Black Mirror: Bandersnatch – Il film interattivo targato Netflix | Recensione

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La possibilità di decidere il destino dei nostri personaggi preferiti ha sempre stuzzicato la fantasia dello spettatore, ma era solo questione di tempo prima che questa opportunità divenisse accessibile ad un pubblico su larghissima scala. Dopo le prime sperimentazioni in parchi giochi e in sale cinematografiche dedicate, Netflix ha deciso di portare quest’esperimento a casa di tutti i suoi abbonati e quale piazza migliore, per inaugurare questa rivoluzione televisiva, se non la serie che ci ha fatto scoprire il nostro rapporto morboso con la tecnologia, ovvero Black Mirror?

Nasce così Bandersnatch, il curioso ed affascinante episodio sperimentale di Black Mirror, diretto da David Slade (già regista di Metalhead) e scritto dallo stesso Charlie Brooker, nel quale è lo spettatore a decidere le sorti del protagonista, ma andiamo più a fondo nella questione, perché per quanto l’idea di fondo sia non troppo originale, è il contesto messo in campo che rapisce l’attenzione di chi guarda. Ispirato ai libri game, popolarissimi libri in voga negli anni ‘70/’80 (le vicende dell’episodio si svolgono proprio nel 1984) in cui il lettore si trovava di fronte a svariati bivi attraverso cui guidare il protagonista, Bandersnatch segue la storia del giovane Stefan Butler, interpretato da Fionn Whitehead, un giovane programmatore impegnato a trarre un videogioco tratto da un libro lasciatogli in eredità dalla madre, dal titolo Bandersnatch, appunto.

Ci troviamo subito a che fare con scelte dapprima semplici ed ininfluenti, come, ad esempio, la scelta dei cereali per la colazione o della musicassetta che il nostro protagonista ascolterà in autobus, ma man mano che la storia proseguirà, ci troveremo davanti a scelte sempre più complesse, da cui può dipendere letteralmente la vita o la morte di Stefan. Nei primi minuti dell’episodio faremo la conoscenza di Colin Ritman, interpretato da Will Poulter, programmatore di videogiochi professionista e idolo di  Stefan: Colin sembra essere già a conoscenza della gabbia televisiva in cui sono intrappolati, così come sembra aver preso coscienza del burattinaio invisibile che controlla le loro scelte, ovvero lo spettatore.

Il complottismo di Colin, porterà Stefan, già di per sé psicologicamente debole e pieno di sensi di colpa per la morte della madre, della quale veniamo a sapere attraverso le scene sul lettino della psicologa, sull’orlo della follia, portandolo a dubitare della realtà in cui stanno vivendo: complice, e definitiva nei termini della perdita della sua salute mentale, anche la ricerca matta e disperatissima del giovane Stefan sull’autore di Bandersnatch, il misterioso visionario Jerome F. Davies. La sottotrama che riguarda l’autore è forse la parte più interessante dell’opera, poiché ci troviamo di fronte a quella che sembra una versione corrotta di James Halliday, che molti ricorderanno come un altro celebre visionario, quello presente in Ready Player One, dapprima libro di Ernest Cline e poi film di Steven Spielberg: il misterioso Davies, protagonista di efferati omicidi e scomparso nell’ignoto, sembrava aver compreso una verità fondamentale sull’universo, sulla vita e sulla società in cui sembrano essere intrappolati in un loop infinito i personaggi di Bandersnatch. È un vero peccato che la storia gratti solo la superficie della vicenda di Jerome F. Davies, del quale vorremmo davvero sapere di più, ma, appunto, ci resta in mano solamente un espediente narrativo per condurre Stefan alla follia.

È da questo momento, infatti, che Stefan inizia ad essere autocosciente ed a scardinare la quarta parete, portando i binari della storia verso la parte più assurda e, a suo modo, divertente di essa: lo spettatore dialoga infatti con il protagonista e può scegliere di manifestarsi nei panni dello stesso Netflix, oppure attraverso il simbolo dell’Orso Bianco, già incontrato nella seconda stagione di Black Mirror, simbolo che, guarda un po’, ricorda la forma di un bivio, riferimento alle biforcazioni della trama. Stefan squarcia lo schopenaueriano velo di Maya tra la realtà e la fantasia, si tuffa attraverso il proverbiale specchio di Alice nel paese delle meraviglie (Bandersnatch è infatti il nome di una creatura nata dalla penna di Lewis Carroll) in modo più e meno metaforico, come potremmo scoprire in uno dei rami della storia.

Bandersnatch sembra quasi chiudere un cerchio, sembra quasi essere l’episodio di Black Mirror definitivo, che lega indissolubilmente lo spettatore a quello che sta guardando, complici i numerosissimi riferimenti alle precedenti puntate dello show e la varietà stilistica dei vari finali e dei numerosi bivi che deviano i binari della storia.

Bandersnatch non è altro che un’allegoria della vita reale: così come nel film interattivo abbiamo l’illusione della scelta, con scelte multiple e la convinzione di avere il controllo su tutto, per poi accorgerci che il “vero finale” è solamente uno tra i tanti disponibili, così nella vita reale non siamo completamente in controllo della nostra vita, influenzata da così tanti fattori esterni e dettagli da fornirci l’illusione di un reale controllo del nostro destino, un controllo che realmente non abbiamo.

L’impressione definitiva è che Bandersnatch, quasi una versione pop e televisiva del suo grande predecessore, Matrix, abbia solamente raschiato un sottobosco popoloso ed interessante, brulicante di idee e di ipotesi narrative, che, purtroppo, non abbiamo visto trasposte su pellicola: il prodotto resta, però, estremamente godibile in ogni sua parte, anche le più folli, andando non esattamente a creare una vera e propria rivoluzione per il cinema e per il media televisivo, per quanto il suo essere innovativo in termini televisivi sia sotto gli occhi di tutti, piuttosto viene ad essere il macabro e folle anello mancante tra il mondo cinematografico e quello ludico.

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