[Recensione] Tre Manifesti a Ebbing, Missouri – Umanità e vendetta

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Tre Manifesti Fuori Ebbing, Missouri

Fin dove siete disposti ad arrivare pur di arrivare alla verità? Dove tracciate quella linea sulla sabbia da non oltrepassare? Fino a che punto la vendetta muove indisturbata le azioni di una persona, e quand’è che si scontra con la realtà e il senso di sopravvivenza proprio dell’essere umano? Queste sono le domande che Tre Manifesti a Ebbing, Missouri ha l’intenzione di risolvere, il film scritto e diretto da Martin McDonagh, famoso anche per In Bruges e 7 Psychopaths, oltre che per la sua ventennale attività come drammaturgo nei teatri del Regno Unito.

tre manifestiNon è affatto semplice parlare di Tre Manifesti. La storia del film coinvolge tantissimi sentimenti che il regista porta avanti in modo molto sapiente al medesimo passo, il cui antefatto è tanto semplice da raccontare quanto complesse e sfaccettate sono le sue conseguenze: la figlia di Mildred Hayes (Frances McDormand), Angela, è la vittima dell’omicidio con stupro che ha scosso la comunità di Ebbing, Missouri. Si possiede il DNA dell’assalitore ma non la sua identità, ancora incognita, e Mildred, dopo 7 mesi, non riesce ovviamente a darsi pace. Per riaccendere i riflettori sulla vicenda, che altrimenti sarebbe finita nel dimenticatoio, Mildred decide di affittare tre enormi spazi pubblicitari su una strada poco trafficata fuori città, in cui fa scrivere, in nero su sfondo rosso con un Impact forte e chiaro “RAPED WHILE DYING”, “AND STILL NO ARREST?” e “HOW COME, CHIEF WILLOUGHBY?”. Questi sono solo i primi quindici di un film da 110′ in cui gli eventi di una sceneggiatura molto asciutta e diretta vengono narrati, le scene si susseguono ad un ritmo mai troppo accelerato ma mai dispersivo, c’è sempre un filo diretto tra cause ed effetti anche a volte a discapito dell’orientamento temporale. Alcuni eventi, lontani tra loro dal punto di vista del minutaggio, risultano in realtà profondamente connesse, alcuni dettagli che lì per lì sembrano essere delle forzature narrative ad un occhio distratto, sono in realtà perfettamente giustificabili e il film, infine, risulta perfettamente organico. Ebbing appare da subito un luogo con radici profonde, e sebbene i luoghi in cui la vicenda si dipana si possano contare sulle dita di una mano, il complesso risulta ben strutturato, e i rapporti tra i personaggi, consumati e pieni di scheletri nell’armadio, amplificano la tridimensionalità con i loro dialoghi sempre diretti al punto e arricchiti con uno slang estremamente caratterizzante.

tre manifestiSul piano visivo la regia non compie evoluzioni miracolose, la cinepresa (quasi) sempre ad altezza d’uomo è indice perfetto di una storia umana ed incollata a terra, sebbene ci siano alcuni campi lunghi e alcune sequenze molto lunghe ben architettate che valorizzano moltissimo anche il lavoro attoriale, di cui però parleremo nel dettaglio dopo. Sì da particolare importanza ai volti, alle espressioni e alle emozioni dei personaggi che in quel momento presenziano la scena, e ciò potenzia ancora di più la rete conflittuale di relazioni tra i personaggi. Lo studio calibrato vero e proprio però è indubbiamente sull’utilizzo narrativo dei colori: i colori neutri dominano le scene di vita quotidiana, anche il verde del manto d’erba che circonda casa Hayes sembra spento, autunnale. E’ quando il rosso compare sulla scena che la trama subisce uno scossone, le sorti del finale cambiano in modo inaspettato scatenando quella catena di cause ed effetti di cui parlavamo prima: il rosso dei manifesti, il rosso del sangue, il rosso del fuoco, sempre riferito ad eventi di violenza e sofferenza.

I personaggi, com’è giusto che sia, non si discostano molto da quello che può essere lo stereotipo del countryside americano, il redneck del 21° Secolo, e – qui arriva il massimo pregio di Tre Manifesti – tutti gli attori compiono un lavoro eccellente, non ci sono altri termini per rappresentare la nostra opinione in questo caso, semplicemente eccellente. La McDormand e Sam Rockwell su tutti ovviamente che ad oggi 11 Gennaio hanno già preso il loro riconoscimento, ma personalmente spero in cuor mio che anche Woody Harrelson riesca ad ottenere almeno un BAFTA, con un ruolo, quello del capo della polizia Willoughby, davvero toccante e ironico al tempo stesso. Sam Rockwell interpreta alla grande un hillybilly ignorante, nostalgico e con un rapporto iperprotettivo nei confronti della madre, ma che lascia trapelare una vena di ingenua bontà puntualmente celata da atteggiamenti e azioni beceri. Infine Frances McDormand senza dubbio la migliore del film, i suoi tratti duri ma estremamente emozionali sono perfetti per il ruolo per cui è stata scelta, in alcuni punti potremmo quasi dire che l’attrice sia emotivamente coinvolta per quanto risulti naturale anche nelle scene più complesse. E’ da Fargo (1996) che la McDormand ci dimostra di essere una mamma con le palle quadrate. Apro una rapidissima parentesi invece sul ruolo di Peter Dinklage, del tutto circostanziale ma che assume un millimetro di profondità in più grazie al suo nanismo, ma ci chiediamo quanto fosse necessario. Ammetto che la sua è una questione spinosa da affrontare, fortunatamente è un ottimo attore e non possiamo lamentarci.

tre manifesti

Tre Manifesti a Ebbing, Missouri è un film che mette a nudo i suoi personaggi, descrivendoli in una realtà vera e senza estremi cinematografici. Porta a galla le frustrazioni di una madre che, su tutti, ha l’estremo rimorso delle ultime parole dette ad una figlia; dell’umanità e dei difetti che si celano dietro ad una divisa da poliziotto; in sostanza, rappresenta in modo preciso i lati chiari e i lati oscuri di ogni persona, e di quanto gli uni o gli altri possano prevalere in base alle circostanze che la vita ci offre, positive o negative che siano. Il film è uscito l’11 Gennaio nelle sale, non perdetevelo!

Di seguito vi linkiamo anche la recensione degli amici di Why So Serial?, buona lettura!

Tre manifesti a Ebbing, Missouri: Lei contro la città