Il 3 Aprile Amazon Studios ha rilasciato su Prime Video Tales from the Loop, nuova serie tv fantascientifica, vediamo insieme com’è.
Siamo in un paese rurale degli Stati Uniti in un tempo non precisato dove nel sottosuolo è situato un misterioso oggetto, il Loop: nessuno sa davvero come funziona ma da lavoro a gran parte della cittadina, oltre ad aiutare lo sviluppo di tecnologia futuribile. Lo spettatore sarà portato a scoprire le storie di tutti gli abitanti del villaggio e come esse sono inestricabilmente collegate dal misterioso oggetto e da come tutti, nessuno escluso, siano costretti in un loop tutto personale.
Tales from the Loop si ispira ai dipinti di Simon Stålenhag, artista e compositore musicale, che ha prestato alcuni dei suoi artwork che mischiano elementi futuristici e gli elementi della campagna Svedese e di tempi andati come gli anni ’80 e ’90, per creare la base per le storie della serie, che mantengono, nonostante l’americanizzazione, gli elementi caratteristici dei suoi dipinti e delle storie che dovrebbero raccontare, stavolta non più catturati da un solo attimo ma da un mediometraggio di un’ora. Parliamo di semplici illustrazioni dove un bambino e il nonno camminano verso una misteriosa sfera che poi diventano una storia sull’ineluttabilità della morte e della vita umana come un loop ereditario, un bambino che gioca con un robot che diventa una storia di un uomo che cerca di controllare quello che non può e tanto altro.
Gli esseri umani nella serie, per quanto avanzati tecnologicamente, non sono ancora riusciti ad abbandonare quei comportamenti tipicamente egoisti e che poi li costringono in un loop senza fine, come la bambina abbandonata che diventa una madre distante grazie proprio a quel traumatico evento e che, per qualcosa che non sa se sia un sogno, attenderà qualcosa tutta la sua vita; la ragazza che, convinta di poter vivere da sola, continua a circondarsi di persone fino a quando non le allontana ferendole perché incapace di capire i suoi limiti; il senso di ineluttabilità di un destino dato da una condizione di vita che sembra un’inferno ma che in realtà è solo un lato di una medaglia; il cercare controllo su tutto per poter essere finalmente quello che si voleva essere ma che non si ha mai avuto la forza di diventare; o ancora l’eco di una vita che sapevi già essere scritta e che ti trascina nel suo flusso come un fiume inarrestabile.Gli attori coinvolti, sia quelli più giovani come Abby Ryder Fortson che interpreta una giovane Loretta e Duncan Joiner come Cole, sono calati perfettamente nel contesto, la loro innocenza quasi radiante da ancora di più un senso di tristezza alle loro storie mentre i più vecchi, come Jonathan Pryce nel ruolo dello scienziato del loop, Russ, sono quelli che sembrano fare da guida, ma più che altro sono persone che ormai si sono arresi al loro loop e cercano di guidare i più giovani, e questo è ancora più chiaro nella prima, quarta ed ultima puntata che vede proprio il tempo che scorre e si riavvolge in un certo senso come parte fondante della puntata. I personaggi e gli attori girano intorno al loop, che non ha avuto un’origine, è arrivato ed ha cambiato le loro vite: non si fa l’errore di cercare di abusarne ma di comprenderlo, senza una effettiva riuscita, perché ancora una volta sono i personaggi al centro, non un misterioso oggetto che di importanza nella serie ne ha, ma relativamente a dispetto invece della storia di ogni abitante. Il loop permette cose oltre ogni immaginazione, ma noi stessi ci chiediamo, “sta davvero succedendo?” e per capirlo bisogna davvero stare attenti ad ogni dettaglio.
La regia di ogni puntata è perfetta: capiamoci, non è che sia ricercata o cerchi lo stupore, ma è funzionale e, grazie ad una fotografia ipnotizzante, lo spettatore è attirato dallo schermo da queste storie come una falena è attirata dalla luce, una luce fioca, che nasconde una sofferenza, ma anche una possibilità di redenzione e di riuscita, perché in fondo c’è una possibilità di uscita da questo loop e sta in noi scoprirla. Completa il lavoro una serie di musiche composte da Philip Glass e Paul Leonard-Morgan che catturano le sensazioni e le emozioni che le scene devono trasmettere e le porta allo spettatore, che inconsciamente si trova nella condizione di recepire tutto come una spugna.
La serie si presenta come una raccolta di racconti fantascientifici dalla durata di un’ora l’uno, apparentemente non collegati ma che in realtà sono molto più interconnessi di quello che può sembrare dalle prime puntate. Tales from the Loop usa la fantascienza come McGuffin per attirare lo spettatore: infatti, le tecnologie futuribili e che fanno cose impossibili sono solo il punto di partenza di ogni racconto che ha al suo centro dei personaggi, semplici esseri umani che vengono trascinati in un loop di loro completa creazione; se la tecnologia dà il via all’incubo, sono loro a continuarlo e sono loro stessi a ripetere gli errori che inevitabilmente continuano a tormentarli. Si passa dalla bambina abbandonata e non amata dalla madre, al giovane rassegnato ad un lavoro ingrato, ad una ragazza che non vuole rimanere da sola e quindi compie degli sbagli, passando per le insicurezze sulla vita e sull’apportarsi agli altri. Non è una serie facile da vedere di fila, anzi, richiede attenzione ed una certa sensibilità e sicuramente toccherà più parti di voi, senza che ve ne accorgiate. Si prospetta già da questo poco che abbiamo visto come una delle migliori uscite del 2020 a mani basse.