Il 27 aprile arriva nei cinema di tutta Italia Beau Ha Paura, l’ambiziosa e forse un po’ pretenziosa nuova pellicola del regista di Hereditary – Le radici del male e Midsommar, Ari Aster, con protagonista un Joaquin Phoenix a tutto tondo. Prodotto da A24 e distribuito in sala da I Wonder Pictures, abbiamo visto in anteprima il film e questo è il nostro parere.

Il pavido Beau (Joaquin Phoenix), introverso e facile preda di ansie e ossessioni, si appresta a mettersi in viaggio per far visita a sua madre; ma, alla vigilia della partenza, di fronte a lui esplode il caos. Incapace di giungere a destinazione in un mondo completamente impazzito, Beau percorrerà strade che non si trovano su alcuna mappa e sarà costretto ad affrontare tutte le paure e le bugie di una vita.

Beau ha PauraNon vi servirà sapere altro sulla trama del nuovo film di Ari Aster che dopo due pellicole ormai di culto rientra tra i cineasti – almeno per quanto riguarda l’horror – più chiacchierati degli ultimi anni. Amato e odiato, il giovane Aster si è fatto conoscere al grande pubblico con la sua pellicola d’esordio Hereditary, un raffinato film horror sovrannaturale che ha gettato le basi per quelle che sarebbero state le tematiche portanti del suo cinema. Subito dopo arriva Midsommar, un incubo lucido, estremo, un horror viscerale alla luce del sole che ha consacrato Florence Pugh come una delle migliori attrici della sua generazione; ma Aster prima di arrivare in sala, aveva diretto diversi cortometraggi (recuperabili sul web) che avevano anticipato quelli che sarebbero stati i temi della sua poetica. Beau Ha Paura nasce come sviluppo del suo cortometraggioBeau del 2011 con protagonista Billy Mayo, attore feticcio del regista, protagonista anche di uno dei suoi corti più controversi: The Strange Thing About the Johnson. Da un corto di appena sei minuti, Aster sviluppa un lungometraggio di tre ore in piena e totale libertà creativa che vede nella vicenda narrata nel cortometraggio il momento del “conflitto” del film, l’inizio dell’incubo.

Quando Beau perde le chiavi del suo appartamento prima di prendere un aereo per raggiungere sua madre con la quale ha probabilmente più di un problema, inizia per l’uomo un viaggio nella follia e nei meandri più oscuri della mente in un’odissea visionaria e allucinatoria. Non tutte le pellicole sono fatte per avere un senso logico e compiuto o per convogliare verso un finale che dia tutte le risposte, Beau ha Paura è una di queste. È ormai chiaro che A24 ha deciso di investire in progetti ambiziosi e lontani dal cinema considerato mainstream – Everything Everywhere All At Once ne è un esempio lampante, ma anche le precedenti pellicole di Ari Aster – prediligendo sceneggiature ricercate e non di immediata assimilazione. Prima di Aster altri cineasti avevano sperimentato un cinema rivolto al grande pubblico che esulasse dalla classica struttura cinematografica e raccontasse in maniera frammentata il percorso dei personaggi in esso rappresentati. Lars von Trier con i suoi Melancholia, La Casa di Jack o Dogville, Charlie Kaufman con Synedoche, New York e Sto Pensando di Finirla Qui, Terry Gilliam con Parnassus – L’uomo che voleva ingannare il diavolo e molti altri avevano raccontato odissee umane a cavallo tra realtà e follia che hanno lasciato un’impronta nel cinema postmoderno. Beau Ha Paura si inserisce a cavallo tra quel modo di fare cinema e una nuova modalità completamente personale dell’autore che di sicuro spaccherà il giudizio degli spettatori.

Non appartenendo ad un genere cinematografico preciso, Beau ha Paura è sì una commistione di generi ma anche un film a sé stante, che fa delle suggestioni dell’horror, della commedia, del dramma, del sogno, dell’incubo, della paranoia i suoi appigli, per sviluppare una storia che esula dal concetto di cinema classico. Ma questa esagerazione, questo sperimentalismo riesce davvero a portare da qualche parte? Pregno di simbolismi e metafore dopo un’iniziale, catartica, caotica prima parte al film succedono tre parti apparentemente slegate che vanno a completare l’asfissiante, turbolento, disturbante viaggio fisico e mentale di Beau, un uomo privato quasi completamente della sua umanità, una pedina in balia degli eventi, spettatore passivo (termine non usato a casa) di una vita che forse potrebbe appartenergli. Nonostante il viaggio che Beau compie lo porti nei meandri più oscuri della sua psiche è come se il Leopold Bloom dell’odissea inventata da Ari Aster non riesca completamente ad uscire dal suo guscio, caratteristica che lascia profondamente turbato il protagonista tanto quanto gli spettatori.

In preda ad un delirio di onnipotenza Ari Aster realizza il suo film più estremo non nel senso delle immagini, ma per intenti, in cui l’assoluta libertà creativa si tramuta quasi in una gabbia artistica dal quale la pellicola non riesce ad evadere. Egregiamente realizzato, studiato e ricercato, ciò che sorprende è la capacita del film di cambiare costantemente lungo tutta la sua lunga durata a partire dall’incredibile prima parte realizzata in una città senza nome, alla deriva, sporca, losca come gli abitanti che popolano e vandalizzano le strade, passando per l’apparente idilliaca seconda parte, l’onirica terza parte e l’ultima, la più grottesca, simbolica, quasi teatro dell’assurdo dove spicca un’immensa Patti LuPone. Ari Aster cita sé stesso inserendo scene che si rifanno a momenti salienti delle sue pellicole precedenti (si prendano la sequenza della mansarda in Hereditary – Le radici del male o il salto dalla rupe di Midsommar) sinonimo che ancora una volta il regista si conferma un abile metteur en scène.

Sicuramente Beau Ha Paura saprà far parlare di sé e sarà uno di quei film spartiacque sia sul giudizio del pubblico, che o lo amerà o lo odierà, sia nella carriera di Ari Aster che da questo momento potrebbe prendere una nuova piega. Se fino a questo momento il cineasta aveva abituato il suo pubblico con horror disturbanti e raffinati con Beau Ha Paura si rinnova portando all’esasperazione alcune tra le tematiche a lui care, come il rapporto madre figlio e un irrisolto complesso di Edipo asfissiante e debilitante, tanto che negli Stati Uniti il film è stato definito il “Quarto Potere” dei film mommy–issues”.

Estremamente pretenzioso, ambizioso e anche prolisso Beau Ha Paura è certamente una pellicola interessante da analizzare, frazionare e studiare per comprendere tutto ciò che l’opera è in toto. Presa come unicum potrebbe infastidire e non soddisfare le aspettative di un pubblico generalista che spera di entrare in sala e godersi “il nuovo film folle del regista di Hereditary”. Ari Aster si riconferma un cineasta capace ma la troppa libertà concessagli è forse stata il punto di rottura. Apprezzabile l’intento della pellicola, ma a conti fatti ne esce sì un prodotto cervellotico ma estremamente altalenante nel ritmo e nelle intenzioni che lo trasformano in un pastiche spesso confusionario e contorto.


Beau Ha Paura arriva in sala a partire dal 27 aprile distribuito da I Wonder Pictures e prodotto da A24. Ecco il trailer italiano del film:

RASSEGNA PANORAMICA
Beau Ha Paura
7
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Classe 1995, laureato in critica cinematografica, trascorro il tempo tra un film, una episodio di una serie tv e le pagine di un romanzo. Datemi un playlist anni '80, una storia di Stephen King e un film di Wes Anderson e sarò felice.
beau-ha-paura-lambizioso-viaggio-nella-mente-umana-nel-nuovo-film-di-ari-aster-recensioneEstremamente pretenzioso, ambizioso e anche prolisso Beau Ha Paura è certamente una pellicola interessante da analizzare, frazionare e studiare per comprendere tutto ciò che l’opera è in toto. Presa come unicum potrebbe infastidire e non soddisfare le aspettative di un pubblico generalista che spera di entrare in sala e godersi “il nuovo film folle del regista di Hereditary”. Ari Aster si riconferma un cineasta capace ma la troppa libertà concessagli è forse stata il punto di rottura. Apprezzabile l’intento della pellicola, ma a conti fatti ne esce sì un prodotto cervellotico ma estremamente altalenante nel ritmo e nelle intenzioni che lo trasformano in un pastiche spesso confusionario e contorto.

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