[der Zweifel] Pino Daniele: Il tempo resterà ma l’importante è sapé sunà! – Recensione

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L’importante non è sapé parlà, l’importante è sapé sunà!

Giorgio Verdelli, regista di questo documentario, realizza un film dal sapore classico, epico, caricato a suon di buona musica e dalle testimonianze sincere di tutti coloro che ebbero a che fare con uno dei più grandi musicisti italiani del nostro panorama musicale, da due anni scomparso. Una tragedia, quella, che doveva essere ripercorsa attraverso il tempo, partendo dai primordi, quando si faceva le ossa per le vie della città partenopea, fino ad arrivare all’apice del suo successo. Tuttavia non è un film che vuole trasmettere allo spettatore e al fan più vecchio alcun velo di nostalgia amara. Non vi sono momenti in cui si sprofonda nel dramma e nel piagnisteo. Un film che tratta la vita di un grande cantante e musicista con la sua stessa tempra e carattere duro, forse un po’ cinico, distante ma pur sempre napoletano, allegro e disarmante, mai giù di morale.

Si assiste ad una lunga sfilata di volti ed epoche, dalle più lontane a quelle più recenti. Napoli è il luogo da cui inizia questo viaggio che ricopre circa vent’anni. Dagli amici d’infanzia, a quelli di scuola, ci parlano di un uomo cresciuto per strada, tra i vicoli stretti e scoscesi della città, delle giornate passate a parlare del più e del meno e di quelle in cui la musica blues e jazz era parte integrante dei loro discorsi. I vecchi componenti della band, quella con la quale Pino Daniele si è inizialmente formato e attraverso la quale ha potuto portare il suo messaggio oltre i confini della città ed oltre il golfo, si riuniscono ad uno ad uno per le vie trafficate e attendono l’autobus. Joe Amoruso, Tony Esposito, James Senese, Tullio de Piscopo, Rino Zurzolo, tutti e cinque, poco alla volta, montano sul bus arancione, come quando erano giovani e dovevano attraversare l’Italia per fare un concerto, partire per il tour. Ora girano per Napoli, stanno silenti con le facce verso l’esterno vincolato dai finestrini, e solo i pensieri, e i racconti più sommessi, le riflessioni, possono essere udite. Questa è con tutta certezza una delle immagini e sequenze più suggestive di tutta la pellicola che continua a scorrere con lieta leggerezza, alternata da continui spezzoni di concerti, dalla voce di Pino Daniele che riecheggia in vecchie registrazioni, intramezzata da quella narrante di Claudio Amendola. Il regista va a prendere di persona chiunque abbia qualcosa da dire e raccontare, e nascosto dalla telecamera, si fa largo in mezzo ai vasci e alle piazze, sotto i monumenti e ogni testimone da sempre inizio a un nuovo periodo della carriera musicale del grande artista, intaccata sempre da una o più canzoni che ci riportano indietro, alle radici, oppure subito in avanti, agli ultimi concerti per poi fare un lungo passo indietro.

Vari volti dello spettacolo, della musica, napoletana e non solo, parlano di un Pino Daniele che si è fatto strada da se. I più vecchi e fedeli compagni come Senese o Enzo Gragnaniello, sentono il dovere di fare di tutti quei loro pensieri e ricordi più nascosti, di quel tempo passato ma che comunque è sempre ritornato a prevalere su ognuno di noi e come il titolo suole consigliare, tutto quanto c’è di più fluttuante, uomini e case e strade, tutto questo diventa mano a mano più lontano e tende a scomparire; il tempo, e tutto ciò che dipende da esso, l’arte, le parole, la musica, il gesto, resteranno fino a quando qualcuno dirà basta. Massimo Ranieri, Renzo Arbore, Fiorella Mannoia, Eric Clapton, Giuliano Sangiorgi, Clementino, e molti altri, protagonisti attorno a quell’imponente figura che s’intervalla fra interviste o vecchi spezzoni in cui il suo animo resta sempre celato e che viene fuori dalle parole di questi artisti, amici e colleghi di lavoro. Molti hanno suonato con lui, altri ancora avrebbero voluto conoscerlo meglio e ciò che più sanno è senza dubbio il grande moto rivoluzionario che è avvenuto dopo la scrittura dei suoi primi testi e delle prime incisioni. Un uomo unico nel suo genere e unico nel suo campo, come Amendola afferma, capace di essere grande tanto quanto quegli artisti, jazzisti, cantanti venuti prima di lui. Con le sue canzoni Pino Daniele eccita il pubblico, lo incita ad ascoltare e al contempo riflettere. I suoi versi, le sue parole, scivolano tempestose con un messaggio di denuncia, di scalpore e rabbia contro i difetti di una città come Napoli, unica anch’essa nel suo genere, odiata e amata da quegli uomini che ne hanno cantato e recitato le bellezze, ma con maggior impeto e forza ne hanno denunciato i difetti. Come accade per Eduardo, ciò avviene di commedia in commedia, per Troisi, di film in film, e per quanto riguarda Pino Daniele, di canzone in canzone e di concerto in concerto, sotto l’applauso scrosciante di fan e sostenitori.

Pino DanieleUn viaggio che parte da un periodo all’altro, da personaggio in personaggio, senza cedere, come ho già detto, ai sentimentalismi, senza rendere il tutto una parabola stucchevole su un grande artista conosciuto in Italia come in tutta Europa e in America. Un musicista vero, che ha cambiato, prima di tutto, la terra da dove proviene e dove è cresciuto. Enzo Decaro parla di una Napoli divisa in centro e periferia, dove la periferia è a volte il centro e il centro è la periferia; tante città e tanti stili di vita in un’unica area metropolitana. Continua dicendo che Pino Daniele, in una città fondata sulla musica e che va avanti con quella, ha saputo mescolare vecchio e nuovo, sacro e profano, riuscendo a mettere tutti d’accordo. Si potrebbe parlare, come aggiunge Decaro, di una Napoli P.P. e una D.P., cioè Prima di Pino e Dopo Pino. Il giornalista Sandro Ruotolo i un pezzo del film, sente il dovere di dire come Pino e la sua musica non “siano state”, bensì “sono”; nei caffè, nelle piazze, per le strade, Pino è e non è stato. Questo sta a significare come la sua musica e le parole lo rendano un personaggio intramontabile sia per ciò che ha fatto sia per ciò che continuerà a fare, dando prova di continuare a influenzare ed emozionare. Un film a tutti gli effetti che vale la pena di essere visto, perché mette in luce anche quegli aspetti ed elementi che per anni non sono potuti essere stati analizzati con cura, dato il carattere scostante e un po’ orso dell’artista che cercava di schivare i commenti, le telecamere e le interviste. Dietro a quell’apparenza, dalla pellicola di Verdelli, s’intuisce come lui fosse, in verità, un perfezionista amante fino in fondo del lavoro che faceva, al quale, più che al successo, pensava al suo pubblico. I cinque artisti, sopra citati, appartenenti alla band primordiale, scendono da quell’autobus arancione, 159, e si abbandonano a commenti mentre attraversano Piazza del Plebiscito, luogo di ricordi e grandi successi.