. Richie ha scelto di non avere affetti a cui aggrapparsi, dimenticandosi e facendosi dimenticare dal resto della famiglia.

Patti e Peter, i genitori, dopo anni di matrimonio vivono ancora insieme nella casa di famiglia. Ciò, tuttavia, sembra non avere più un vero e proprio scopo, se non quello di mantenere una parvenza di normalità mostrando al mondo la stereotipata immagine della tipica famiglia americana. Peter, ricoverato a causa di un infarto, riunirà inconsapevolmente la famiglia al suo capezzale, costringendo ognuno dei protagonisti a confrontarsi con il proprio passato.

I “fantasmi” che perseguitano i Pike non sono semplici ossessioni o rimorsi. I punti neri sul passato della famiglia sono tanto grandi da formare un’immagine anche senza essere uniti da un tratto di penna.
Ogni bivio, ogni errore, ogni non detto; finiscono per creare una personificazione dell’io dei protagonisti. Ciò rappresenta, un ostacolo fisico che continua a tormentarli, impedendo la completa realizzazione personale.

I Pike sono umani, difettosi, amabili e odiosi allo stesso tempo. Lemire ha saputo creare delle personalità vive e credibili, intrecciate tra loro da rapporti complessi di amore e odio. Il particolare stile acquarellato dell’autore, accompagna in modo gradevole ogni singola scena, incluse quelle prive di dialogo.
La narrazione, scorrevole ed immediata, conferisce un taglio “televisivo” all’intera opera, rendendo la fine di ogni capitolo simile al finale di un episodio di una serie TV.
La narrazione e la scorrevolezza ad essa associata, paradossalmente rappresenta l’unico difetto di Royal City: l’opera è infatti molto più godibile se letta tutta d’un fiato.

Forse, Lemire, come il sopracitato Joyce in  “Gente di Dublino“, non saprà darvi delle riposte sul senso della vita. Se sperate che Royal City vi dica chi siete o qual’è la via da seguire per essere felici nella vita, rimarrete delusi.
Tuttavia, l’autore ci ricorda un concetto molto importante: ciò che ci ha formato, non deve definirci. Una volta capito ciò, saremo gli unici responsabili delle nostre scelte. Toccherà a noi dettare il ritmo e tracciare la via da e verso casa.


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