[der Zweifel] Dario Argento: la paura è ancora in agguato!

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In vista di un possibile ritorno dietro la macchina da presa, iniziamo questa riflessione parlando del maestro del brivido italiano, che nell’arco di quarant’anni di carriera ci ha terrorizzati in maniera indicibile e mostruosa. Dario Argento è penetrato nella nostra carne come uno di quei pugnali o mannaie che riecheggiano ogni qual volta c’è un omicidio all’orizzonte. Come non parlare di alcuni classici che a fatica saranno dimenticati; almeno in questo secolo. Ma con le nuove tecnologie e le informazioni che impazzano sui social è difficile oscurare la realtà. Così com’è complicato non fare caso alla notizia che l’Hitchcock nostrano stia per fare la sua comparsa con un nuovo film che di sicuro farà dei nostri sogni continui incubi come un tempo. I movimenti palpitanti di macchina che seguivano l’assassino o la vittima prescelta. Inquadrature taglienti come rasoi e la macabra atmosfera stravolta e amplificata da luci rossastre e da scure tonalità di blu; la mano dell’omicida, una porta semichiusa e una canzoncina in sottofondo che fa luce sui tuoi pensieri più efferati. Come tanti registi del suo calibro, che fanno il suo stesso mestiere e che si cimentano nella realizzazione di opere gore e horror, è difficile immaginare un film differente. Sin dagli inizi, quando dal giornalismo è passato alla sceneggiatura e poi alla regia cinematografica, Dario Argento non ha pensato ad altro che al lato oscuro del mondo, tramandato da secoli con leggende e favole. La sua carriera è stata segnata, dagli esordi fino al suo ultimo capolavoro, da una fortunatissima serie di eventi che hanno permesso la sua ascesa nell’olimpo dei più grandi cineasti di sempre. Con questo, ho concluso, e spero che il maestro abbia ancora una lunga vita davanti a se per continuare a sfornare idee sempre nuove e accattivanti.

Ci siete cascati, non è vero!? Chi voglio prendere in giro?! Secondo i fatti, il lavoro di Dario Argento non è mai stato così scadente come in questi ultimi vent’anni. Il suo ultimo Capolavoro? Un modo per deviare la vostra attenzione e il vostro saperne di cinema. Possiamo dire che “Dracula 3D” è il trionfo dell’orrido, più che del terrore. La paura incarnata di ritrovarsi al cinema a guardare un film degenerato che ammala lo spettatore e lo tortura fino alla fine. Una fotografia che rende omaggio alle più fetenti telenovelas sudamericane, che al confronto di questo film in particolare sono vere e proprie chicche. Da “La sindrome di Stendhal” a “Non ho sonno”. Dal “Cartaio” fino a “La terza madre” –finale della trilogia delle tre madri– e poi su, fino al suo ultimo, c’è un evidente e confusionario stato di vera perdizione nella mente del regista. Il suo controllo è completamente svanito così come i suoi mirabili e imprevedibili movimenti di macchina e i colpi di scena mortali. Tuttavia non furono gli anni novanta ad interrompere l’immaginazione del regista. Dopo un’attenta riflessione possiamo constatare come il passaggio dal thriller/giallo all’Horror puro, sia stato il simbolo del trionfo artistico ma allo stesso tempo del suo costante fallimento. Dopo “Suspiria” e “Inferno”, due capostipiti del filone, non c’è stato altro che immondizia e detestabili banalità e rifacimenti da altre opere. L’immaginario del regista romano, colui che inquadrava le sue stesse mani quando c’era una scena di sangue perché pensava si prestassero bene alla parte, si è smarrito e non da poco. Quando si diceva Dario Argento ci si riferiva ad un rivoluzionario. Quando si faceva il suo nome si capiva benissimo cosa si sarebbe visto e di sicuro anche i gusti del pubblico. La paura trasmessa dalle sue opere era quella più denaturalizzata e più reale, conosciuta e conoscibile nello stesso frangente. Anche quando nel 1977 iniziò a cambiare genere, votandosi più verso l’oscuro e il fantastico, anche in quel momento molti aspetti restavano legati al fastidio fisico di tutti i giorni. Un sapore disgustoso, una lama affilata di un rasoio, un emicrania compulsiva che si trasforma in nausea. Vivevi con l’eroe o l’eroina le stesse sue paure e sensazioni. Travolgenti e appassionanti, si spensero subito dopo il 1980 quando girò “Inferno”. “Tenebre”, “Phenomena”, “Opera”, non rendono minimamente l’idea di quello che prima potesse essere il potenziale immaginifico di Argento. Se non avesse posto la sua firma, nessuno avrebbe più creduto che fossero stati girati da lui. Per quelli che lo venerano come una sacra reliquia, che vedono in tutta la sua filmografia una pietra miliare dopo l’altra, forse si sbagliano, perché non riconoscono ciò che prima era evidente e che poi, come per magia, si è perso in idee confuse. Come se non ne avesse più. Da un certo punto di vista è anche comprensibile, dato il modo in cui il cinema si sia gettato a capofitto nel genere Thriller o Horror. Difficile soddisfare il pubblico: ancor più difficile è soddisfare se stessi. Perciò, voglio interpretare questa malformazione ideativa e lavorativa come una tabula rasa nella mente del regista; preferibilmente come un modo di fare almeno un po’ di soldi con un film scadente ogni due anni (sarebbe una dichiarazione più soddisfacente).

Eppure ciò che prima degli anni ’80 ci ha lasciato è opera di un ancor grande autore pieno di vitalità. La stessa che noi tutti ci auguriamo di rivedere nei suoi prossimi lavori. Come dimenticare i primi, quelli storici! Con la “trilogia degli Animali” si mostra al mondo e all’industria cinematografica come un abile regista di attori e, ciò che nei suoi film conta veramente, stilisticamente ferrato e con gusto. Mette in partica gli antichi metodi del mestiere, quelli usati nei film Hollywoodiani, quelli di Hitchcock o di Mario Bava, patriarca assoluto del cinema horror italiano. Il secondo passo è quello di porre in mezzo nuove tecniche e metodi di ripresa, di trucco, elevando quel particolare cinema a nuova era. Per film come “Quattro Mosche di velluto grigio” e “Il gatto a nove code”, Dario Argento poté farsi conoscere tanto in Italia come all’estero (negli USA soprattutto, dove è lodato da altrettanti famosi registi).

“Inferno” è un qualcosa in più rispetto ai precedenti e al passaggio al nuovo genere. Sappiamo, tuttavia, che i due veri capolavori restano rispettivamente “Profondo Rosso” e “Suspiria”. Il secondo, del 1977, è la novità che si denuda difronte a noi molto bruscamente, come a dire che c’è del nuovo in città. Molti infatti, specie all’estero, lo ricordano soprattutto per questo film. In Italia e in altri paesi, invece, non ci si scorda della canzoncina intimidatoria prima dell’attacco dell’assassino. “Profondo Rosso” è il canto del cigno della paura, quella di cui parlavo poco fa. Un terrore che si augura non vivere mai, ma che inconsciamente abbiamo vissuto e vibra in noi in modo pungente come la musica dei Goblin, che contribuirono ulteriormente a fare della pellicola un grande successo. In questo alone infinito di morti e continui attimi di sgomento, non si riesce a non distogliere lo sguardo dallo schermo. Si arriva fino in fondo pur di vedere il volto dell’assassino.

Mi ricordo che dopo “Deep Red”, titolo inglese della pellicola, per una settimana andai a letto con mia madre e già avevo dieci anni. Ciò nonostante non me ne vergogno, anzi spero di tornare un giorno al cinema e di guardare un film di Dario Argento che possa restituirmi quella paura tanto attesa; quella che non mi faceva chiudere occhio e che mi costringeva a contare fino a dieci prima di entrare in una stanza buia. La paura infantile di tutti i giorni che ricorda al pubblico che siamo sempre esseri umani.

 

Coraggio Maestro, ce l’ha può fare di nuovo!