Il 18 dicembre arriva al cinema il film che preannuncia il Natale in casa Disney. Cinque anni dopo il live-action di Jon Favreau basato sul film d’animazione omonimo del 1994, il regista Premio Oscar Barry Jenkins (Moonlight, Se la strada potesse parlare) è al timone di una nuova storia d’origine inedita sull’ascesa al potere di Mufasa e la disfatta del suo fratellastro Scar. Nella versione italiana con le voci di Luca Marinelli (Mufasa), Elodie (Sarabi) e Alberto Boubakar Malanchino (Scar/Taka). Di seguito vi riportiamo il nostro parere.

Mentre Simba e Nala stanno per dare alla luce un nuovo cucciolo, la primogenita Kiara viene affidata alle attenzioni dei pasticcioni ma affettuosi Timon e Pumba. Per intrattenerla, i due raccontano alla leoncina una serie di inverosimili storie. Quando arriva Rafiki le svela la storia del nonno, Mufasa, nato da Masego e Afia, e allontanatosi fino ad arrivare nel territorio del rude Obasi e della lungimirante Eshe. Genitori di quello che diventa il suo fratellastro, Taka. Principe ereditario, ma timido e insicuro, questi si lega al nuovo arrivato, con il quale condivide molte avventure. Compresa quella di partire alla ricerca di una terra promessa. Inizialmente per sfuggire un nemico crudele e spietato, poi sempre più verso un destino che li porterà a diventare protagonisti principali della saga.

L’annuncio di un prequel della storia del Re Leone non fu accolto particolarmente bene, le acque però iniziarono a cambiare nel momento in cui al timone del progetto fu scelto un regista acclamato, Premio Oscar, come Barry Jenkins, reduce del successo planetario di Moonlight e della bellissima serie televisiva La Ferrovia Sotterranea, basata sul romanzo Premio Pulitzer di Colson Whitehead. A cinque anni dal live-action di Jon Favreau, già al tempo particolarmente criticato, non tanto per il film in sé per sé ma per la scelta registica di realizzare animali parlanti reali tramite l’impiego di CGI, Mufasa ripropone lo stesso impianto visivo (un pò migliorato) non privo di quell’effetto da “uncanny valley”, restando legato troppo ad un immaginario iperrealistico che fa perdere l’espressività dei personaggi e creando un forte distacco con lo spettatore. Lo stesso Jenkins, fino ad oggi regista di progetti personali e indipendenti, per la prima volta si ritrova alla mercé di uno studios le quali imposizioni gravano sulla libertà creativa dell’autore, e nonostante il film, rispetto al suo predecessore, tende verso un lato più intimista, non riesce nell’intento generale.

Seppur con una messa in scena migliore rispetto al film precedente, la regia risulta abbastanza sottotono, poco ispirata e con una gestione dei personaggi non sempre focalizzata. Il film è anche un musical, il che prevede un dinamismo diverso rispetto a pellicole canoniche, che qui è completamente assente, con scene musicali e brani poco accattivanti e memorabili. Mufasa infatti vive molto nell’ombra del suo predecessore con continui rimandi tematici e musicali che fanno perdere quell’originalità che il progetto meritava, si perde così quella naturalezza che caratterizzava la pellicola del 1994 e che a sua volta non caratterizzava il live-action del 2019. Con tematiche che spaziano anche troppo velocemente dalla famiglia, all’amicizia, all’inclusione, fino alla leadership, al tradimento e all’amore, quello che manca è il vero cuore di un film che avrebbe dovuto raccontare la storia di un personaggio pregno di saggezza e valori, ma che risulta essere un percorso decisamente prevedibile e poco ispirato.

Come poco ispirato è il legame tra i due fratellastri Mufasa e Taka/Scar. Quello che sarebbe dovuto essere il fulcro della narrazione, dapprima la fratellanza, poi il tradimento, l’invidia e l’abbandono si semplifica diventando quasi superfluo, nonostante il potenziale che un personaggio come Taka ha effettivamente sulla carta. Ne risulta così un conflitto fra i due poco approfondito e basato su motivazioni troppo futili per aver creato un risentimento tale. Viene così preferito un approccio decisamente più leggero anche su tematiche che avrebbero potuto essere molto più emozionanti, visto anche il punto di partenza della storia originale che di per sé è molto profonda e basata su fondamenti filosofici. Mufasa è così una sorta di prescelto, senza se e senza ma, con un compito ben preciso e un viaggio dell’eroe troppo automatico e privo di una reale crescita. Anche il tema della leadership avrebbe dovuto ricoprire un ruolo fondamentale, ma questo non avviene, confermando i personaggi o completamente positivi o completamente negativi, senza una zona di mezzo con cui dubitare, entrare in sintonia o conflitto. Altro grande personaggio abbastanza dimenticato è Sarabi, madre di Simba e compagna di Mufasa. Nel prequel avrebbe dovuto avere un ruolo importante anche solo nella formazione e crescita del personaggio di Mufasa, ma purtroppo resta relegata a semplice accessorio di trama, senza un vero sviluppo o una caratterizzazione se non “colei che si è innamorata del futuro re”. Sarabi sarebbe potuta essere un ponte tra i due fratelli, cercando di placare le rivalità. Di certo un ruolo così avrebbe conferito maggiore profondità al personaggio, mostrando il suo tentativo di preservare l’armonia all’interno della famiglia reale.

Mufasa: Il Re Leone si presenta così come un film che vuole espandere l’universo narrativo di uno dei classici Disney più amati, risultando una pellicola che manca di spessore e di vera innovazione. L’assenza di una reale profondità narrativa, l’approccio semplicistico ai temi del destino e della leadership, e il mancato sfruttamento del potenziale emotivo dei personaggi, come Sarabi e Taka (Scar), rendono questo prequel privo di anima. La trama prevedibile non riesce ad aggiungere nulla di significativo alla figura di Mufasa, un personaggio che dovrebbe rappresentare il fulcro emotivo e morale del film. Invece di ampliare la mitologia del Re Leone con nuove prospettive o riflessioni, il film si limita a riproporre cliché e messaggi già visti, privi dell’impatto emotivo e della complessità che hanno reso il classico del 1994 un capolavoro senza tempo.


Mufasa: Il Re Leone è al cinema dal 18 dicembre. Ecco il trailer italiano del film:

RASSEGNA PANORAMICA
Mufasa: Il Re Leone
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Classe 1995, laureato in critica cinematografica, trascorro il tempo tra un film, una episodio di una serie tv e le pagine di un romanzo. Datemi un playlist anni '80, una storia di Stephen King e un film di Wes Anderson e sarò felice.
mufasa-il-re-leone-la-storia-di-origine-di-un-re-recensioneMufasa: Il Re Leone si presenta così come un film che vuole espandere l’universo narrativo di uno dei classici Disney più amati, risultando una pellicola che manca di spessore e di vera innovazione. L’assenza di una reale profondità narrativa, l’approccio semplicistico ai temi del destino e della leadership, e il mancato sfruttamento del potenziale emotivo dei personaggi, come Sarabi e Taka (Scar), rendono questo prequel privo di anima. La trama prevedibile non riesce ad aggiungere nulla di significativo alla figura di Mufasa, un personaggio che dovrebbe rappresentare il fulcro emotivo e morale del film. Invece di ampliare la mitologia del Re Leone con nuove prospettive o riflessioni, il film si limita a riproporre cliché e messaggi già visti, privi dell’impatto emotivo e della complessità che hanno reso il classico del 1994 un capolavoro senza tempo.

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