[Recensione] Divinity II di Matt Kindt e Trevor Hairsine

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Divinity II

Torniamo ancora una volta, sempre grazie a Star Comics, nell’universo della Valiant Comics, e continuando ad osservare l’operato dell’onnipotente Divinity, eroe (?) dagli illimitati poteri in grado di cambiare a suo piacimento la realtà che lo circonda a seconda del suo giudizio.
Soggetto di un progetto segreto dell’Unione Sovietica, Abram Adams è stato lasciato a vagare nello spazio per 30 anni con l’obbiettivo di esplorare e di conquistare in nome della Madre Russia. Ma il piano non va esattamente come Abram e I suoi istruttori si aspettano: raggiunti il confine della galassia, il ragazzo viene infatti a contatto con una misteriosa entità che lo cambia nel profondo. Gli anni trascorrono, e rientrato sul suo pianeta natio, carico di buoni e nuovi propositi, Adam è pronto a cambiare la realtà come meglio crede… Ma sarà davvero un bene?

Dopo essersi confrontato con gli eroi di Unity, Divinity è stato rinchiuso in una piccolo “bolla” in cui la realtà si plasma secondo il suo volere, trovando in essa la pace. Pace che viene minacciata quasi immediatamente da dei veri e propri fantasmi del suo passato: scopriamo infatti che Abram non venne mandato da solo nello spazio, e che non fu il solo ad essere cambiato dalla misteriosa entità aliena che lo ha trasformato in quello che è ora. Tornata anche lei sulla Terra, la compagna Valentina, i cui ideali russi sono sopravvissuti al viaggio nello spazio, è rimasta inorridita da come i suoi compatrioti hanno dimenticato il proprio retaggio, ed ora è intenzionata a cambiare il corso stesso della storia, ed è pronta a tutto pur di riuscire a riportare la Russia e il resto del mondo ai suoi antichi splendori.
Esattamente come se si trattasse di scrivere un sequel cinematografico, lo sceneggiatore Matt Kindt rimane coerente nello scrivere la sceneggiatura di questo secondo capitolo: ad esempio riprendendo, seppur brevemente, i salti avanti e indietro nel tempo nella battaglia tra questi due esseri potentissimi. Divinity è come se si trovasse di fronte ad uno specchio, si trova ad affrontare ciò che sarebbe dovuto diventare se la sua umanità fosse morta insieme alla sua amata e alla loro figlia. Ed è proprio questo che rende così diversi i due: Adam ha ritrovato la sua umanità, ha compreso le sue potenzialità e le vere responsabilità che queste comportano, e sopratutto ha smesso di vivere nel passato, cosa che sembra invece impossibile da concepire per Valentina, completamente asservita alla sua fede “rossa”. Torna anche la concezione del tempo come un libro, impossibile da riscrivere in maniera radicale, un libro in cui l’uomo, anche quello “superior” per citare i mutanti della Marvel, altro non è che una variabile insignificante, un peso di soli 21 grammi.
Queste “espressioni” vengono sviluppate nel corso di un lungo scontro, sia fisico che mentale, tra i due semi dei, e non mancano dei momenti in stile “what if”, in cui ci viene mostrato un possibile presente in cui la Russia di Stalin ha contaminato gli eroi della Valiant. Ma di questo ne parleremo prossimamente.

La coerenza rimane anche per quanto riguardo l’aspetto grafico di questo secondo capitolo, sempre affidato a Trevor Hairsine, anche se, comparando i due titoli, sembra che ci sia stato un miglioramento per quanto riguarda i dettagli abbozzati che, a parere di chi ha scritto queste recensioni, avevano leggermente penalizzato la resa grafica del primo capitolo.
Di un gradino sopra il suo prequel, questo secondo capitolo è anche una introduzione a quello che si prospetta come uno stravolgimento molto interessante (e anche tamarro, lasciatemelo dire) dell’universo Valiant: lo Stalinverso sta per sorgere!


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