[Recensione] The Cloverfield Paradox – L’Inizio della fine

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The Cloverfield Paradox

All’improvviso, dal nulla, senza praticamente il minimo preavviso, repentina tanto quanto questo incipit, viene annunciata durante il Super Bowl 2018 la nuova pellicola ambientata nel cosiddetto CloverVerse, The Cloverfield Paradox. In realtà c’erano state avvisaglie, campagne di marketing virale lungo tutto il mese passato come ad esempio la riattivazione il sito Tagruato.jp, la multinazionale protagonista silenziosa dei primi due capitoli, che annunciava la nascita di un progetto rivoluzionario di matrice energetica. Ci aspettavamo questo film sotto un altro nome, The God Particle, ma una serie di vicissitudini a partire dal fallimento della InSurge, che avrebbe dovuto produrre il film, hanno portato poi ad avere Paradox sulla piattaforma di streaming, Netflix. Ma approfondiremo la storia del franchise in un altro articolo, ora parliamo del film.
L’attesa per questo film era tanta, specie dopo 10 Cloverfield Lane che, com’è tipico di J.J. Abrams, produttore della serie, non solo non aveva concesso risposte alle questioni rimaste aperte con il primo capitolo, ma ne aveva aggiunte di altre, regalando al pubblico una coppia di film il cui filo comune è il topic dell’invasione aliena e dei protagonisti impotenti alla minaccia. In The Cloverfield Paradox la sceneggiatura esce da questi canoni, rifugiandosi in un horror/sci-fi che suona tremendamente di già visto. Ma andiamo per ordine: trama nello spoiler!

Mostra

La protagonista è Ava Hamilton, Ufficiale Scientifico dell’ESA, scelta per una missione spaziale. Siamo sulla Cloverfield Space Station, centro di ricerca per lo sviluppo dello Shepard Particle Accelerator e ottenere il cosiddetto Paradosso di Cloverfield tramite la creazione di una macchina con un rendimento maggiore del 100% in grado di generare più energia di quella che assorbe. Poco prima del primo tentativo fallito mostrato nel film, un intervistato in televisione, Mark Stambler (Donal Logue) ci avvisa della potenziale catastrofe che il Paradosso può portare sulla terra, con l’apertura di varchi extradimensionali e la rottura del tessuto spazio-temporale, portando il caos nel passato, nel presente e nel futuro. Alla prima accensione fruttuosa avviene un inaspettato overload della struttura che riporta diversi danni. Durante il check ci si accorge di ciò che dà il via alla trama: la scomparsa della terra. A questo si aggiungono anomalie via via sempre più gravi che mettono a repentaglio la salvaguardia dell’equipaggio, l’evento più significativo è il ritrovamento di un’estranea tra le paratie della stazione, trapassata da cavi e tubature. La donna, Jensen, si rivela essere un componente dell’equipaggio, grazie al suo contributo e ai suoi sospetti finalmente si arriva alla soluzione, il Paradosso ha sortito l’effetto previsto all’inizio del film a causa di un Bosone di Higgs(la particella di Dio, ndr), la nave e tutto il suo equipaggio sono stati trasportati in una dimensione parallela molto simile, e le anomalie sono un risultato della sovrapposizione delle due realtà. Nel frattempo sulla terra è il caos, sui social si paventa la possibilità che la crisi energetica Mondiale abbia portato ad un’invasione Russa su territorio Americano, e Michael Hamilton, marito di Ava, in fuga verso l’ospedale, nel tentativo di salvare una ragazzina, intravede nella nebbia e nella polvere, qualcosa di colossale muoversi. Nel frattempo sulla stazione si accorgono non di essere in un punto indefinito ma nel punto sbagliato del sistema solare, decidono quindi di far rotta per l’orbita terrestre e riportare Jensen sulla sua terra e Ava decide di seguirla per ritrovare i suoi due figli che nella sua realtà erano morti in un incendio dovuto ad un suo errore. La crew rimasta giunge alla conclusione che replicando l’overload e grazie al principio di entanglement quantistico sarebbero tornati senza difficoltà nella loro realtà. Jensen a questo punto si tramuta nel villain della situazione, non può permettere che la tecnologia funzionante possa sparire e decide di eliminare tutto l’equipaggio. Dopo una strenua lotta Jensen viene sconfitta, la crew rimanente, composta da Hamilton e Schmidt riattiva l’acceleratore di particelle e torna nella propria dimensione, per poi lanciarsi con una capsula di salvataggio sulla terra. La capsula viene intercettata dal mostro del primo Cloverfield come un cane interceterebbe un croccantino.

Parlando prima di tutto del comparto visivo, sono dell’idea che questo film venga penalizzato dal modo in cui è stato rilasciato al pubblico. Netflix, sebbene sia una piattaforma molto più rapida e capillare che ha giovato moltissimo alla diffusione del “brand” Cloverfield, ha il grande difetto di essere eterogeneo per quanto riguarda i device su cui è utilizzato, la mia prima esperienza con questo film è fondamentalmente lontana da chi possiede un 4k HDR o ha accesso all’applicazione solo da uno smartphone. Ho visto il film su un 1080p senza troppe feature e, mentre le ambientazioni piccole risultano chiare, ben visibili e anche ben disegnate, ci sono punti della nave stessa o ad esempio le parti in CGI dell’esterno della Stazione Spaziale che risultavano piatti, poco dettagliati, cosa che non sarebbe successa se l’obiettivo fosse stato il cinema, con una distribuzione degna e, diciamolo, con un’unghia di budget in più. Per il resto siamo secondo me di poco sotto la sufficienza, soffrendo anche le aspettative che il franchise comporta. Sembra chiaro come l’obiettivo di The Cloverfield Paradox non sia quello di portare un film memorabile ma di piazzare un tassello fondamentale nel grande progetto che Abrams sta man mano svelandoci. Lo stesso discorso vale per il sonoro, il pacchetto di suoni sci-fi senza lode nè infamia è ovunque, lo sforzo maggiore è nelle urla fuori campo che fino all’ultimo ti tengono con il dubbio se ad emetterlo sia un mostro o un essere umano, sempre roba già vista ma qui la sospensione c’è e viene sfruttata.
Passiamo ora al cast, davvero ampio e con tante figure da tenere in considerazione. La protagonista, interpretata da Gugu Matha-Raw (sì, la Kelly che tutti amiamo di San Junipero), compie un buon lavoro e risulta la migliore insieme a Elizabeth Debicki, nel ruolo di Jensen, e a Daniel Bruhl (Schmidt) che ormai è una certezza nel risultare credibile in qualsiasi ambito. Gli altri, va detto, sono un massacro: nessuno di loro riesce ad avere un’interpretazione al limite dell’accettabile, il peggiore in assoluto è Roger Davies, che dà il volto al marito di Ava Hamilton, che per tutto il film qualsiasi cosa gli accada risulta annoiato e infastidito, persino quando vede un oggetto grande come un palazzo muoversi. Anche Chris O’Dowd non spicca, rimanendo un po’ troppo invischiato nella linea comica, ma risulta più un difetto di scrittura che un suo lavoro mal riuscito. E proprio di scrittura che si pecca: all’inizio la sensazione è che tutta la situazione sia consistente, plausibile, ma mano a mano che la pellicola scorre ci si accorge che, se la trama si sta inesorabilmente appoggiando a clichè del genere, l’equilibrio tra i personaggi si regge unicamente sul contrasto tra i personaggi seri e la linea comica di O’Dowd, zero dinamismo. Se c’è un vero punto a favore globale per quanto riguarda il cast sono i costumi, curati e ben disegnati allo stesso modo in cui lo sono gli ambienti interni, Jensen sembra uscita da un episodio di Mass Effect.
I dubbi sono tanti, non lo neghiamo. L’esistenza di questo film dal punto di vista del CloverVerse, chiude molte domande che si erano aperte nel tempo e il senso d’insieme che si sta per concretizzare è davvero l’unica giustificazione che ha a fronte di un prodotto, c’è da dirlo, poco valido e con dei tòpoi triti e ritriti. Tutto ciò però ha una conseguenza che non possiamo non apprezzare: il fascino del primo Cloverfield, ormai prodotto 10 anni fa, aumenta sempre di più.

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