Si è conclusa l’altra sera su Sky Atlantic la prima stagione di Tin Star, serial televisivo Britannico con protagonista Tim Roth e Christina Hendricks, portando a conclusione tutte le trame iniziate con l’episodio 1 e al contempo preparando il terreno per la seconda stagione.
La nona puntata, Fortunate Boy, ci rivela finalmente la verità tanto agognata. Chi è veramente Jack Devlin? Una domanda che ci ha tormentato per tutta la stagione e che ha piano piano portato alla distruzione della famiglia di Jim Worth aka Jack. Tutto inizia dalla campagna Inglese, da una donna, suo figlio e da un agente sotto copertura pronto a tutto per raggiungere il suo obbiettivo, arrestare Frank, capo di un giro malavitoso importante dei sottoborghi Londinesi. La puntata è interessante per vari motivi, sopratutto perché fa da stacco netto con quello che è stato il finale della puntata 8 dando l’opportunità allo spettatore di prepararsi al gran finale(?); Ma è interessante anche perché riprende uno dei topos più interessanti della televisione moderna, ossia i mostri che ci proteggono, chi ha visto The Shield sa quanto, i poliziotti corrotti e pronti a tutto possano essere più affascinanti di quelli retti e perfetti e Jack Devlin non fa eccezione, anzi è
possibilmente più distruttivo di un qualsiasi Vic Mackie o John Luther probabilmente. Tim Roth nella nona puntata probabilmente dà una delle migliori interpretazioni dell’intera stagione consegnando un essere così infimo per il quale non riesci a non provare odio per buona parte dei 49 minuti di durata, un essere che sembrava l’eroe della vicenda, ma che alla fine è colpevole tanto quanto Simon/Whitey di quello che sta succedendo. La regia messa in gioco da Craig Viverois è tipicamente Inglese e valorizza tantissimo i momenti intimi tra il personaggio di Jack e Simon, dirigendo benissimo Roth, con cui ha già lavorato su The Rollington Place e che forse molti di voi (non) conosceranno per And Then There Were None, adattamento del 2015 di Dieci Piccoli Indiani di Agatha Christie.
La decima puntata invece, My Love is Vengeance, chiude definitivamente le trame e ne apre di altre, con scelte anche coraggiose se portate avanti e non abbandonate in fase di stesura della seconda stagione già confermata; Jack e Angela, due psicotici amanti, uno senza ormai più freni e l’altro, con ancora qualche traccia di compassione nell’animo si muovono per rintracciare la loro figlia, Anna, nelle mani del “nemico” che cerca vendetta, Simon/Whitey. Ma prima di arrivarci, Jack/Jim chiude definitivamente i conti con Frank, mentre Elizabeth, interpretata da una glaciale Christina Hendricks, finalmente mette in atto la parte finale del suo piano, lasciando di stucco gli spettatori e i personaggi stessi che credevano come noi di aver capito il personaggio ma non era così e quindi così assistiamo alla definitiva ascesa ai piani ancora più alti della Northstream Oil. La puntata si chiude con quella che è la caduta definitiva di Jack, tra i paesaggi innevati del Canada si arriva allo scontro finale, anzi, al confronto con il passato, dove il titolo di questa puntata è profetico, “Il Mio amore è la mia vendetta” e dove il diavolo incontra la sua fine(?).
Si potrebbero dire tante cose ora che questa serie è terminata, si potrebbe fare una disanima sulle malattie mentali e sui problemi del lavoro sottocopertura o ancora si potrebbe parlare di una storia di Jekyll e Hyde più moderna, e in un certo senso non sarebbe sbagliato, ma per me nulla riassume meglio questa serie come la frase, I mostri più grandi dimorano dentro di noi e a volte siamo noi stessi.
Una conclusione quindi interessante e piena di spunti interessanti, che lascia gli spettatori con due sensazioni, una di profonda curiosità, un’altra di sconforto e sporcizia, ci si sente sporchi come il personaggio di Tim Roth dopo che si arriva alla definitiva conclusione che forse, sotto sotto, abbiamo sempre tifato per il “cattivo”.