Rocketman di Dexter Fletcher – Il biopic su Elton John con Taron Egerton | Recensione

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Rocketman

Dexter Fletcher, produttore esecutivo e co-regista non accreditato di Bohemian Rhapsody, continua il suo percorso di specializzazione nelle pellicole a sfondo biografico. Oltre all’attiva partecipazione nel suddetto, di cui come minimo è accreditato come produttore esecutivo, è padre anche di “Eddie The Eagle – Il Coraggio della Follia”, film biografico su un noto stuntman, interpretato da Taron Egerton, che in Italia risulta passato quasi completamente in sordina. Con questo Rocketman, dunque, film che narra le vicende e la vita di Sir Elton John grossomodo fino ai primi anni ’80, firma il suo terzo lavoro di genere “biopic”.

rocketmanQuesta definizione, “biopic”, può tuttavia fuorviare quando si parla di “Rocketman”, infatti tutti quelli che si aspettano un film in stile “Bohemian Rhapsody” rimarranno delusi, o entusiasti, a seconda, perché in questa pellicola la vera protagonista è la musica, molto più della meticolosa ricostruzione della vita della star, molto più del dramma e del realismo. In effetti più che di film si può parlare a tutti gli effetti di musical.
La scena, quasi a voler subito evidenziare l’abbandono del realismo del racconto biografico, si apre subito con un Elton John (Taron Egerton) che si presenta ad una riunione di alcolisti anonimi, vestito con uno dei suoi sgargianti costumi da spettacolo; conversando con gli altri presenti si fa narratore della sua stessa storia, arricchita, come tutte le memorie, di canzoni e momenti veri solo nella mente, perfettamente rappresentati con l’alternarsi di dialogo e musica tipici del musical.

La sceneggiatura, in generale, sceglie di accompagnare la musica alla trama, e non viceversa; in parole povere gli intervalli musicali, arricchiti di coreografie a tratti notevolissime, non introducono e non completano la storia, ma fanno semplicemente da contorno, quasi a voler suggerire che determinati brani di Elton John nascano, o abbiano in parte le loro radici, da certi periodi della sua vita, ma senza entrare mai troppo nello specifico additando singoli episodi. E’ una scelta che, a parere di chi scrive, andrebbe apprezzata, perché rende godibili allo stesso tempo la storia e la musica, senza che una sembri al servizio dell’altra e senza creare quella sensazione di scetticismo che nasce da sequenze scritte palesemente a tavolino per incastrare la canzone iconica con l’avvenimento X.

Nonostante il tono del film, nel complesso, sia leggero e scanzonato, la trama ed in particolare la messa in scena del personaggio principale non risparmiano momenti drammatici e cupi. Elton John non è certo qui dipinto come un uomo senza macchia, al contrario la sceneggiatura non lesina affatto nella descrizione dei suoi vizi, principalmente alcol, droghe di ogni tipo e shopping compulsivo, e delle sue fragilità, come la bulimia e l’ipersessualità, in un clima generale di redenzione, anche banale se vogliamo, che tuttavia parte da un’immagine a tinte decisamente fosche. Questa scelta conferisce un valore aggiunto alla sceneggiatura anche per il fatto, non trascurabile, che Elton John, vero protagonista oltre l’attore che lo interpreta, è vivo e vegeto, e per questo va riconosciuta una certa dose di coraggio al film e, certamente, allo stesso Elton John che ha partecipato abbastanza attivamente alla sua creazione.

Un altro punto di forza di questa pellicola è rappresentato, senza dubbio, dai costumi. Chiunque abbia visto Elton John almeno una volta, o abbia per lo meno presente le sue sembianze, saprà che non è un personaggio dall’aspetto particolarmente sobrio, specialmente quando si tratta di esibirsi sul palco; costumi sgargianti, code di pavone e copricapi esotici sono il suo pane e in questo “Rocketman” si sceglie di onorare alcuni di quelli che son stati i più iconici costumi del Sir britannico con ricostruzioni di grandissima qualità, senza trascurare, ovviamente, l’accessorio più identificativo: l’occhiale, sempre diverso, eccessivo e paillettato.

Non da ultimo va infine menzionato l’attore scelto per indossare questi meravigliosi panni, un Taron Egerton in grandissimo smalto, che sempre più si distanzia, o meglio, dimostra di saper prendere le distanze, dalla parte caricaturale e semi-comica di “Eggsy”, protagonista della serie “Kingsman” che l’ha reso famoso, per dedicarsi a ruoli più impegnativi e di maggior spessore, sapendoli affrontare egregiamente. Per un attore che non sia già naturalmente portato, cimentarsi nel musical è forse una delle imprese più impegnative; non è detto che un interprete, per quanto valido, riesca comunque a risultare convincente sulla scena quando si tratta di farlo cantando e ballando. E’ un modo di recitare che, nonostante i mezzi e la possibilità di ripetere le scene innumerevoli volte, non sempre sortisce risultati positivi e non sempre mette gli attori nella condizione di poter sostenere un personaggio carismatico.

Non è decisamente questo il caso in “Rocketman” dove Egerton, pur non essendo Fred Astaire, da’ prova di un considerevole talento canoro oltre che di una convincente presenza scenica durante le coreografie. Il suo Elton John, insomma, è credibile sia come uomo che come star del palcoscenico, pur se forse un po’ troppo lusinghiero nell’aspetto fisico, dove il comparto del trucco avrebbe potuto osare ancora qualche tocco in più, senza scadere nel grottesco o nell’artificioso.

In definitiva Rocketman si presenta come un titolo più che valido, non privo di difetti certamente e di qualche leggerezza, specialmente nello svolgimento della storia non proprio imprevedibile, ma perfettamente in grado di rivaleggiare con il ben più blasonato “Bohemian Rhapsody”. Il confronto con quest’ultimo sembrerebbe, purtroppo, un po’ obbligato, sia per la comunanza almeno parziale di registi sia per la vicinanza artistica tra i protagonisti reali delle due pellicole; tuttavia è talmente distante lo stile narrativo utilizzato per renderle che qualunque confronto finirebbe per abbandonare ben presto il terreno dell’oggettivo per avventurarsi nel mare della soggettività e della sensazione, criteri di giudizio non trascurabili quando si parla di arte, ma che, almeno in teoria, dovrebbero essere esclusi il più possibile da una recensione, stante l’impossibilità di ignorarli del tutto.

Una nota finale è d’obbligo: Rocketman, proprio perché si compone di sequenze luminose, colorate, sgargianti, vive di piena vita in una sala cinematografica. Non ci sarebbe poi troppo da stupirsi se venisse descritto in toni più tiepidi dopo una visione dal divano di casa, ne questo dovrebbe rappresentare una macchia nella valutazione complessiva dell’opera; la settima arte certamente ha prodotto e produrrà sempre opere in grado di veicolare messaggi anche al di fuori della sala cinematografica, senza che la loro forza venga meno, ma è anche vero che ci sono altresì opere che traggono parte di questa forza dalla sala cinematografica stessa.