Il 12 febbraio è arrivato in Italia, edito da J-POP Manga, 17 Anni, di Seiji Fujii e Yoji Kamata, che racconta una storia basata su fatti realmente accaduti alla fine degli anni ’80 in Giappone.
In 17 Anni, i due protagonisti Hiroki e Takashi si ritrovano a far parte di una banda guidata da un teppista: questa banda porterà i due ragazzi ad entrare in una spirale di violenza senza fine.
Quello di cui però vogliamo parlarvi è la storia vera a cui si sono ispirati gli autori di 17 Anni, un fatto di cronaca nera che ha sconvolto il Giappone sul finire degli anni 80.
Nel novembre 1988 il pregiudicato giapponese allora diciassettenne Jo Kamisaku (Kamisaku è il nome che assunse dopo il suo rilascio) e altri tre giovani ragazzi di Tokyo anche loro legati alla Yakuza (Miyano Hiroshi, diciottenne; Minato Shinji, sedicenne; Watanabe Yasushi, diciassettenne) rapirono Furuta Junko, una ragazza del secondo anno delle scuole superiori proveniente dalla prefettura di Saitama, che aveva rifiutato gli approcci di Kamisaku. Fu tenuta prigioniera per quarantaquattro giorni all’interno di una casa di proprietà dei genitori di Shinji Minato, uno dei quattro sequestratori. Per evitare un’indagine della polizia i quattro costrinsero la ragazza a chiamare a casa e dire ai genitori di essere scappata di casa e che si trovava al sicuro.
Alcune volte i genitori di Shinji Minato passarono a trovare il figlio e in questa circostanza la ragazza fu costretta a mentire sotto minaccia dei sequestratori raccontando di essere la ragazza di uno di loro. La giovane studentessa fu stuprata e torturata, anche più volte nello stesso giorno. Fu costretta a masturbarsi nuda davanti ai quattro ragazzi mentre bevevano birra, le furono negati sia cibo sia acqua, fu obbligata a mangiare scarafaggi e a bere le proprie urine e quelle dei carnefici, che spesso le urinavano addosso.
La ragazza subì orribili torture, tra cui l’inserimento nell’ano e nella vagina di lame e oggetti appuntiti, lampadine incandescenti, mozziconi di sigaretta accesi che gli aguzzini erano soliti spegnere sul corpo della ragazza. Parti del suo corpo furono irreversibilmente danneggiate, tanto che poteva camminare solo a gattoni e impiegava più di un’ora per andare e tornare dal bagno che si trovava al piano di sotto. In un’occasione fu perfino lasciata a dormire nuda sul balcone con la neve. La ragazza più di una volta cercò di fuggire, di chiamare la polizia e chiedere aiuto, ma tutto risultò vano e nessuno volle aiutare la ragazza, nonostante al processo si disse che almeno cento persone erano a conoscenza della presenza della ragazza nella casa. I ragazzi scattarono diverse foto delle torture che furono poi utilizzate come prova al processo.
Il 4 gennaio 1989 usando il finto pretesto di una perdita a una partita a Mahjong, la ragazza fu percossa con spranghe e manubri d’acciaio e bruciata viva. Junko morì poche ore dopo. Il suo corpo fu messo in un bidone di benzina vuoto riempito poi di cemento e successivamente portato in una discarica isolata.
Successivamente un pentito della Yakuza indicò alla polizia dove si trovava il bidone con il corpo della ragazza; ciò portò all’arresto e alla condanna dei quattro, ma nonostante le foto che testimoniarono le violenze subite e l’autopsia ai resti del cadavere che rivelava la presenza di molte tracce di sperma nel corpo della ragazza, i quattro ragazzi, di cui due (Mayano e Kamisaku) erano affiliati della mafia giapponese, beneficiarono del fatto di essere minorenni.
A seguito del delitto, l’età per la piena responsabilità penale fu abbassata a sedici anni. Dopo altri delitti compiuti da minorenni l’età è scesa a quattordici anni.
Un fatto di cronaca nera decisamente complicato ed efferato, che i due autori hanno raccontato in maniera decisamente dettagliata all’interno delle pagine di 17 Anni.