Si è infine concluso il ritorno di Twin Peaks, e lo ha fatto lasciando più domande che risposte. E potevamo forse aspettarci diversamente da David Lynch. Naturalmente non tutto è stato vano, infatti il finale della serie ha comunque chiuso molti punti rimasti aperti dalla Seconda Stagione del 1991 e ha anche chiuso tutte le trame iniziate in The Return Part 1. E tuttavia chi non conosce lo stile di Lynch, ma anche chi lo conosce, potrebbe essere rimasto quantomeno confuso da questo “series finale”.
Gli spettatori (e mi ci metto anchio) sono stati palesemente ingannati da Lynch, che però dovevano già capire qualcosa quando il buon Dale è tornato principalmente in sé solo nella puntata 16 a sole due ore dal finale. Ma procediamo con ordine ricapitolando un attimo tutto ciò che abbiamo visto su schermo. Naturalmente SPOILER.
La puntata inizia con Gordon Cole (David Lynch) che rivela a Tammy e Albert (Miguel Ferrer) che il maggiore Garland Briggs scoprì l’esistenza di un’entità estremamente malvagia, Jowday, o come è chiamata oggi, Judy. Ricevuto il messaggio che Cooper aveva lasciato a Bushnell, gli agenti dell’FBI si muovono verso Twin Peaks, dove si stanno dirigendo sia Evil Coop che Dale Cooper.
Arrivato al Jack Rabbit’s Palace Mr. C viene però portato dal Fuochista davanti alla stazione di polizia, dove fingerà di essere il buon agente dell’FBI. Mentre sta parlando con Frank Truman Lucy riceve una telefonata dal vero Cooper, capita la situazione lo sceriffo e il doppleganger sono sul punto di uno scontro a fuoco, ma l’arrivo di Lucy porrà fine alla vita del doppio malvagio. Intanto Andy porta Naido, James Hurley e Freddie al piano superiore, dove Bob, fuori dal corpo di Cooper, tenta il tutto e per tutto, solo per venire eliminato da Freddie, che compie il suo destino.
Naido si rivela quindi all’agente Cooper come la vera Diane (Laura Dern) che ritorna nel mondo dopo che l’essere della loggia la aveva sostituita e corona quindi il suo sogno di amore con Dale.
Ma non c’è tempo di festeggiare e di un happy ending, stiamo pur sempre parlando di Twin Peaks e Lynch. Il finale vero e proprio invece rientra in un territorio molto più indecifrabile, figlio di Mulholland Drive o Velluto Blu più che lo stesso Twin Peaks di 25 anni fa.
“Siamo tutti in un sogno” e Cooper dopo aver chiuso i conti con Bob prende la chiave della stanza 315 del Great Northern Hotel, e viene portato da MIKE di fronte a Philip Jeffries, che trasporta l’agente nel passato. Qui Cooper riesce a salvare Laura Palmer dalla sua tragica fine, ma Judy fa comunque sparire la donna. Sarà riuscito nell’impresa? Apparentemente si, vediamo infatti che il 24 febbraio 1989 Pete Martell esce di casa per andare a pesca, non trovando alcun cadavere avvolto nella plastica.
Tornato al presente Cooper percorrerà con Diane 430 miglia per accedere ad un altra realtà (o ad un altro sogno?). La profezia del Fuochista del primo episodio assume significato, e l’agente rintraccia Laura Palmer, o quantomeno il corrispettivo di questa realtà, per ricongiungerla con la madre Sarah. Ma arrivati alla casa dei Palmer a Twin Peaks vi trovano dei nuovi inquilini, a cui la casa è stata venduta da una certa signora Tremond. Dale Cooper è spaesato, non capisce cosa sta succedendo e chiede a Laura in che anno sono. A questa domanda la donna confusa sente la voce della madre che la chiamava nel primo episodio della serie e inizia ad urlare, le luci della casa saltano e lo schermo diventa nero…
Così si conclude Twin Peaks.
Oltre alla tematica del sogno vediamo anche un altro topos Lynchiano, già utilizzato ampliamente dal regista in Mullholand Drive e Lost Highways: quello il nastro di Möebius, rappresentato dalla forma che il fumo della macchina del tempo di Jeffries assume. Il nastro rappresenta le superfici ordinarie, ossia le superfici che nella vita quotidiana siamo abituati ad osservare, che hanno sempre due facce, per cui è sempre possibile percorrerne idealmente una senza mai raggiungere l’altra, se non attraversando una linea di demarcazione costituita da uno spigolo (chiamato “bordo”): si pensi ad esempio alla sfera, al toro, o al cilindro. Per queste superfici è possibile stabilire convenzionalmente un lato “superiore” o “inferiore”, oppure “interno” o “esterno”.
Nel caso del nastro di Möbius, invece, tale principio viene a mancare: esiste un solo lato e un solo bordo. Dopo aver percorso un giro, ci si trova dalla parte opposta. Solo dopo averne percorsi due ci ritroviamo sul lato iniziale. Quindi si potrebbe passare da una superficie a quella “dietro” senza attraversare il nastro e senza saltare il bordo ma semplicemente camminando a lungo. Ed è proprio quello che fa Cooper nella Loggia, cammina e torna sempre sui suoi passi, con variazioni impercettibili nello sfondo o nei movimenti che tornano sempre su sé stessi.
Il finale può anche essere visto più che come una conclusione, come l’inizio di un altro viaggio, come siamo stati abituati ad anni di produzioni Lynchiane, in cui ogni pellicola presenta dei viaggi disturbanti e onirici come anche questa terza stagione di Twin Peaks è stata. Nulla è finito anzi, Laura rappresenta l’elemento catartico della serie, il punto da cui tutti gli avvenimenti si sviluppano, il finale rappresenta il ciclo che sta per riiniziare di nuovo, infatti la battaglia tra bene e male non può avere un fine ma è destinata a continuare all’infinito.
La puntata finale di Twin Peaks quindi rappresenta appieno sia la poetica del regista quanto la conclusione di una serie di culto. Terminata la visione lo spettatore non difficilmente dimenticherà quanto visto, ma piuttosto cercherà di interpretare quello che ha visto, perché dopo 16 ore e queste due puntate finali Lynch è riuscito a farci immergere completamente nel suo inconscio.