[Recensione] Ant-Man di Peyton Reed – Miniaturizzazione e spionaggio industriale

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Dopo anni di pre produzione, tra problemi con il regista e conflitti d’impegni, arriva anche il tempo di Ant-Man, film diretto da Peyton Reed, su una sceneggiatura di Edgar Wright, Joe Cornish e Adam McKay, dodicesima pellicola del Marvel Cinematic Universe.

Originariamente previsto come progetto della Fase 1, dopo L’Incredibile Hulk e nelle salde mani di Edgar Wright, Ant-Man subisce uno stop a causa di alcune ingerenze produttive (NDR: Erano i primi tempi dell’MCU e dopo il flop di Hulk si navigava a vista), preferendo puntare su Iron Man 2, per fare cassa e collegarsi poi alla fine al progetto Vendicatori, anche senza Ant-Man, uno dei membri fondatori del supergruppo MArvel, considerando anche le differenti visioni dietro al progetto di Wright/Cornish e degli Studios. Nel gennaio 2013 Kevin Feige rivelò che Ant-Man avrebbe fatto parte della Fase Tre del Marvel Cinematic Universe e nel maggio seguente, Feige disse che lo script aveva bisogno di alcune modifiche per trovare spazio nell’intricato mosaico del MCU. Ad Agosto 2013, Wright conferma di aver terminato la sceneggiatura con dei riadattamenti e che il film sarebbe stato parte dell’Universo Cinematografico Marvel ma che sarebbe stato più un film a sé rispetto agli altri film Marvel.

Il film inizia con Scott Lang (Paul Rudd), un ex detenuto ed esperto ingegnere, che dopo un riuscito (dipende dai punti di vista) furto ai danni del Dr Hank Pym (Michael Douglas), viene reclutato da quest’ultimo e dalla figlia, Hope van Dyne (Evangeline Lilly) per fermare Darren Cross (Corey Stoll), ex protetto di Pym che ora ha sviluppato una tecnologia in grado di far cambiare dimensioni all’essere umano. Quello che però il mondo non sa, è che questa tecnologia era già stata sviluppata da Pym stesso durante la Guerra Fredda, come membro del neonato S.H.I.E.L.D. e che lo stesso Hank aveva nascosto per paura dell’uso che qualcuno con meno scrupoli di lui o lo stesso SHIELD potessero usarla. Scott diventerà quindi il secondo Ant-Man e grazie all’aiuto di Hope e di suoi amici criminali, tra cui Luis (Michael Pena) metterà a segno il furto della vita.

La sceneggiatura è quanto di più semplice potessero inventarsi: rimaneggiando l’origine di Scott Lang mischiandola a quella di Eric O’Grady, con l’aggiunta di un po’ dello stile retrò e divertente di alcune prime avventure di Hank Pym come Ant Man, e mettendoci un nemico assolutamente improbabile che riprende e rielabora  una delle identità più psicotiche di Pym, i 3 sceneggiatori presentano un prodotto semplice, lineare ma soprattutto divertente per il suo essere diverso da tutto quello che abbiamo visto nel MCU fin ora.

Il regista Peyton Reed, che prima di questo filma veva avuto nel suo curriculum per lo più commedie, non solo non aveva l’appelle di Edgar Wright (NDR: Regista in precedenza annunciato e che ha curato in parte la sceneggiatura) presso il grande pubblico e i fan ma non lo aveva nemmeno presso i Marvel Studios, tant’è che il successo di Ant-Man, al box office e di critica fu insperato e fu subito un sequel (previsto per Luglio 2018). Cosa avrà mai fatto Reed per rendere degno di nota il suo film? Semplicemente ha fatto il suo lavoro senza ingerenze, con una sceneggiatura degna di nota realizzata da tre grandi nomi. L’azione del film è veloce, piena di colori e momenti che sono quasi da parodia del genere, inoltre l’uso sapientemente dei primi piani e degli ingrandimenti di oggetti, persone e insetti (non dimenticandoci del carro armato) hanno caratterizzato la pellicola, conferendogli originalità.

Il cast è sicuramente un altro punto di forza. Paul Rudd presso chi conosce le commedie hollywoodiane godrà di un certo credito mentre Michael Douglas è invece un nome ben affermato del panorama, con all’attivo film come Wall Street, Basic Instict, Un Giorno di ordinaria follia, ecc… I due sullo schermo funzionano dannatamente bene e hanno una sinergia tipica del genere “Legacy Action”, ossia lo scavato professionista e il giovane che tenta, anche contro voglia, di imparare il mestiere. In più nel mezzo ci si mette Hope, interpretata da Evangeline Lilly, personaggiuo che ha preso tutta la bellezza dalla madre e l’intelligenza dal padre e quindi sarebbe la scelta perfetta per la tuta, fornendo così anche quella attrazione (quasi) pericolosa tra Lang e la Van Dyne, che decisamente aggiunge qualcosa anche a livello di costruzione dell’eredità dei Pym.

Completano il lavoro dei buoni effetti speciali che, a differenza di quelli di altre produzioni dello stesso anno o di più alto profilo dell’MCU (vedi The Avengers), reggono ancora sommati poi a dei character design memorabili, dalla tuta di Ant-Man a quella del Calabrone, che ti fa ricordare molto di più il cattivo per le sue azioni “in tutina” rispetto a quello che fa, decisamente nella norma per un personaggio del genere.

Ant-Man si dimostra un ottimo heist movie che, seppur racconti di un supereroe, si concentra molto di più sull’uomo e sull’azione rispetto al lato puramente super, permettendo al film di mantenere per tutto il tempo una sua originalità e una sua identità.

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