All’improvviso, dal nulla, senza praticamente il minimo preavviso, repentina tanto quanto questo incipit, viene annunciata durante il Super Bowl 2018 la nuova pellicola ambientata nel cosiddetto CloverVerse, The Cloverfield Paradox. In realtà c’erano state avvisaglie, campagne di marketing virale lungo tutto il mese passato come ad esempio la riattivazione il sito Tagruato.jp, la multinazionale protagonista silenziosa dei primi due capitoli, che annunciava la nascita di un progetto rivoluzionario di matrice energetica. Ci aspettavamo questo film sotto un altro nome, The God Particle, ma una serie di vicissitudini a partire dal fallimento della InSurge, che avrebbe dovuto produrre il film, hanno portato poi ad avere Paradox sulla piattaforma di streaming, Netflix. Ma approfondiremo la storia del franchise in un altro articolo, ora parliamo del film.
L’attesa per questo film era tanta, specie dopo 10 Cloverfield Lane che, com’è tipico di J.J. Abrams, produttore della serie, non solo non aveva concesso risposte alle questioni rimaste aperte con il primo capitolo, ma ne aveva aggiunte di altre, regalando al pubblico una coppia di film il cui filo comune è il topic dell’invasione aliena e dei protagonisti impotenti alla minaccia. In The Cloverfield Paradox la sceneggiatura esce da questi canoni, rifugiandosi in un horror/sci-fi che suona tremendamente di già visto. Ma andiamo per ordine: trama nello spoiler!
Parlando prima di tutto del comparto visivo, sono dell’idea che questo film venga penalizzato dal modo in cui è stato rilasciato al pubblico. Netflix, sebbene sia una piattaforma molto più rapida e capillare che ha giovato moltissimo alla diffusione del “brand” Cloverfield, ha il grande difetto di essere eterogeneo per quanto riguarda i device su cui è utilizzato, la mia prima esperienza con questo film è fondamentalmente lontana da chi possiede un 4k HDR o ha accesso all’applicazione solo da uno smartphone. Ho visto il film su un 1080p senza troppe feature e, mentre le ambientazioni piccole risultano chiare, ben visibili e anche ben disegnate, ci sono punti della nave stessa o ad esempio le parti in CGI dell’esterno della Stazione Spaziale che risultavano piatti, poco dettagliati, cosa che non sarebbe successa se l’obiettivo fosse stato il cinema, con una distribuzione degna e, diciamolo, con un’unghia di budget in più. Per il resto siamo secondo me di poco sotto la sufficienza, soffrendo anche le aspettative che il franchise comporta. Sembra chiaro come l’obiettivo di The Cloverfield Paradox non sia quello di portare un film memorabile ma di piazzare un tassello fondamentale nel grande progetto che Abrams sta man mano svelandoci. Lo stesso discorso vale per il sonoro, il pacchetto di suoni sci-fi senza lode nè infamia è ovunque, lo sforzo maggiore è nelle urla fuori campo che fino all’ultimo ti tengono con il dubbio se ad emetterlo sia un mostro o un essere umano, sempre roba già vista ma qui la sospensione c’è e viene sfruttata.
Passiamo ora al cast, davvero ampio e con tante figure da tenere in considerazione. La protagonista, interpretata da Gugu Matha-Raw (sì, la Kelly che tutti amiamo di San Junipero), compie un buon lavoro e risulta la migliore insieme a Elizabeth Debicki, nel ruolo di Jensen, e a Daniel Bruhl (Schmidt) che ormai è una certezza nel risultare credibile in qualsiasi ambito. Gli altri, va detto, sono un massacro: nessuno di loro riesce ad avere un’interpretazione al limite dell’accettabile, il peggiore in assoluto è Roger Davies, che dà il volto al marito di Ava Hamilton, che per tutto il film qualsiasi cosa gli accada risulta annoiato e infastidito, persino quando vede un oggetto grande come un palazzo muoversi. Anche Chris O’Dowd non spicca, rimanendo un po’ troppo invischiato nella linea comica, ma risulta più un difetto di scrittura che un suo lavoro mal riuscito. E proprio di scrittura che si pecca: all’inizio la sensazione è che tutta la situazione sia consistente, plausibile, ma mano a mano che la pellicola scorre ci si accorge che, se la trama si sta inesorabilmente appoggiando a clichè del genere, l’equilibrio tra i personaggi si regge unicamente sul contrasto tra i personaggi seri e la linea comica di O’Dowd, zero dinamismo. Se c’è un vero punto a favore globale per quanto riguarda il cast sono i costumi, curati e ben disegnati allo stesso modo in cui lo sono gli ambienti interni, Jensen sembra uscita da un episodio di Mass Effect.
I dubbi sono tanti, non lo neghiamo. L’esistenza di questo film dal punto di vista del CloverVerse, chiude molte domande che si erano aperte nel tempo e il senso d’insieme che si sta per concretizzare è davvero l’unica giustificazione che ha a fronte di un prodotto, c’è da dirlo, poco valido e con dei tòpoi triti e ritriti. Tutto ciò però ha una conseguenza che non possiamo non apprezzare: il fascino del primo Cloverfield, ormai prodotto 10 anni fa, aumenta sempre di più.