Dopo l’esordio con Goodnight Mommy, presentato a Venezia nel 2014, i registi austriaci Veronika Franz e Severin Fiala – moglie e nipote di Ulrich Seidl – sono tornati sul grande schermo con l’horror/thriller The Lodge, la loro prima produzione britannica su soggetto dello scozzese Sergio Casci, in anteprima italiana al Torino Film Festival 2019.

Inquadrature iniziali d’impatto, le prime scene trasportano subito nella mente geometrica dei registi e settano il tono per la fotografia asfissiante di Thimios Bakatakis, già collaboratore di Yorgos Lanthimos. I grandangoli stranianti utilizzati per la ripresa di scene di vita quotidiana anticipano una stortura, il presagio di qualcosa di terribile. E in effetti, da subito si aprono le danze col botto. Ci viene presentata brevemente la semitradizionale famiglia Marsh: c’è Laura (Alicia Silverstone), la madre, che da subito ci appare nel riflesso di uno specchio, come fosse l’ombra di sé stessa, e che, nell’aggiustarsi il mascara, scoppia a piangere a dirotto; ci sono i suoi figli Aidan (Jaeden Martell) e Mia (Lia McHugh), silenziosi e guardinghi, più maturi della loro età; e poi c’è Richard (Richard Armitage), il padre, un sociologo che ha scritto un libro inchiesta sui culti e che ora si è innamorato di Grace (Riley Keough), una ragazza che fino ai 12 anni ha vissuto in una setta e che risulta l’unica, misteriosa sopravvissuta del suicidio di massa cui sono andati incontro gli altri membri.

Persino alle prese con un horror ci aspetteremmo di essere accompagnati passo per passo nell’abisso, di avere il tempo di ambientarci prima che tutto vada a scatafascio. Invece in The Lodge abbiamo solo una manciata di scene per immergerci nell’atmosfera prima che – boom – Laura, incapace di accettare la prospettiva del divorzio, si spari un colpo in testa nel suo salotto ordinatissimo, immacolato, mentre la macchina da presa riprende in mezzo piano lei e il suo bicchiere di vino ben centrato sul tavolo da pranzo.

Tuffo di testa nel cuore dell’azione, il perturbante spalanca la porta e occupa la stanza. Se da un lato l’effetto sorpresa è adrenalinico, dall’altro gioca a svantaggio della pellicola il fatto che la ruvidezza nel gestire gli stravolgimenti di trama caratterizzi poi in modo costante l’intera narrazione. Si riscontra infatti in più punti una sorta di mancanza di grazia e gradualità nel gestire l’evolversi degli eventi, il che rischia di oltrepassare la linea della cifra stilistica per diventare semplice errore di sceneggiatura. In ogni caso, i mesi passano, lo shock iniziale sbiadisce ma lascia tracce ben visibili. La vita va avanti e adesso Richard vuole fare una vacanza coi ragazzi e con Grace, tornare alla baita in montagna – proprio lei, quella del titolo – dove una volta passavano le vacanze di Natale. Comprensibilmente i due si risentono, fanno muro contro questa sconosciuta a cui imputano la scomparsa della madre. Si chiudono in stanza e iniziano a trafficare con una casa delle bambole.

Il gusto dei registi torna a farsi sentire forte e chiaro con riprese vacue e stranianti degli interni di questo mondo in plastica, i toni cupi strizzano l’occhio allo spettatore e lasciano intuire che non si tratta di un semplice giocattolo per bambini. Alla fine però la vacanza s’ha da fare. Con una sorta di reticenza sadica la macchina da presa copre fino all’ultimo il volto di Grace, che smette di essere presenza oscura e acquisisce una statura umana solo dopo che una considerevole fetta di pellicola è già alle spalle. A questo punto tutti i tòpoi del caso sono ben apparecchiati: c’è il solito tema dell’ossessione religiosa, c’è una casa sperduta nei boschi, c’è un oceano di neve che la separa dal resto della civiltà – ed è subito Shining – e c’è un inspiegabile rumore di passi nella notte che ricopre tutto di una vibe sovrannaturale. Eppure uno ad uno tutti i clichè vengono sbattuti giù dalla tovaglia per lasciare spazio a una trama che presenta sì qualche buco ma non manca di originalità. La guerra psicologica fra i ragazzi e Grace la costringe a fare i conti col suo passato e al tempo stesso ci trascina su una montagna russa che va dritta in mezzo al nulla. Aidan e Mia diventano burattinai di un teatrino carico di profondo disagio, dopo aver fatto le prove generali sulla casa delle bambole possono ora orchestrare un vero e proprio incubo ad occhi aperti che attinge dal potere suggestivo della mente per parlare di senso di isolamento, vuoto e morte.

Con questo anticonformismo narrativo, che muove sulla doppia linea della scrittura e della cinematografia, Franz e Fiala sembrano voler rivendicare le loro origini sperimentali, a scapito della deriva “commerciale” apparentemente presa dalla loro carriera dopo il successo del loro film di debutto. Citano esplicitamente La Cosa di Carpenter, ma rimangono più legati al terrore ancenstrale di Robert Eggers o ai tuffi psicotici dell’Unsane di Steven Soderbergh.

Altra nota di merito è che partendo dalla comfort zone offerta da una molteplicità di temi già affrontati – la dimensione del trauma, un conflitto crescente fra una donna adulta e una coppia di ragazzini, il ruolo della natura e del paesaggio –, Franz e Fiala tentino di avvicinarsi a temi di attualità. Qui rimane molto forte la componente della salute mentale, mentre è già in cantiere e presumibilmente in uscita nel 2020 – quarantena permettendo – il loro più recente lavoro The Fortress, ancora una volta in coregia, che stando alla sinossi disponibile online dovrebbe trattare del travagliato di un gruppo di rifugiati a bordo di un treno merci. Insomma, fra centri al bersaglio e scivoloni l’opera seconda dei due austriaci plana su un voto di mezzo. Non resta che vedere cos’altro hanno in serbo per capire da che parte far pendere l’asticella.

RASSEGNA PANORAMICA
The Lodge
6.5
Articolo precedenteDoctor Who – 15 anni fa andava in onda il primo episodio della serie moderna
Articolo successivoDragonero – RAI Ragazzi e Sergio Bonelli Editore annunciano la serie animata
the-lodge-di-veronika-franz-e-severin-fiala-recensioneNonostante il successo registrato con l’esordio Goodnight Mommy, con l’opera seconda The Lodge i registi austriaci Veronika Franz e Severin Fiala mantengono la loro vena sperimentale e realizzano un horror che, nonostante qualche scivolone, fa il suo lavoro e rimane impresso sia per alcune trovate stilistiche che per le ottime prove attoriali dei giovanissimi Lia McHugh e Jaeden Martell e di Riley Keough (Mad Max: Fury Road, Logan Lucky, The House That Jack Built).

Lascia un commento