A circa una decade dalla conclusione del secondo capitolo “Dallas”, torna Umbrella Academy con la prima delle due serie annunciate ormai anni fa, Hotel Oblivion. Nonostante il tempo trascorso, lo stile di scrittura di Way rimane quello cui siamo abituati, ma con netti miglioramenti. D’altronde, Gerard Way è sicuramente una delle penne più innovative ed eclettiche dell’intero panorama comicdom americano e la sua ricerca di migliorie e perfezionamento stilistico certo non impressionano. Ne diede ampi segnali in Marvel, con un numero prequel di Spider-verse, e poi, soprattutto, in DC Comics, con la sua etichetta editoriale “Young Animal”, che lo ha visto alla guida di Cave Carson e della Doom Patrol.
Sir Reginald Hargreeves aveva un modo tutto suo di amare i suoi figli adottivi, ma non si può certo dire che non avesse a cuore la loro sicurezza: quando i nemici, sempre più pericolosi, strampalati e difficili da controllare dell’Academy hanno cominciato a farsi numerosi, ha trovato una soluzione perfetta per toglierli dalla circolazione senza fare loro del male. La storia di questa terza serie si incentra per l’appunto sull’Hotel Oblivion, luogo in cui i nemici dei nemici dell’Academy vengono richiusi per essere dimenticati per sempre. Ma il passato ha sempre il pessimo vizio di voler tornare, così i nostri eroi, sparsi per il mondo – e non solo – dovranno riunirsi e trovare un modo per risolvere, ancora una volta, la situazione.
Umbrella Academy: Hotel Oblivion non delude, presentandoci una storia dai canoni similari a quelli già visti nelle scorse serie, ma con delle leggere differenze. In precedenza, i lavori erano stati concepiti come mini-serie a sé stanti, con punti di contatto, ma senza essere necessariamente l’una “consapevole” dell’altra. Quindi, se era naturale che i finali andassero ad influenzare le vicende future in quanto collegati temporalmente, non c’erano rimandi che poi sarebbero stati ritrovati successivamente. Mentre invece, in questo caso, molti elementi introdotti saranno poi necessari ai fini della prossima serie, di cui ancora non si conosce il nome. In Hotel Oblivion c’è l’introduzione di qualcosa, con un cliffhanger finale – anch’esso, inedito – che apre le porte alla storia che verrà. Sapientemente costruito, con piccoli tasselli disseminati nel corso della mini-serie, trova la forza di esplodere nel corso delle ultime quattro pagine.
La narrazione, come detto nella trama, segue diverse situazioni. Una incentrata su Space Boy e Kraken, in missione in Giappone, a Tokyo, e in seguito nell’Oltrespazio. Poi c’è Numero 5 che, come altri personaggi – Vanya, ad esempio – deve fare i conti col proprio passato. La prima per ciò che è accaduto in Dallas, l’altra ha ancora gli strascichi del trauma rimediato in La suite dell’Apocalisse. La loro storyline, che inizialmente parte separata, va ad unirsi. Voce, che sta sempre al fianco della sorella Vanya per darle una mano, si unirà infatti a Numero 5, per una missione comune legata all’Hotel Oblivion.
Cos’è l’Hotel Oblivion? Il passato. Il volume gira molto intorno al concetto di passato, il quale ritorna, e dev’essere, affrontato, accettato e superato. L’Hotel Oblivion lo incarna e rappresenta. È un luogo nel quale venivano imprigionati tutti i nemici sconfitti dai ragazzi dell’Umbrella Academy, per mano di Sir Reginald Hargreeves. Loro dovranno proprio combattere con le persone che usciranno da quel posto, annichilire nuovamente figure che covano rancore nei loro confronti. Il terzo filone narrativo riguarda invece Medium, perennemente invischiato nei guai. Anche lui, come gli altri, si troverà faccia a faccia con i suoi demoni e, assieme a Vanya, sarà essenziale ai fini della creazione del famoso cliffhanger finale, che porterà ad una prima risposta a molti quesiti maturati durante le scorse serie. Un piccolo difetto, che non va certamente ad inficiare sul complesso, può essere proprio il voler concentrarsi su diversi momenti narrativi, di fatto frammentando la storia della famiglia, che si riunirà solo molto più in là. Ad un occhio non troppo attento e allenato potrebbe risultare dispersivo, ma in realtà, seppur la frammentazione, lo abbiamo trovato a nostro parere ben congegnato.
I personaggi sono ben delineati, anche perché La suite dell’Apocalisse e Dallas avevano contribuito oltremodo a caratterizzarne la psicologia. Motivo per cui questo comparto viene minuziosamente definito anche nella serie tv Netflix, che prende a piene mani dalla graphic novel. Qui, in Hotel Oblivion, Way continua ad approfondirli, a sfaccettarli, ma hanno un’ottima base e sono, per questo, già vivi. I dialoghi vengono buttati giù in maniera molto chiara e dettagliata e c’è persino un momento che ricorda, per impostazione, quanto visto nella serie tv, ma con intenti e risvolti totalmente differenti.
Graficamente, la qualità è sempre alta. Gabriel Bà mantiene gli standard e, in alcuni frangenti, li eleva ulteriormente. Le tavole, grazie soprattutto ai colori di Nick Filardi, si esaltano, specialmente nelle scene ambientate nell’Oltrespazio e nell’Hotel Oblivion. La colorazione vivida, brillante e un filo psichedelica è fondamentale per la buona riuscita dell’intera opera.
In conclusione, l’attesa ha ripagato l’aspettativa, portando in scena un altro tassello fondamentale della storia della famiglia disfunzionale di supereroi, che, per la prima volta, getta l’occhio al futuro e, oltre ad intrattenere con Hotel Oblivion, pensa concretamente a costruire uno scheletro continuo. Cosa che Umbrella Academy, per logiche editoriali, vista l’insicurezza di rinnovo e di Way stesso che, all’epoca, aveva problemi di tempistiche, non era mai successa. Adesso c’è più consapevolezza del proprio status quo e, dunque, si può osare.