[Recensione] Iron Fist: L’Arma Vivente di Kaare Andrews – Danny Rand goes to hell

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Iron Fist L'Arma Vivente

La scorsa settimana Panini Comics ha ripubblicato in volume Iron Fist: L’Arma Vivente di Kaare Andrews, maxiserie in 12 numeri che è stata originariamente pubblicata come parte dell’iniziativa All-New All-Different Marvel.

Ma chi è Kaare Andrews? Andrews è soprattutto noto per aver scritto e disegnato Spider-Man: Il Regno, fumetto che vede un Peter Parker invecchiato guardarsi indietro e capire molti dei suoi sbagli che lo hanno portato ad appendere il costume al chiodo – sarà poi la sua storia sull’Immortale Iron Fist a lanciarlo come talento di casa Marvel e lo porterà poi sulla strada che gli ha permesso di pubblicare con successo anche Renato Jones, serie per Image Comics.

In questa maxiserie vediamo un Danny Rand che ormai è stato troppo tempo lontano da K’un L’un e ha trascurato i suoi doveri e proprio ora, essi bussano alla sua porta. Pei, una bambina monaca della città Immortale dove lui ha studiato le arti marziali lo avverte di un pericolo imminente, il Tonante è morto e Davos sta arrivando a reclamare la sua vendetta. Danny dovrà passare letteralmente attraverso l’inferno e affrontare i suoi demoni personali che gli si presentano addirittura sotto forma di un robot con la faccia del padre, per poter tornare a padroneggiare la tecnica del Pugno D’Acciaio e riuscire quindi ad essere il difensore di cui K’Un L’Un ha bisogno e di cui anche la terra necessità nel momento raro in cui le due realtà si incontrano.

Come si può evincere dalla trama, Iron Fist L’Arma Vivente è una storia di caduta e rinascita, una storia in cui Danny tocca ancora di più il fondo e che lo fa rinascere a nuova vita, con una nuova consapevolezza del chi e nuovi modi per attingere ad esso. Attraverso la storia di Danny veniamo a conoscenza di tutti i dettagli che possono servire per la risoluzione del mistero e per capire la psicologia dell’ultimo superstite della dinastia Rand. Un uomo che ha ancora qualcosa del bambino che ha perso i genitori sulle montagne, un uomo con un egoismo bambinesco che difficilmente sarebbe identificabile come l’eroe della storia.  In questo suo essere bambino ancora, Danny è un personaggio tremendamente malinconico che rimpiange un’epoca più semplice e lo fa vestendo un costume anche sgargiante e che sembra proprio fuoriuscito da un sogno di una mente infantile e ora questa nuova sfida lo porterà finalmente ad avere la consapevolezza che è necessità dell’Iron Fist.

Andrews realizza una storia ad alto contenuto action, senza sacrificare la narrazione, la tavola diventa il suo modo di esprimere tutto, i baloon ci fanno addentrare nella mente dei personaggi mentre i disegni ci raccontano una storia, anzi più storie; abbiamo quella del giovane ricco che si ritrova in una mistica città, quella della ragazza che ha amato, quella della giovane ragazzina che vuole perseguire i suoi sogni nel mondo esterno e quella dell’Iron Fist, un personaggio in divenire mai definito da una singola caratteristica caratteriale, ma sempre difensore della città immortale.


Trascende la cupezza e l’inquietudine la rappresentazione dell’inferno per Danny, che qui è una paura ancestrale di non riuscire a recuperare qualcosa che pensava di essersi guadagnato, ma che forse, sotto sotto, sapeva di non aver ancora compreso a fondo. Danny infatti dovrà trascendere le sue paure, legate ad un’infanzia troncata e diventare molto più che un guerriero, deve diventare l’Arma Vivente.

Nella più pura tradizione Milleriana, Andrews realizza delle illustrazioni raramente così belle e d’impatto, dove la violenza diventa quasi arte quando la disegna, dove le arti marziali diventano un’arma ancora più distruttiva di una qualsiasi pistola, dove la dinamicità e il contesto si fondo per creare qualcosa di unico, un esempio su tutti, il pugno di Danny che si protrae per più pagine prima di colpire la creatura, l’esempio di come un potente chi concentrato nel solo pugno possa trascendere il tempo e rendere lungo e doloroso, un evento di un istante.

C’è da dire che Andrews non nasconde le ispirazioni prese da un maestro come Frank Miller e anzi lo omaggia in più punti a partire dalla scena in cui Danny e il suo amore giovanile sono uniti a letto e si confessano tra le lenzuola, evidente citazione a Devil: L’Uomo Senza Paura (seppur quello illustrato da John Romita Jr su sceneggiatura di Miller).

Nella tradizione di tutte queste maxistorie, anche qui viene data una rispolverata alle origini del personaggio e quindi fa di questo titolo un ottimo starting point per chi vuole iniziare a leggere Iron Fist per la prima volta. Ma è anche un racconto con immagini potenti e un protagonista più fallace di qualsiasi classico eroe Marvel, perché sua caratteristica una certa malinconia di fondo, che non riesce ad esorcizzare, non è la storia finale di Pugno D’Acciaio è solo un capitolo per gli Immortali Pugni D’Acciaio.

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