L’Angelo del Male: Brightburn di David Yarovesky – Il film prodotto da James Gunn | Recensione

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L'Angelo del Male: Brightburn

L’Angelo del Male: Brightburn è il secondo film horror prodotto in tempi recenti da James Gunn, il papà della saga dei Guardiani della Galassia ed autore di numerose pellicole horror durante il corso degli anni 2000. Il film è stato affidato all’amico David Yarovesky, già autore del suo video musicale Guardians Inferno, mentre la sceneggiatura è affidata al fratello Mark Gunn ed al cugino Brian Gunn.

Una navicella spaziale contenente un neonato si schianta nei pressi della fattoria dei Breyer, Tori (Elizabeth Banks) e Kyle (David Denman), due coniugi del Kansas alle prese col dramma dell’infertilità. Convinta che si tratti di un dono del cielo, Tori Breyer convince il marito ad adottarlo, dandogli il nome di Brandon (Jackson A. Dunn) e crescendolo all’oscuro delle sue vere origini. Dodici anni dopo però, la tranquilla vita del giovane Brandon inizierà a cambiare quando alcune misteriosi “voci” provenienti dalla nave inizieranno a parlargli, in contemporanea con la scoperta di incredibili abilità e poteri. Ma la vera natura del ragazzo è ben lontana da quella di un “dono del cielo”: assieme ai cambiamenti fisici, in Brandon si susseguono anche numerosi cambiamenti psicologici, e presto i Breyer potrebbero accorgersi che il figlio si sta trasformando in qualcosa di maligno e crudele, sempre più distante dalla morale umana e con sinistri piani per il pianeta Terra.

L’idea di raccontare una versione malvagia di Superman non è certo un’invenzione recente: oltre ad Ultraman, sua controparte malvagia proveniente da un universo alternativo, diverse altre saghe hanno cercato di sovvertire il mythos dell’Uomo d’Acciaio, come ad esempio Irredemibile di Mark Waid o The Boys di Garth Ennis.

L'Angelo del Male: BrightburnL’Angelo del Male: Brightburn porta al cinema questo concept in salsa horror, mescolando Superman con Il presagio e trasformando il giovane salvatore venuto dallo spazio in una sociopatica macchina di morte.
Questo è in sintesi l’aspetto cardine del film, che ne rappresenta la costante ma allo stesso tempo anche la più grande debolezza, poiché non si espande mai troppo dal concept di partenza aprendosi a soluzioni originali o imprevedibili. Dalla genesi di Brandon come “mostro”, Brightburn infatti si dipana nel modo degli horror moderni, in un crescendo di violenza in cui i “superpoteri” vengono usati come espedienti per morti brutali e momenti di tensione. Se avete sempre desiderato vedere Superman uccidere gente facendole un buco in testa con la vista calorifera, o frantumandogli le ossa con la superforza, questo film fa al caso vostro.

A livello tecnico Brightburn, nonostante il budget di appena 6 milioni di dollari, si presenta tecnicamente molto curato e con ottimi effetti speciali: l’assenza di numerose riprese larghe contribuisce alla bontà dell’atmosfera horror, così come l’uso “nascosto” o distanziato dei poteri per alimentare il senso di paura o inquietudine nello spettatore. Il film non si trattiene neanche sulla violenza di certe scene, che tuttavia sono così sporadiche e pre-costruite da risultare spesso notevolmente gratuite. A complicare ancora le cose, l’edizione italiana del film ha tagliato (almeno nella versione in anteprima in quanto Sony Pictures Italia ci ha assicurato che le scene saranno presenti nella versione che andrà al cinema) alcune delle sequenze più brutali del film, lasciando spesso dei buchi visivi sul campo che possono essere una componente di disturbo.

Buona ma non esaltante la recitazione complessiva, con Elizabeth Banks che si distingue sia in termini di fama che di bravura. La sua performance nell’interpretare la madre assorta di Brandon, divisa tra l’amore del figlio e la comprensione crescente dei suoi orrori, è molto solida. Il giovane Dunn (che potreste ricordare per la recente comparsata in Avengers: Endgame, nei panni della versione “bambino” di Scott Lang) ha tutti i pregi e i difetti delle performance di attori incredibilmente giovani: alle volte l’innocenza e l’imperfezione della recitazione sono utili al film, altre volte invece può risultarne svantaggiosa. Degna di nota forse è la sequenza finale, che ricalca e fa il verso a quella dei più recenti cinecomics, aprendosi le possibilità per un sequel o addirittura un universo espanso (prestate occhio ad una citazione evidentissima ad un altro film di Gunn), oltre anche ad un piccolo cameo dell’amico e pupillo di Gunn Michael Rooker.

Purtroppo, complessivamente questo non basta a dare a L’Angelo del Male: Brightburn un’identità ben riconoscibile o interessante. La regia di Yarovesky risulta competente ma del tutto anonima, lo script è a malapena sufficiente e non si distanzia mai sufficientemente dal concept di partenza, ma risulta essere un compitino privo di sostanza. Un peccato, ma si spera che questa possa essere il trampolino di lancio per Yarovesky nella creazione di contenuti più elaborati e rischiosi.