Durante la seconda edizione del FeST, il Festival delle Serie TV, abbiamo avuto il pacere di vedere in anteprima Made in Italy, una serie italiana prodotta da Mediaset, che è stata poi acquistata da Amazon Prime Video. Il fatto che Amazon si sia interessata a questo prodotto dovrebbe farci incuriosire, perché la piattaforma del colosso statunitense da tempo ormai punta ad un qualità molto alta per i suoi prodotti. Made In Italy infatti non tradisce, almeno in parte, queste aspettative.
Si tratta di una serie ambientata nella Milano del 1974 che, come possiamo intuire dal titolo, affonda le sue radici nel modo della moda. La protagonista è Irene, studentessa di storia dell’arte che però fatica a conformarsi ad una società che la vuole senza idee, sposata e con figli. Irene quindi decide di trovarsi una lavoro ed entra nella redazione di Appeal, rivista gestita da Rita Pasini. Rita è una donna apparentemente modo dura ma che già da subito si rivelerà un modello e una guida per Irene, che sembra un pesce fuor d’acqua in un mare di squali.
La qualità tecnica e visiva della serie è innegabile, c’è una cura molto attenta alla composizione dell’immagine che predilige la simmetria, in modo da mettere i personaggi sempre al centro dell’inquadratura. Viene utilizzato spessissimo anche il carrello, che ci accompagna per i corridoi lunghi e stretti della sede di Appeal, rendendoli quasi claustrofobici. Essendo poi ambientata nel 1974 è incredibile il lavoro di ricostruzione degli ambienti, sia interni che esterni, dei costumi e dei props, tanto che viene definita una serie in costume. Permette in un certo senso di riscoprire un’epoca in cui la tecnologia era ancora poco sviluppata e per inviare delle foto da New York a Milano si usavano gli aerei e non le email.
Le premesse dunque sono interessanti ma la serie almeno nei primi episodi cade in un esagerato citazionismo anche comprensibile in un certo senso all’ormai cult Il Diavolo Veste Prada. È inevitabile fare un paragone tra i due vista la somiglianza delle due storie, una giovane ragazza completamente estranea al mondo della moda si ritrova catapultata nella redazione di una rivista gestita da una donna dura e burbera che però le insegnerà come questo mondo possa emanciparla. Le sorti di Irene e Andrea sembrano quindi molto simili così come quelle di Miranda e Rita che per altro si somigliano anche fisicamente, o almeno così viene suggerito dalle scelta di look per entrambe le attrici. Addirittura il primo scambio di battute tra le due è una citazione molto palese al film che riprende quasi per intero lo scambio che avviene tra Miranda e Andrea nella sede di Runway. Ma se ne Il Diavolo Veste Prada il mondo di Runway sembra essere un covo di serpi pronte a far fuori l’ultima arrivata, Irene trova in Appeal una seconda casa che le permette di crescere e di esprimersi. Qui trova nuove amiche e capisce che la sua vita può essere di più della moglie o della fidanzata di qualcuno.
La stessa Rita che, inizialmente è molto dura con Irene, si rivelerà una figura materna che prova a trasmetterla la sua conoscenza acquisita in anni di duro lavoro in un mondo profondamente maschilista. È inoltre interessante vedere finalmente un prodotto italiano che porta sullo schermo storie di donne complesse e non bidimensionali e soprattutto lo fa con una cura per l’immagine che raramente si vede nella televisione italiana. Nonostante quindi non sia una serie estremamente originale o qualcosa mai visto, merita sicuramente una visione anche solo per apprezzarne la ricostruzione storica e l’ironia molto delicata.
Possiamo sicuramente definire Made in Italy “Il Diavolo Veste Prada” se fosse ambientato nel 1974 a Milano. Lo sforzo di Mediaset di puntare alla qualità ha dato i suoi frutti, ma pecca di poca originalità.