Hill House Stagione Uno – Il Male camminava insieme a noi | Recensione

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The Haunting of Hill House

Hill House (The Haunting of Hill House) è stata una delle serie tv rilasciate da Netflix più discusse in questo Ottobre 2018 e a buona ragione. La serie è basata sul romanzo “L’incubo di Hill House” di Shirley Jackson, un capolavoro e caposaldo del romanzo horror e paranormale.
La serie è stata adattata per la piattaforma da Mike Flanagan (Oculus), è un horror che si ambienta nella contemporaneità e racconta sia dei fantasmi di Hill House che di quelle presenze che infestano il mondo e la memoria.
La famiglia Crain era una normale famiglia Statunitense, quando 26 anni fa per una Estate ha dovuto trasferirsi ad Hill House, già nota al tempo per oscure presenze che vagavano in essa, tra cui si diceva i fantasmi dei deceduti in quella casa molto tempo prima. Dopo quella Estate, tutto è cambiato, in un notte il patriarca della famiglia: Hugh Crain (Henry Thomas) ha preso con sé i figli ed è scappato, lasciandosi dietro la moglie, Olivia (Carla Cugino) ormai completamente lontana dalla realtà e in preda al volere dei fantasmi della casa. Il tempo passa e la famiglia Crain si divide, fino a quando i fantasmi di Hill House non tornano a farsi vedere e così un evento inaspettato e crudele li costringe a riunirsi di nuovo.
Flanagan è un esperto di storie paranormali e di possessioni, il suo Oculus e anche Ouija: Le Origini del Male ci avevano abituato al suo piglio consapevole e peculiare in fatto di horror. Hill House non si distanzia molto come tecnica di regia da quella utilizzata in Oculus, anzi alcuni espedienti visivi ritornano prepotentemente, riuscendo quasi ad essere più convincenti qui che in quel singolo film anche a causa del minutaggio maggiore e della costruzione stessa della scena, che incredibilmente cambia solamente per l’assenza o l’esplosione di luce in più scene. Il lavoro dietro al comparto tecnico di questa serie è impressionante sia sullo schermo che nei BTS, Flanagan e la sua squadra hanno costruito una vera e propria casa infestata, dove il male cammina da solo accompagnando le anime che infestano la casa. Parte del merito va anche a chi si è occupato delle luci, esse sono un’altro elemento fondamentale e sapientemente utilizzato nella serie; sono infatti queste a cambiare la percezione che si ha dei vari momenti, da quelli più spensierati a quelli anche più inquietanti e magari persino onirici. Non va nemmeno dimenticata l’importanza del buio e delle ombre all’interno della serie, infatti, ad un certo punto vi sembrerà quasi che qualsiasi ombra sia un fantasma e che dietro un angolo buio possa esserci nascosto il male e la prossima mortale “sfida” della casa, che non solo è infestata ma si estende oltre lo stesso spazio fisico e il tempo, dando una definitiva versione di una casa infestata.
Per quello che riguarda l’adattamento realizzato da Flanagan in termini di scrittura è abbastanza palese quanto la storia che ha raccontato non fosse solo una storia di fantasmi ma anche una storia che sentiva propria, spesso in Hill House ci si inoltra in momenti caratterizzati da monologhi, scambi di battute e momenti di vita della famiglia Crain, inserendo gli elementi del genere con parsimonia, prima presentando tutti i vari personaggi che hanno i loro episodi dedicati e che ci permettono di identificare i vari stereotipi all’interno della famiglia: Abbiamo Steve (Michiel Huisman) quello che non ha mai visto nulla di strano ad Hill House e che non crede in quelle sciocchezze che il padre (Timothy Hutton nel presente) gli raccontava; Shirley (Elizabeth Reaser), la donna di famiglia tutta d’un pezzo dietro cui le sorelle si sono protette; Abbiamo Theodora (Kate Siegel), il maschiaccio e anche quella che più è stata colpita dalla casa che le ha donato certe capacità o che magari ha solo sviluppato per contatto e poi Luke (Oliver Jackson-Cohen) e Nell (Victoria Pedretti), due gemelli che hanno portato in quanto figli più giovani e più facilmente manipolabili dalla casa i segni maggiori del periodo passato in quella tremenda casa. Flanagan con questi 10 episodi ha toccato tutti i temi più spesso associati alle storie di fantasmi anche nel mondo reale come il lutto in famiglia, le psicosi da eventi traumatici in giovane età ricondotti a forze di un’altro mondo per riuscire ad averci a che fare, abuso di droghe, chiusura della propria vita alle altre persone e tanti altri che sarebbero quasi da analizzare uno ad uno, se ci fosse il tempo. La cura degli sceneggiatori e dei costumisti è stata anche notata soprattutto sui fantasmi, proprio i fantasmi sono tutti diversi tra di loro, la presenza e persino il ruolo che occupano nella casa è studiato ed è ben inserito all’interno della storia permettendo allo spettatore di capire l’identità di ognuno di loro a prima vista, senza che questi si presentino, perché facilmente rappresentano o possono rappresentare tutti gli errori che si compiono in vita e che ci si porta dietro nella morte. Non ci si scorderà facilmente di incubi come la donna senza collo, Smiley o l’uomo con il cappello.
Hill House è stata decisamente una sorpresa in questo 2018, inquietante, con interpreti che seppur non particolarmente famosi o apprezzati a livello mondiale sono riusciti a dare forma alla famiglia Crain e anche farci affezionare a loro. Mike Flanagan è riuscito a consegnare una soddisfacente storia di fantasmi e a raccontare anche una tragedia familiare, perché Hill House è anche questo un drama con al centro una famiglia, dove l’elemento sopranaturale gioca un ruolo importante ma anche se fosse sostituito da un tema come la malattia mentale e le allucinazioni che derivano dai problemi psichici o comunque della sfera della mente avrebbe lo stesso effetto inquietante e drammatico, perché al centro di tutto non c’è solo la casa, ci sono soprattutto i Crain. Il finale che accompagna l’ultima puntata è straziante più che inquietante, tutti gli errori passati ed i desideri per il futuro di questa famiglia vengono fuori quando un sacrificio li libera dalla casa e dalla maledizione mentre si imbarcano in una nuova storia che non sarà più frammentata nel tempo quanto solo indirizzata verso il futuro.