Dopo Il Potere del Cane (The Power of the Dog), è tempo del secondo film targato Netflix di questa 78esima edizione del Festival di Venezia, nonché il primo dei cinque film italiani in concorso quest’anno alla Biennale, ovvero È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino. A tre anni di distanza dalle due parti di Loro, il film ispirato alla figura di Silvio Berlusconi che narrava le vicende professionali, politiche e private del Cavaliere e delle tante figure intorno a lui negli anni del tramonto del berlusconismo, Sorrentino torna a presentare una sua pellicola a Venezia dopo aver partecipato per buona parte della sua carriera al Festival di Cannes.
Il film, che sarà distribuito in alcune sale cinematografiche italiane a partire dal 24 novembre, per poi approdare su Netflix il prossimo 15 dicembre, vede tra i suoi protagonisti Filippo Scotti, Teresa Saponangelo e Luisa Ranieri, accompagnati dall’immancabile Toni Servillo, l’attore-feticcio del virtuoso cineasta partenopeo da 20 anni, sin da L’uomo in più, primo lungometraggio del regista, presentato proprio durante il Festival di Venezia nel 2001.
La storia di un ragazzo nella tumultuosa Napoli degli anni Ottanta. Il diciassettenne Fabietto Schisa è un ragazzo goffo che lotta per trovare il suo posto nel mondo, ma che trova gioia in una famiglia straordinaria e amante della vita. Fino a quando alcuni eventi cambiano tutto. Uno è l’arrivo a Napoli di una leggenda dello sport simile a un dio: l’idolo del calcio Maradona, che suscita in Fabietto, e nell’intera città, un orgoglio che un tempo sembrava impossibile. L’altro è un drammatico incidente che farà toccare a Fabietto il fondo, indicandogli la strada per il suo futuro. Apparentemente salvato da Maradona, toccato dal caso o dalla mano di Dio, Fabietto lotta con la natura del destino, la confusione della perdita e l’inebriante libertà di essere vivi. Nel suo film più commovente e personale, Sorrentino accompagna il pubblico in un viaggio ricco di contrasti fra tragedia e commedia, amore e desiderio, assurdità e bellezza, mentre Fabietto trova l’unica via d’uscita dalla catastrofe totale attraverso la propria immaginazione.
Fin dall’arrivo del primo trailer si era creata subito una grande attesa per questo film. È stata la mano di Dio si presenta fin dai primi istanti come l’opera biografica di un autore la cui sensibilità è spesso tangibile e centrale nei suoi film, ma che tuttavia non ha mai parlato in modo esplicito di sé stesso. Almeno fino ad ora.
Paolo Sorrentino – qui non solo più regista, ma individuo e protagonista – nel film non è solo rappresentato ma È il personaggio di Fabio Schisa detto Fabietto interpretato dall’ottimo Filippo Scotti. Quella che viene costruita intorno a Fabietto non è solo una vicenda ispirata alla gioventù del regista, ma è in tutto e per tutto la sua vita. Quello che ne risulta è sicuramente un grande film, una pellicola che riesce a condensare perfettamente l’ambivalenza della crescita e del passaggio all’età adulta.
La prima metà è commedia in tutto e per tutto, divertente ma mai demenziale e quindi verosimile e credibile. Qui si concentra più nel presentare i personaggi – i quali sono probabilmente una versione romanzata delle persona provenienti da alcuni vissuti di Sorrentino – e le dinamiche familiare nelle quali vivono. La credibilità di quel che viene presentato tuttavia non viene mai meno, ed è francamente impossibile non immedesimarsi nel protagonista o non lasciarsi cogliere da una forte empatia verso l’intera famiglia Schisa. Insieme allo stesso Fabio il film è infatti incentrato sugli affetti a cui è legato, e la scelta di Sorrentino di usare il suo personaggio come avatar permette al film di essere un opera non solo spiccatamente autobiografica, ma una storia nella quale tutti ci si possa riconoscere. Se già questo da solo rappresenta un grande punto a favore della pellicola, c’è da aggiungere come in questo frangente emerga la coppia composta da Toni Servillo e Teresa Saponangelo, che regalano una performance intensa ma mai sopra le righe.
Con l’evolversi degli eventi la seconda parte vira repentinamente verso un registro drammatico, nel quale viene maggiormente esplorato il lutto personale del protagonista e della sua famiglia, vero punto di svolta nella formazione personale del protagonista. L’estetica di Sorrentino qui si fa più personale, più intima, proponendo sequenze e dettagli che hanno strappato più di una lacrima di commozione a chi scrive. Una scelta che crea una profonda immedesimazione e riflette con sincerità l’uragano emotivo di chi si è ritrovato ad affrontare una situazione simile.
È interessante inoltre notare come, nonostante la nostra conoscenza del Sorrentino regista, negli anni sia emerso ben poco sul Sorrentino personaggio. Adesso invece, per la prima volta nella sua filmografia, abbiamo un film che apre uno squarcio sull’uomo e sul suo vissuto, la cui intimità si manifesta non più attraverso la sua arte ed il filtro dell’opera cinematografica, ma con un contatto più diretto e viscerale che colpisce al cuore dello spettatore. Una intimità efficacemente veicolata dall’interpretazione magistrale di Filippo Scotti, volto di Fabio Schisa. La resa su schermo è incredibile ed è più che evidente la mano dello stesso regista nella caratterizzazione del protagonista. A completare la sua trasformazione nel giovane Sorrentino ci pensano poi l’eccezionale lavoro di make-up, acconciatura e sui costumi che vano ad impreziosire la sua già straordinaria performance.
Sul lato prettamente tecnico il film presenta un’idea visiva molto interessante con l’estetica di Sorrentino che viene spinta al massimo soprattutto nella prima parte. Qui viene fatto risaltare il suo stile registico inconfondibile sfruttando l’ampio uso delle sue tipiche inquadrature, mentre nella seconda parte sembra decelerare per concentrarsi sul tormento interiore dei personaggi. C’è da segnalare che per la prima volta non è presente il direttore della fotografia Luca Bigazzi, storico collaboratore del regista. Il suo posto è preso per l’occasione da Daria D’Antonio, la quale pur non riproponendo la tipica fotografia fredda di Bigazzi riesce ad accostarsi e ad amalgamarsi molto bene allo stile di Sorrentino.
In conclusione possiamo dire che È stata la mano di Dio è un film che parla molto di cinema pur non parlandone. Accennando il discorso verso la fine, la pellicola mostra non tanto il percorso creativo di un artista, ma la crescita e lo sviluppo della sensibilità di un essere umano. Un ragazzo che, diviso tra l’eccitazione per l’arrivo in città di un campione dall’aura messianica e l’elaborazione di un lutto profondo giunto all’improvviso, troverà nel cinema il mezzo con cui esprimersi.
È stata la mano di Dio si presenta come una delle opere migliori di Paolo Sorrentino ponendosi a buon diritto come la pellicola favorita per il Leone d’Oro offrendo inoltre grazie all’esordiente Filippo Scotti un candidato credibile per il Premio Marcello Mastroianni. Una pellicola che rappresenta lo stato dell’arte del regista napoletano e che potrebbe tranquillamente essere il più credibile cavallo di battaglia da proporre per il Miglior film straniero alla Notte degli Oscar.
È stata la mano di Dio, nuovo film di Paolo Sorrentino, sarà distribuito in alcune sale italiane il 24 novembre, per poi approdare su Netflix il prossimo 15 dicembre. Di seguito il trailer del film: