[Recensione] La Mia Cosa Preferita Sono i Mostri – La consapevolezza dell’uomo lupo

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La Mia Cosa Preferita Sono I Mostri

Quanto ricordate della vostra infanzia? In che misura essa influenza ancora il modo in cui vivete oggi? Felice o tormentata che sia, la parte più difficile della vita di un bambino è senz’altro rappresentata dal rapportarsi con la parte “più adulta” del mondo e con tutto ciò che ne concerne.

La Mia Cosa Preferita Sono i Mostri” (“My Favorite Thing Is Monsters”) parla di questo e non solo. L’autrice Emil Ferris ci racconta la storia di Karen Reyes, una bambina di dieci anni che vive in un appartamento nella periferia della Chicago del 1968, con sua madre e suo fratello Diego. Karen, che tenta di analizzare il mondo degli adulti attraverso le lenti delle sue ossessioni, più di ogni altra cosa, vuole diventare un mostro.

Il disegno e la narrazione de La mia cosa preferita sono i Mostri sono atte a creare nel lettore la sensazione di star leggendo il diario di Karen. Il disegno, realizzato a penna e pennarello su fogli a righe con i fori per il raccoglitore, è in continua mutazione:
Il tratto varia, muovendosi tra sontuoso naturalismo, caricature, schizzi frettolosi e figure stilizzate; le rappresentazioni più definite simboleggiano evidentemente ciò che per Karen è chiaro e comprensibile, a prescindere dalla natura reale o immaginaria di ciò che è rappresentato. Ciò che è distorto, grottesco o disegnato in modo approssimativo, al contrario, è parte di ciò che Karen non comprende appieno.

Il testo pungente, quasi del tutto privo di baloon o box di testo di alcun tipo, richiede una lettura verticale, laterale e a volte perfino trasversale. E’ sorprendente come una tale combinazione di espedienti grafici e narrativi non comprometta in alcun modo la fruizione, anzi, la lettura risulta piacevolmente scorrevole.

L’amore di Karen per l’horror e per i mostri più classici del cinema e della letteratura, si mischiano alla passione per l’arte, inculcata da suo fratello. Questi due particolari interessi della giovane protagonista, sono in realtà due metafore con cui l’autrice ci illustra i temi principali della sua opera:

I mostri fittizi sono una vera e propria passione per la protagonista. Karen conosce in modo enciclopedico ogni aspetto del panorama letterario e cinematografico dell’orrore, ciò include anche le creature che ne fanno parte. In un mondo ed in un periodo in cui le persone (bambini inclusi) sono costretti a vivere una vita più o meno felice in base alla loro razza, religione e/o superstizioni, il gesto di una bambina, di sublimare le brutture quotidiane in una visione personale del mondo che la circonda, è quantomai coraggioso.
I mostri, quelli veri, sono le brutture e le incomprensioni del mondo adulto che Karen affronta ogni giorno, il che ci mostra tristemente che la protagonista ha una triste consapevolezza della realtà dei fatti, ma nonostante ciò ha scelto di affrontare il mondo in modo diretto e coraggioso. Il mondo fa paura? Le persone ti additano? Allora l’unica cosa da fare e divenire un mostro, come un lupo mannaro, per scacciare via le brutture quotidiane.

L’arte, per quanto possa sembrare strano, è molto vicina ai temi sopra trattati. Nella teoria e nella filosofia dell’arte si tende a sottolineare la differenza fra l’arte e le altre pratiche umane. In questo modo, si può perdere il senso profondo della pluralità delle arti e sottovalutare la portata dell’arte nell’ambito della vita di tutti i giorni. Il lavoro della Ferris, al contrario, colloca l’arte in continuità con le altre pratiche umane, perché solo in riferimento a esse può acquisire la propria specifica potenzialità. Seguendo Karen e Diego, saremo in grado di comprendere la particolarità dell’arte nel contesto quotidiano umano, ovvero di cogliere la natura essenziale del contributo che essa reca alla vita di tutti i giorni, anche se a molti di noi la cosa sfugge. L’arte, non è semplicemente una pratica specifica, ma una forma complessa e variegata di gesti, spesso passivi e riflessivi e in quanto tale, è inevitabilmente assai produttiva nell’ambito del rapporto tra l’essere umano e il mondo. L’arte è un inconsapevole gesto di libertà con cui l’essere umano sceglie il modo in cui rapportarsi col mondo.

Le emozioni e le reazioni dei protagonisti, sono vivide e tangibili, ciò è dovuto al fatto che parte degli eventi narrati in La mia cosa preferita sono i Mostri sono autobiografici e Emil Ferris ha scelto di far provare ai lettori le stesse sensazioni che lei ha, tristemente, vissuto in prima persona.
Leggere il “quaderno” di Karen si rivelerà un viaggio attraverso una miscela fantasmagorica di immagini del passato e del presente: esoterismo, arte e religione si fondono sullo sfondo di uno spaccato sociale quanto mai attuale.
L’intricato tratteggio incrociato dell’arte della Ferris rende La Mia Cosa Preferita Sono i Mostri uno spettacolo strabiliante a livello visivo ciò, unitamente al comparto narrativo ci rivela, fin dalle prime pagine, che questo volume è un’affascinante e selvaggio viaggio nella narrativa.

Potremmo continuare a parlare della Ferris e del suo lavoro per pagine e pagine. Potremmo parlare del fatto che personalità del calibro di Art Spiegelman (per chi non lo sapesse, è l’autore di Maus) hanno lodato l’autrice, con frasi come: «uno dei più importanti artisti del fumetto del nostro tempo». Oppure potremmo parlare dell’assurda e toccante storia che ha portato alla pubblicazione di La mia cosa preferita sono i Mostri (no, davvero, andatevela a cercare, è assurda) o del fatto che la Ferris abbia esordito come autrice all’alba dei 55 anni d’età… Ma sarebbe superfluo, non ci sono altre parole che, aggiunte allo sproloquio da me fatto fin ora, possano abbellire di più quella che senz’altro diverrà una delle opere più importanti nell’odierno campo della nona arte.

La particolarità del tratto e lo stile della narrazione, potranno, ad una prima occhiata, non convincere tutti. Tuttavia, dopo poche righe, La mia cosa preferita sono i Mostri saprà emozionarvi, grazie all’onnipresente espediente di cui la Ferris ha intriso ogni singola pagina della sua opera d’esordio: il cuore.


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