Dopo l’inaspettata candidatura agli Oscar con The Martian e il controverso Alien Covenant, Ridley Scott torna dietro la macchina da presa con “Tutti i soldi del mondo”, che narra l’intrigante vicenda del rapimento, avvenuto a Roma nel 1973, di John Paul Getty III (Charlie Plummer), nipote dell’allora uomo più ricco del mondo, il petroliere Jean Paul Getty (Christopher Plummer).
Al di là della vicenda di particolare rilevanza che scosse il mondo intero nel ’73, il film ha fatto parlare di sé già ben prima della sua uscita nelle sale, a causa di una particolare scelta di Scott: in seguito alle pesanti accuse sessuali piovute addosso a Kevin Spacey, inizialmente scelto per il ruolo del magnate nel film, ha pensato bene di tagliare tutte le scene già girate e di rimpiazzarlo in tempi record con Christopher Plummer, costringendo Michelle Williams, nei panni della madre di Getty III e Mark Wahlberg, nel ruolo dell’ex agente della CIA Fletcher Chace, a rigirare tutte le scene in cui comparivano insieme a Spacey.
Al di là del tran tran mediatico e dell’enorme fatica di Scott, però, com’è il film?
Molto buono, praticamente da Oscar.
Iniziamo subito a toglierci di mezzo i difetti, così da poter esplorare a fondo tutti i pregi di questa interessantissima pellicola: nonostante nella seconda parte il film stia con il piede puntato sull’acceleratore, con fughe mozzafiato, colpi di scena e dialoghi emozionanti, notiamo una forte flessione del ritmo immediatamente dopo il prologo che introduce i personaggi. Non nego di aver rischiato la catalessi più volte in venti minuti a causa dei problemi di ritmo di cui soffre il film.
Altro grande problema riguarda l’edizione italiana del film, a cui è limitato il doppiaggio degli attori italiani: al di là un sorprendente Nicholas Vaporidis, nei panni di uno dei rapitori della ndrangheta, tutti gli altri attori italiani doppiano se stessi con risultati tra il ridicolo ed il vergognoso, smorzando il pathos della pellicola a causa, appunto della loro ri-recitazione di livello “Occhi del cuore”.
Ultimo ma non ultimo tra i difetti troviamo un eccessivo rimescolamento in chiave romanzesca della vicenda, che porta inevitabilmente a personaggi scomparsi nel nulla, date incongruenti e aderenza alla realtà storica pressoché nulla: capisco il volere di Scott di trasmettere un importantissimo messaggio, ma se si parla di una vicenda realmente accaduta, non rispettare l’ordine degli eventi risulta una brutta caduta di stile.
Il film sbalordisce però con una solidissima ed intrigante sceneggiatura, una grandissima cura nei dialoghi e una straordinaria caratterizzazione dei personaggi; lo spettatore riesce e non riesce ad identificarsi in Getty III, rapito e seviziato (la scena del famoso taglio dell’orecchio è di una forza e di una crudezza impressionante), ma comunque parte di una “bella società”, quella di una Roma dagli echi felliniani splendidamente ricreata anche nei dettagli più piccola, che lo spettatore medio mal sopporta, arrivando quasi a soffrire di una particolarissima sindrome di Stoccolma nei confronti dei rapitori.
Il vero fulcro della pellicola però è il multimiliardario Paul Getty, magistralmente interpretato da un Christopher Plummer in odore di Oscar: le sequenze con Getty protagonista riescono a focalizzare l’attenzione dello spettatore su quella che è la vera intenzione di Scott, ovvero non solo raccontare una brutta storia di tragedie familiari e ricatti, bensì denunciare il valore del denaro per l’uomo del ‘900, per il prototipo dell’essere umano del XXI secolo.
In Jean Paul Getty sono racchiusi tutti gli avari della letteratura e della storia, concentrati ed estremizzati in una versione paurosamente reale di un uomo avido e disposto a tutto in nome del fruscio del denaro: troviamo il vecchio Euclione, protagonista dell’Aulularia di Plauto, a cui Molière si ispirò per il suo celeberrimo Avaro, il fondatore della Standard Oil, Rockefeller, il primo, spietato Paperon De’ Paperoni di Sidney Smith, il protagonista di Canto di Natale, Ebenezer Scrooge (che, ironia della sorte, è stato interpretato proprio da Plummer in Dickens – L’uomo che inventò il Natale) e, ultimo ma non ultimo, il Mazzarò della novella La Roba di Giovanni Verga, il cui celeberrimo epitaffio “Roba mia, vientene con me”, sembra essere ripreso proprio dal finale della pellicola, in cui l’uomo si fonde con la concezione plutocratica del mondo, diventato un tutt’uno con il denaro.
Al di là delle splendide interpretazioni di Michelle Williams e Mark Wahlberg, è il personaggio di Plummer a rubare la scena, senza alcun dubbio: la grottesca avarizia di Getty, il fatto di non essere disposto a sborsare nemmeno un centesimo del suo enorme patrimonio per il riscatto di suo nipote, la paradossale vanagloria e oculatezza nell’investimento anche alle porte della morte, pur di non salvare il sangue del suo sangue.
Scott confeziona quindi, grazie alla sua magistrale abilità alla regia, uno dei suoi migliori film degli ultimi anni, incastonando il personaggio di Paul Getty nella leggenda, elevandolo e condannandolo allo stesso tempo, ma soprattutto puntando il dito contro una società sempre più plutocratica, impegnata a cercare il mero guadagno anche di fronte alla morte.