Sin dalla scena finale di Scappa – Get Out, pellicola definita da alcuni già un cult, lo spettatore aveva ancora voglia di visionare un altro film di Jordan Peele, regista della stessa. Viene definito da tanti “l’uomo che riesce a toccare le più antiche inquietudini psicologiche che risiedono nei meandri della nostra mente”, e questa piccola allegoria viene estrapolata dal suo cadere sempre in piedi qualsiasi cosa accada, ed è anche per questo che, nel 2018, portò a casa l’Oscar per la “miglior sceneggiatura originale”, elevando il suo nome e quello di un cast non ancora definito e conosciuto.
Jordan Peele, attore e doppiatore di produzioni comiche, cominciò il suo cammino da regista da tutt’ altra direzione: piuttosto di dirigere e sceneggiare show televisivi e cinematografici dai temi commedy, il regista decise di esser l’inadatto della situazione, buttandosi a capofitto in un mondo a lui totalmente sconosciuto, l’horror. Ad oggi è uno dei pochi sceneggiatori dell’orrore salvabili che, dopo aver distrutto tutto in modo positivo con “Scappa- Get Out”, una pellicola horror dai temi psicologici, con un cast non propriamente “famoso”, ha deciso di cimentarsi nella sua seconda opera intitolata Us (in italiano Noi).
Ambientata nei giorni nostri, la pellicola vede Adelaide Wilson, interpretata da una strepitosa Lupita Nyong’o, una donna che torna alla sua casa d’infanzia sul mare con il marito Gabe (Winston Duke) e i due figli (Shahadi Wright Joseph e Evan Alex) per un’idilliaca vacanza estiva. Tormentata da un trauma irrisolto del suo passato e sconvolta da una serie di inquietanti coincidenze, Adelaide sente crescere e materializzarsi la sua ossessione e capisce che qualcosa di brutto sta per accadere alla sua famiglia. Dopo un’intensa giornata trascorsa in spiaggia con i loro amici, i Tyler, Adelaide e la sua famiglia tornano a casa. Quando cala l’oscurità, i Wilson vedono sul vialetto di casa la sagoma di quattro figure che si tengono per mano. Noi traccia la contrapposizione fra un’affettuosa famiglia americana e un terrificante e misterioso avversario: i sosia di ciascuno di loro.
É qui che comincia l’avventura nel parco divertimenti di Peele, tutto così accurato e minuzioso da rendere la visione alquanto “morbosa”. Partiamo dalla regia, Jordan sembra aver curato alla perfezione questo punto, una simmetria ed una centralità che va a riprendere la falsa riga di Shining, regia di Kubrick. La cromatura è ben curata e distinta, così come la scelta delle luci calde e fredde all’interno delle varie scene. L’idea geniale dei costumi con i vari oggetti di scena di uso comune sono così accurati da esser pronti per i cosplayer di tutto il mondo.
La trama, punto principale e fondamentale della pellicola va ad affermare un lavoro minuzioso, al tal punto da far sembrare Peele un gradino avanti a tutti per la sua idea intrinseca di sangue e di denuncia sociale. Questo punto dobbiamo dividerlo in due e distinguere l’intrattenimento dalla chiave di lettura alternativa. La prima citata è la pura goduria visiva che intrattiene: una giusta combinazione tra una dark commedy ed un horror psicologico, va a notarsi la penna e la forza passata da attore comico e devo dire che è tutto ben incastrato come un puzzle da 1000 pezzi. La psicologia dei personaggi è ben accurata, sorrisi imponenti ed occhi ben aperti vi daranno un senso di malessere non indifferente, una di quelle sensazioni che al giorno d’oggi non riesci a provare guardando una pellicola. Riguardo il secondo punto, la denuncia sociale è la chiave di lettura alternativa, introdotta dalle sue dichiarazioni riguardo il “non inserire persone bianche all’interno dei suoi film”.
Notiamo fin da subito un odio ben distinto con una famiglia secondaria che appare solo per creare una nota acidula al film, che verrà estesa in tutta la pellicola con citazioni come: “Che siete voi?” “Siamo Americani”, la quale si presenta come una chiara provocazione alla situazione odierna della pressione riguardo le etnie straniere. Altro esempio che va a discutere e comprendere molto, sono gli strani movimenti che vanno ad eguagliare gli attori della famiglia di etnia occidentale per scimmiottare ed insultare la famiglia con origini nere. Ma d’altronde dovevamo aspettarci questo e altro da Jordan Peele, lo scrittore ed ideatore di Scappa – Get Out, come avremmo dovuto aspettarci il twist finale che, ad esser sinceri, era prevedibile, ma comunque con tanti dubbi e riflessioni che vi porterete a casa per molte ore.
Questo suo modo di concludere i film può ricordare un altro maestro dei plot-twist finali, il regista Indiano M. Night Shyamalan: ad un primo impatto potrà sembrar così ma, continuando ad approfondire, le similitudini con il regista di “Unbreakable – Il Predestinato” e “Il Sesto Senso” si fanno via via meno palesi, lasciando il posto a dei rimandi di Stanley Kubrick per le varie forzature così esatte e ben equilibrate da non cadere nel ridicolo. C’è del Kubrick anche nella psicologia dei protagonisti che, interpretati a modo da un cast d’eccellenza, sembrano esser confezionati e pronti all’uso, senza sentire la stanchezza di sdoppiare la loro psiche.
Elemento discordante ma mai inadatto il padre, Gabe, interpretato da Winston Duke, che ha fatto si che tutto il film riuscisse ad avere una piccola via di fuga momentanea per chi, come tanti, ha bisogno di un momento calmo che li faccia riflettere su ciò che sta vedendo. Adelaide invece, reale protagonista del film, è eccellente e riesce a catturare lo spettatore con i suoi occhi sofferenti e telati da una mano di artigianato professionale. Un carattere forte e vivo che riesce a cambiare e mutare in maniera fluida senza troppe forzature, rendendola parte integrante della trama senza avere uno sbalzo psicologico così evidente. I figli interpretati da Tim Heidecker e Yahya Abdull-Mateen II sembrano non aver troppi problemi a sdoppiare la loro psiche pur avendo una giovanissima età: lo spettatore si troverà ad un certo punto a provare paura e timore per i due ragazzini, a causa dei tanti cambi psicologici, invasivi soprattutto per la ragazzina che ha sostenuto un peso ineguagliabile rispetto al fratello. Il tutto molto realistico e, per ciò, ancora più inquietante.
Ogni cosa fa sfondo e qualunque cosa crea magia: la mente creativa e bizzarra di Peele non smette di farci sorridere ed inquietare in egual misura, a tal punto da voler rivedere il film un’altra volta. Il suo modo di dirigere e di scrivere catturano appieno lo spettatore, catturandone lo sguardo ed immobilizzandolo con la sua arma migliore: l’oscurità evasiva. Colonne sonore cantate da cori di voci bianche e suoni striduli faranno si che vi guarderete più volte dietro per cercare la vostra piccola e tenera ombra, seduta lì ad aspettare che le luci si riaccendano per ritornare nella tana natia.
Tutto viene riassunto in un piccolo gioiello, dove solo i più acuti riusciranno a non soffermarsi sul brillante luccichio emanato da esso, ma andranno a guardare più sotto, notando i piccoli diamanti incastonati dal valore sconcertante.