Cliff Chiang, uno degli ospiti di punta di Bao Publishing dell’ultima edizione del Lucca Comics, è uno degli artisti più apprezzati degli ultimi anni dell’industria dei comic books americani. Dopo gli esordi in DC su titoli minori, nel 2011 collabora con Brian Azzarello al rilancio di Wonder Woman, realizzando una delle run più apprezzate degli ultimi anni, nonché uno dei titoli migliori dei Nuovi 52. Finito di lavorare sull’Amazzone, Cliff esordisce in Image con Paper Girls, serie scritta dall’amico e collega Brian K. Vaughan, giunta da poco alla sua conclusione anche nel nostro paese grazie a Bao. Nell’attesa di vedere la serie adattata sul piccolo schermo grazie ad Amazon, durante i frenetici giorni lucchesi abbiamo avuto il piacere di parlare con Cliff di Paper Girls a 360°, del suo rapporto con Brian e di come la vittoria dell’Eisner lo abbia spronato ad essere un artista migliore.
Ciao Cliff, bentornato a Lucca! È un vero piacere averti come ospite su RedCapes, ma dicci, come ci si sente a tornare nel nostro paese?
È davvero fantastico, mi sarebbe piaciuto tornare prima, ma avendo un bambino piccolo, non riusciamo più a viaggiare come prima. La prima volta che venni a Lucca fu sette anni e fu un’esperienza meravigliosa e l’essere riuscito a tornare mi rende davvero felice.
Come detto prima, dobbiamo ringraziare Bao Publishing per la tua presenza a Lucca in occasione dell’uscita dell’ultimo volume di Paper Girls ma, prima di parlare della serie, potresti parlarci del tuo rapporto con Bao? Anche perchè forse non tutti sanno che è tua la mano dietro il logo di Bao.
Sì, sono proprio io. Ho incontrato Michele e Caterina al San Diego Comic-Con per diversi anni, conoscendoli come una divertente coppia di amici che passava al mio stand per firme e sketch. Poi un anno Michele mi disse del suo progetto di fondare una nuova casa editrice e mi chiese se fossi interessato nel realizzarne il logo. In quel periodo ero molto impegnato però ormai li conoscevo da 3-4 anni e mi son detto perchè no, sarà sicuramente divertente. Per il logo avevano in mente alcuni dettagli, sapevano fin dall’inizio di volere un cane e, se non erro, fui io a suggerire un French Bulldog, perchè risalta in bianco e nero. Il risultato finale gli piacque molto ed è incredibile vedere come quel logo sia ancora con loro dopo tutti questi anni e mi viene da sorridere ogni volta che mi capita di vederlo. Inoltre è sorprendente quanto siano cresciuti come editori, la qualità dei loro libri. Non potrei essere più felice che Paper Girls sia pubblicato da loro.
E a proposito di Paper Girls, sei qui per la promozione del finale della tua serie Image scritta da Brian K. Vaughan. Puoi dirci quale è stata la tua reazione quando Brian ti ha parlato di come si sarebbe conclusa la storia?
In realtà non ho mai saputo esattamente come si sarebbe conclusa la serie. Ero a conoscenza di alcuni punti chiave della serie, ma il bello di Brian è che non ti dice mai esattamente come andranno le cose. Quindi ogni volta che leggevo lo script era anche la prima volta che venivo messo al corrente di tutto, un pò come se fossi un fan. Nello specifico, quando ho letto lo script del finale ero triste, ma al contempo felice e spero che anche il pubblico si sia sentito così, perchè credo che sia stato il modo migliore di concludere la storia delle ragazze. In più, sono stato molto contento di aver avuto la possibilità di trascorrere del tempo con le quattro protagoniste dopo tutta l’azione degli ultimi numeri, regalando un addio appropriato, senza dover per forza accelerare il ritmo, solo perchè si era raggiunta la fine.
E permettimi di dirti che ci siete riusciti benissimo. Restando in tema, dopo aver disegnato l’ultima pagina del fumetto e ripensando all’intera serie, quali sono gli elementi che ti rendono più orgoglioso di Paper Girls?
L’ultima pagina di Paper Girls è stata davvero difficile da disegnare per diversi motivi, soprattutto dal lato emotivo, perché non ero pronto a lasciarmi questa storia e i suoi personaggi alle spalle. Riguardando però l’ultima pagina, sono davvero orgoglioso di come la serie tratti il tema dell’amicizia, di quanto sia importante, soprattutto da adolescenti, quando i tuoi amici significano tutto per te. Mostrare e analizzare questo elemento, avere diversi personaggi, ognuno con una storia, credo siano gli elementi che la differenziano dai più comuni fumetti di supereroi.
E invece dal punto di vista artistico, in una serie come questa dove le protagoniste sono quattro adolescenti degli anni’80, quanta importanza ha avuto il trovare un look specifico e unico per ogni singola ragazza, così da renderle subito riconoscibili?
È stato fondamentale. Brian è stato bravissimo a delineare le loro personalità e, alla fine, io ho dovuto solo trovare il modo di mostrarle visivamente, cosicché bastasse guardarle per distinguere chi fosse la più rissosa e arrabbiata da quella calma o dall’intellettuale, ma ognuna di loro però ha un look differente e specifico. Sono stato adolescente anche io durante quel periodo, ho un sacco di ricordi e di fotografie dell’88, che mi sono stati di grande aiuto per trovare il giusto look di quegli anni, anche perchè i vestiti del 1988 sono molto diversi da quelli del 1984 o del 1981, quindi il riuscire a trasmettere il corretto modo di vestire del 1988 è stato di fondamentale importanza.
Molto interessante, invece secondo te quali aspetti hai in comune con loro o con una di loro?
È curioso, perché abbiamo iniziato la serie con tutte loro, mentre i volumi successivi si focalizzano su una ragazza per volta, quindi per rispondere alla tua domanda cambia in relazione al volume, ci sono parti di me tutti.Inoltre il ruolo da disegnatore mi permette in un certo senso di essere anche regista e attore allo stesso tempo, quindi ci sono aspetti di me e Brian in tutte loro. In più sono stato davvero felice di iniziare Paper Girls con il personaggio di Erin, mostrando per prima la storia dal suo punto di vista, il punto di vista di una ragazzina di origine asiatica della periferia dell’Ohio mi stava molto a cuore perchè mi rispecchia in pieno, in quanto anche io sono cresciuto nella periferia di quegli anni. È stato un po’ come rivedere me stesso all’interno della storia.
Durante il viaggio di Erin, Tiffany, Mac e KJ, tu e Brian ci avete condotto dall’America degli anni’80 fino a un futuro distopico, mostrandoci le cose più bizzarre e pazzesche, come macchine del tempo di marca o pterodattili volanti. La libertà di costruire un mondo praticamente da zero, plasmare il paesaggio, svilupparne la cultura e il linguaggio deve essere davvero stimolante, per cui mi domandavo, da artista, quale è stata la parte migliore della creazione di questo mondo?
È stata una vera sfida, e sicuramente è l’aspetto che preferisco di più. Ogni volume ha un setting diverso, così da non risultare noioso e mi ha evitato di disegnare le stesse cose più volte. Ogni volume mostra una diversa linea temporale, avendo le proprie sfide di design: infatti mi sono ritrovato, per esempio, a dover trovare il look per dinosauri e creature preistoriche per poi passare a quello di strani veicoli volanti. È stato sicuramente un sacco di lavoro, ma fortunatamente non l’ho dovuto fare tutto in una volta (ride),perchè con la cadenza della serie, sono riuscito a gestire al meglio il lavoro. In più, progettare un mondo da zero, significa che ogni elemento è studiato per uno scopo specifico della storia e l’avere la libertà di poter creare qualsiasi cosa è grandioso. Inoltre Brian è una persona fantastica con cui collaborare, non solo perché ha sempre delle idee strepitose, ma anche perché è sempre disposto ad aggiunte o modifiche sulla base di suggerimenti altrui.
E a tal proposito, come ti trovi a collaborare con lui? Come siete finiti a lavorare su questo progetto?
La prima volta che abbiamo lavorato insieme credo sia stato circa venti anni fa, su una short-story di Swamp Thing. Entrambi ci siamo trovati bene a lavorare con l’altro, e siamo stati soddisfatti del risultato finale, ma non siamo più riusciti a far coincidere i nostri impegni: io ero al lavoro su qualcosa, lui poi stava lavorando a qualcosa di altro, e dopo titoli come Y: The Last Man, Ex Machina e Saga mi ero rassegnato all’idea che non saremmo più riusciti a collaborare, data la mole dei suoi impegni. Nel corso degli anni cercammo di restare in contatto e finito Wonder Woman, ricevetti una sua mail e fortunatamente io ero libero da impegni, un pò come se tutto si fosse allineato.
Come dicevamo prima, le ragazze sono il cuore della serie e durante il loro viaggio abbiamo assistito a come sono cresciute, trovando loro stesse in questo pazzesco viaggio temporale. In un mercato dominato da protagonisti maschili, il vostro fumetto presenta quattro forti ragazze come protagoniste, riflettendo una società multietnica. Durante il suo sviluppo, quanta importanza avete dato a questo aspetto tu e Brian?
Credo sia stato il fulcro dell’intera serie. Ogni elemento successivo ha preso forma, partendo da quel gruppo, sapendo benissimo che sarebbe stata una storia su delle ragazze di diverse etnie e per noi ciò era davvero importante. Brian ha sempre detto che il nostro compito,come storyteller, è quello di mostrare il mondo esterno, il mondo in cui viviamo. Questo è il mondo in cui viviamo e con il progredire della serie e lo spingersi sempre più in là nel futuro, sarà possibile vederne le differenze; credo quindi sia la realtà di questo nostro mondo, è la cosa giusta da fare e, come persona cresciuta, non avendo molte storie con protagonisti simili a me senza però averci dato dato molto peso come invece avrei dovuto fare, l’avere la possibilità di poter raccontare una storia di questo tipo mi ha davvero aperto gli occhi, rendendomi veramente felice di poter mostrare questi personaggi raffiguranti persone che troppo spesso non vengono rappresentate.
La serie è stata un grande successo di pubblico e critica, e nel 2016 ha vinto l’Eisner Award come miglior nuova serie e tu hai vinto il premio come miglior artista. Come ti sei sentito a vincere questi premi, e secondo te queste vittorie hanno alzato le aspettative attorno alla serie?
Bella domanda. Questi premi hanno significato molto per me, facendomi sentire davvero fortunato. Sono molto orgoglioso del lavoro fatto e ottenere questi riconoscimenti da altre persone del settore non ha davvero eguali. Per quanto mi riguarda, se da un lato questi premi rappresentano una sorta di affermazione del lavoro che abbiamo fatto, dall’altro alzano terribilmente l’asticella, perchè ogni cosa fatta dopo la vittoria avrebbe dovuto mantenere le aspettative e la qualità precedente, se non meglio. In tutta onestà ritengo che mi ha spronato a dare il meglio e a non adagiarmi sugli allori.
Inoltre a breve Paper Girls diventerà anche una serie tv grazie ad Amazon e ci domandavamo cosa potessi dirci a riguardo?
La showrunner sarà Stephany Folsom, che ha scritto Toy Story 4, oltre ad altri progetti tra i quali, credo, Il Signore degli Anelli, sempre per Amazon. Ciò a cui sta lavorando è incredibile, ho avuto la fortuna di vedere ciò a cui lei e Brian stanno lavorando e le sue aggiunte sono perfette, racchiudono l’essenza fondamentale della storia, riuscendo anche a mettere in luce altri aspetti, e anche io non vedo l’ora di vedere ciò che hanno in serbo per la serie.
E anche noi non potremmo essere da meno. Parlando d’ altro, prima di Paper Girls, tra il 2011 e il 2013 hai lavorato con Brian Azzarello su Wonder Woman e ancora una volta la serie è stata un grande successo di fan e critica. Tu e Brian avete scosso le fondamenta del personaggio, ma allo stesso tempo siete rimasti fedeli ad alcuni elementi tipici del personaggio. Secondo te, durante la tua run, la tua arte cosa ha aggiunto all’iconografia del personaggi?
Lavorare su un personaggio così iconico è sempre rischioso, perchè hai sempre il timore su cosa tu possa o non possa cambiare, anche se ognuno è un caso a sé. Facendo parte dei nuovi 52, noi abbiamo avuto la possibilità di poter ripartire da zero e una delle cose che mi rallegra è quando le persone, alle convention, mi dicono di aver iniziato a leggere Wonder Woman grazie a noi, e l’iniziare a leggere partendo da un numero 1 li ha messi a loro agio, incoraggiandoli a iniziare a leggere fumetti. Ecco, questo è sicuramente l’aspetto di cui vado più fiero, l’aver lavorato a qualcosa che fosse appetibile, ma anche comprensibile per un nuovo lettore, perché, come ben sai, spesso i fumetti possono essere davvero complessi e ostici per coloro che vogliono iniziare a leggerli, ma credo che noi siamo riusciti a fornire un ottimo punto di partenza con una storia interessante e una Wonder Woman, seppur non quella di sempre, con un diverso twist, sempre in grado, comunque, di onorare e rispettare la sua storia.
E adesso sei tornato in DC, con un nuovo progetto per l’etichetta Black Label, cosa ci puoi anticipare del progetto?
Sono davvero entusiasta. Era da tanto che volevo cimentarmi nella scrittura. Scriverò, disegnerò, colorerò e mi occuperò del lettering della serie. Ho lavorato con tantissimi autori negli anni, dai quali ho cercato di imparare il più possibile, e ora è la mia occasione di mettere insieme quello che ho imparato. Potrebbe rivelarsi un disastro, ma eventualmente sarà il mio disastro (ride).
Non credo assolutamente, anzi sarà sicuramente grandioso e non vedo l’ora di leggerlo. Cliff, grazie mille, è stato un vero piacere avere la possibilità di intervistarti, e speriamo di poterti rivedere presto in Italia. Grazie e alla prossima!