La Llorona – Le Lacrime del Male di Michael Chaves | Recensione

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La Llorona

Il genere horror, come tutti ben sappiamo, si caratterizza nei suoi titoli più “commerciali” per una serie di cliché, di situazioni ricorrenti che hanno sempre lo stesso impianto. Le tipiche situazioni da film horror le conosciamo tutti, vanno dalle porte che si aprono da sole ai protagonisti che entrano impavidi in stanza buie e spaventose, dal bambino indemoniato al mostro in soffitta, passando attraverso “jump-scare” più o meno telefonati e finali a sorpresa che di sorprendente hanno poco o niente.

Il cinema horror è quello che probabilmente soffre più di ogni altro della scarsa qualità delle pellicole proposte, questo appunto perché si tende ad una estrema ripetitività nelle vicende e nelle situazioni. E’ visto, dai produttori cinematografici, un po’ come un genere puramente di consumo, che bene o male consente di fare incassi dignitosi anche con i titoli più scadenti e con il minimo impiego di risorse. La cosa più sorprendente, almeno a mio parere, è che si ha memoria di ottimi titoli, anche degli ultimi anni, originali e appassionati, che, forse a causa della non attinenza con i soliti leitmotiv in cui il pubblico ormai si identifica, sono stati aspramente criticati o ignorati dal pubblico; uno tra questi è certamente “Babadook” di Jennifer Kent, seguito da “Hereditary – Le Radici del Male” di Ari Aster o “Autopsy” di André Øvredal, tanto per citarne qualcuno.

Da questo punto di vista l’universo “The Conjuring”, creato da James Wan e nel quale si inserisce anche “La Llorona – Le Lacrime del Male”, pur non sfornando mai dei veri e propri capolavori sembrava, almeno nei suoi primi titoli, voler creare del materiale un po’ più di qualità per questo genere bistrattato. Già solo l’idea di voler creare un universo dell’orrore, con personaggi ricorrenti e storie in qualche modo collegate tra loro, faceva sperare non solo in qualcosa di nuovo ma anche in una serie di titoli ben curati e realizzati. Più o meno, con alti e bassi, le cose sono state così fino ad “Annabelle 2”, uscito nel 2016, ma purtroppo gli ultimi due titoli, “The Nun” e, appunto, “La Llorona – Le Lacrime del Male”, minacciano di gettare anche questo progetto nella palude della mediocrità.

“La Llorona – Le Lacrime del Male”, che come faceva notare qualcuno durante l’anteprima si può tradurre con “la frignona”, è sostanzialmente la storia di questa madre, Anna Garcia (Linda Cardellini), che entra in contatto con questo spirito maligno, la donna che piange. L’entità è realmente parte del folklore messicano: la storia vuole che fosse una donna vissuta nel 1600 che, dopo aver annegato i suoi due figli ed essersi suicidata, iniziò a vagare sotto forma di entità demoniaca, rapendo e annegando i figli altrui per rimpiazzare i suoi. Senza dilungarsi troppo sulle vicende che portano a questa situazione, La Llorona marchia i figli della protagonista come sue prossime vittime e da qui muoverà tutta la vicenda. La storia in sé non merita grandissima considerazione, siamo evidentemente di fronte alla solita vicenda che si risolve con l’esorcismo dell’entità maligna che prima sembra possibile, poi sembra impossibile, poi si risolve in un unico gesto eclatante che sortisce il risultato voluto. Il vero problema però non è questo. Certamente una trama un po’ diversa, con qualche colpo di scena o semplicemente qualche guizzo di fantasia non guasterebbe, ma è anche vero che in un film dell’orrore è la messinscena che fa gran parte dell’opera, ed è proprio qui che il titolo crolla miseramente.

La Llorona sembra un risultato di un “brainstorming” tra sceneggiatori e regista con consegna “cliché del genere horror”; la sensazione è che il film sia un omaggio a tutte quelle situazioni, inquadrature e dialoghi che noi tutti siamo abituati a vedere, rivedere e rivedere ancora da anni. C’è tutto l’elenco, i “jump scares”, il protagonista scettico che poi si convince, il mostro riflesso nello specchio che poi ricompare a lato schermo urlando e facendoti saltare sulla sedia (a meno che tu non l’abbia previsto 10 secondi prima, ovviamente), i bambini perseguitati/indemoniati, l’esorcista, la soffitta, la madre che si distrae un secondo mettendo in pericolo di vita i figli, i figli che fan cose palesemente stupide e si mettono in pericolo da soli, insomma, non manca davvero nulla e stiamo volutamente tralasciando molto.

È per questa ragione che il vero problema, come si accennava prima, non è propriamente la trama, perché se l’obbiettivo è parlare di questo spirito maligno del folklore messicano che rapisce i bambini devi, per forza di cose, creare una storia che abbia come protagonista una famiglia perseguitata. Tuttavia nessuno obbligava sceneggiatori e regista (Michael Chaves) a banalizzare ai limiti estremi anche la messinscena.

Dal momento che il progetto “The Conjuring” era nato con titoli nettamente migliori, seppur non privi di difetti, dispiace un po’ vedere che con gli ultimi due capitoli si è tornati alla ben nota scarsa qualità del genere horror. La migliore delle ipotesi è che si siano voluti creare dei film di serie B, a basso budget, giusto per incassare qualcosa in più a sostegno dei progetti principali, che sono poi la serie “The Conjuring” e “Annabelle”; tuttavia, anche se così fosse, un po’ amareggia scoprire che questo universo horror non si rivela essere quel progetto appassionato che sembrava inizialmente ma, piuttosto, un’evoluzione dello scadente progetto commerciale che, in larga parte, è ormai il cinema Horror e i singoli titoli che lo compongono.