[Recensione] Voldemort: Origins of the Heir – Una pellicola riuscita a metà

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Chiunque abbia amato la saga di Harry Potter e sia rimasto con l’amaro in bocca dopo il buco nell’acqua della Rowling con La Maledizione dell’Erede, senz’altro fino alla sera del 13 gennaio sarà rimasto con Youtube aperto ed il fiato sospeso, in attesa… in attesa di Voldemort: Origins of the Heir, film fanmade tutto italiano prodotto dalla Tryangle e scritto e diretto da Gianmaria Pezzato.

Bene, prima di partire mi sembra doveroso fare una premessa (un po’ perché necessaria, un po’ perché temo la lapidazione in pubblica piazza): non è affatto facile parlare di film fanmade. Da un lato, c’è la consapevolezza di non star osservando un prodotto ufficiale e ciò comporta una maggiore flessibilità nell’analizzare l’opera conclusa; d’altra parte, però, alcuni difetti sono oggettivamente difetti, sempre e comunque, al di là del budget del film, e non possono essere ignorati, perché, in tutta onestà, non sarebbe giusto: una critica, se fatta con ogni buona intenzione, può essere più utile di qualsiasi complimento irrazionale. Okay, paternale finita, lascio il buonismo alle pubblicità della Mulino Bianco e vado al sodo della questione.

Voldemort: Origins of the Heir narra la storia di quattro ragazzi, i quattro segreti eredi dei fondatori di Hogwarts: Grisha McLaggen (Aurora Moroni/Maddalena Orcali), la nostra protagonista ed erede di Grifondoro; Wiglaf Sigurdsson (Andrea Baglio/Andrea Deanesi), erede di Corvonero; Lazarus Smith (Andrea Bonfanti), erede di Tassorosso ed infine, ultimo ma non ultimo, Tom Orvoloson Riddle (Stefano Rossi), erede di Serpeverde e, ovviamente, la ragione principale per cui questo film ha riscosso così tanta attenzione nei mesi precedenti al suo lancio sul web.

Perché diciamocelo, tutti quanti siamo affascinati dall’oscuro mistero dell’ascesa di Lord Voldemort,  Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato, Tu-Sai-Chi. Sappiamo infatti che dietro a quel volto teso, pallido e quasi mostruoso del villain della saga di Harry Potter, si celava un tempo un essere umano. Un ragazzo, addirittura: un ragazzo di bell’aspetto, intelligente, astuto, che riusciva a guadagnarsi facilmente il rispetto altrui. Tom Riddle, per l’appunto. Ma come ha fatto Tom Riddle a tramutarsi in Voldemort?

Questa è la stessa domanda che si sono posti alla Tryangle prima di realizzare il film, come è infatti anche riportato nel loro sito ufficiale. Uno scopo ambizioso, senza dubbio, ma, purtroppo realizzato solamente a metà. Non imbracciate fiaccole e forconi, calma, cercherò di spiegarmi passo per passo, in quanto la sceneggiatura, essendo senza dubbio il punto debole del film, merita un po’ spazio ed attenzione. Ora, sul web in molti hanno puntato il dito contro alcune imprecisioni riguardanti il mondo magico: secondo alcuni fan, infatti, il Veritaserum farebbe effetto solamente se ingerito, i Mangiamorte (citati ad un certo punto da Wiglaf) all’epoca rappresentata nel film non esistevano ancora sotto quel nome e così via. Non sono però queste piccolezze il problema dello script: qualche inesattezza è accettabile, così come è accettabile la banalità di alcuni scambi di battute (solo io ho pensato subito ad un giovane Luke Skywalker in Il Ritorno dello Jedi, quando Grisha grida “There’s still good in him”?), ciò che invece risulta problematico è la vaghezza della narrazione. Come infatti avevo premesso, Voldemort: Origins of the Heir riesce solo a metà a narrare come Tom Riddle sia divenuto Voldemort in quanto, sin dalla prima scena in cui Tom compare ad Hogwarts, si ha la netta impressione che ben poco di umano sia rimasto nella sua anima: Tom è già Voldemort, anche se non ancora nel nome e nell’aspetto… e questo, almeno personalmente, un po’ mi è spiaciuto. Il fascino della storia di Riddle, infatti, sta proprio nell’esplorare un’umanità che si è dissipata, che è scomparsa, che è divenuta oscurità e rabbia. Ma qua questo fascino sembra esserci sottratto, nonostante Stefano Rossi sembrasse più che adatto a ricoprire un ruolo così sfaccettato.

D’altra parte, però, la storia non riesce neppure a focalizzarsi sui Quattro Eredi di invenzione di Pezzato: il loro rapporto, infatti, dovrebbe essere il fulcro del film, un’amicizia un tempo forte e apparentemente indistruttibile ridotta in cenere. Ma così non è: le loro scene insieme sono ridotte all’osso e così, quando il film prova a far provare nostalgia per il loro rapporto, fallisce completamente. Insomma, come scrivevo prima, il problema sta nella vaghezza della narrazione: è come se la sceneggiatura non fosse riuscita né a concentrarsi sui personaggi principali a dovere, né sull’ascesa di Voldemort in modo originale e approfondito. Ciò può certamente essere parzialmente attribuito al minutaggio relativamente breve a disposizione, ma l’amaro in bocca rimane lo stesso.

Ma non disperate, adesso che ho sciorinato quelle che per me sono le più grandi pecche di Voldemort: Origins of the Heir, adesso possiamo passare ai suoi lati positivi… più o meno.

La recitazione, ad esempio, vive di alti e bassi, ma questo è assolutamente prevedibile in un film fanmade e non ne guasta il risultato complessivo; anche perché in alcuni casi, si ha l’impressione che le interpretazioni siano fortemente influenzate da una scrittura non troppo brillante -come ad esempio nel caso di Grisha, personaggio sì positivo, ma non veramente caratterizzato. Come ho accennato prima, chi merita una menzione d’onore è Stefano Rossi che risulta assolutamente perfetto nei panni di un Tom Riddle ormai corrotto e senza più alcun freno morale.

Anche la regia, che in alcuni momenti mostra degli interessanti movimenti camera, in altri punti sembra perdersi completamente con primissimi piani del tutto superflui e quasi fastidiosi. Ciononostante, a fare da controparte alla regia talvolta incerta, c’è una fotografia davvero piacevole, pulita, immersiva, che riesce ad avvolgere lo spettatore, facendolo sprofondare all’interno del mondo magico; complice è anche la cura della scenografia, che presenta numerosi dettagli, quei dettagli che hanno sempre reso il mondo della Rowling credibile, quasi vero.

La vera ciliegina sulla torta, però, sono gli effetti speciali e, non per niente, le scene migliori del film sono quelle in cui, bacchetta alla mano, i maghi si battono a colpi d’incantesimi. E qua non possiamo che fare un lungo applauso alla Tryangle: gli effetti sono omogenei al mondo creato, verosimili, assolutamente professionali. Non mi considero (e non sono) un’esperta in materia, ma questi effetti sembrano non avere niente da invidiare a quelli di film di grandi case di produzione. E con un budget di 15000 euro, sembra impossibile chiedere di meglio.

Vagamente fastidioso risulta il ridoppiaggio degli attori in inglese, ma d’altronde, per dare credibilità agli accenti altrimenti certamente italiani degli interpreti, non c’erano molte altre possibilità.

Dunque, quale può essere il bilancio finale? Non è facile stilarne uno, in tutta onestà. Quello di Voldemort: Origins of the Heir è un progetto ambizioso, di difficile realizzazione sin dalle premesse, di cui è impossibile non apprezzare la passione con cui è stato costruito, ma che, si può dire, è riuscito solamente a metà. Non è poco, dati i fondi a disposizione, ma lascia comunque del lieve rimpianto, perché è impossibile non pensare che, con una sceneggiatura migliore, tutti gli altri piccoli difetti sarebbero passati in secondo piano, dandoci un prodotto finale di cui essere fieri. Vi consiglio comunque di vederlo voi stessi, se già non l’avete fatto e, se lo desiderate, di contraddirmi. D’altronde, non sono Voldemort, io. E vi prometto che non vi maledirò…forse.


Noi della redazione di Redcapes.it vi sproniamo comunque a vedere il film e, magari, a farci sapere cosa ne pensate nei commenti!