Il celeberrimo dizionario Webster definisce “inception”, traducibile in italiano con il desueto termine “incipienza” come un atto, un processo od un’istanza di inizio: pensateci bene, cos’è che non ricordiamo mai di un sogno, di come siamo arrivati in quel determinato posto o in quella specifica situazione? Il suo inizio. Un titolo, quindi, che va a riempire un vuoto, ma che, in prospettiva potrebbe essersi rivelato anche ironicamente profetico per il futuro di Christopher Nolan. E di acqua sotto i ponti ne è passata da quel 16 luglio 2010.
Inception, fondamentalmente, è il film con cui il regista inglese ha saputo spiccare il salto verso il grande pubblico e, viceversa, è la pellicola grazie alla quale il pubblico ha saputo apprezzare maggiormente l’estro dell’autore: stesso destino subito, buon per lui, da Tom Hardy, qui nel ruolo che l’ha consacrato come brillante stella del firmamento hollywoodiano. Perché Inception, quindi? Perché questo particolare film e non The Prestige o Il Cavaliere Oscuro? Perché Inception non è né un film di nicchia, come il gioiellino sull’illusionismo, né un film indirizzato ad una precisa tipologia di pubblico, dato che sequel di Batman Begins uscì nel 2008, anno in cui i cinefumetti erano ancora considerati una scommessa al botteghino. Inception, invece, nasce per essere un blockbuster, per la precisazione, però, evidente nella resa della pellicola, che si tratta di un film che nasce quasi per dimostrare che sia possibile coniugare grande pubblico e ottimo cinema. Beninteso, Inception, come del resto tutti i film di Christopher Nolan, pur ricevendo pareri largamente positivi (specialmente dalla critica, che, tra l’altro, gli ha conferito ben 8 nomination agli Oscar 2011, delle quali il film ha trionfato nella metà di esse), ha polarizzato l’opinione pubblica: ai pareri di chi l’ha definito “geniale” e “dolcemente impegnativo”, si sono contrapposti stuoli di opinioni avverse, che hanno fatto rivalsa sulla posticcia profondità del film e sull’inutilità del suo essere cervellotico, ma si sa: tutto il grande cinema divide e già il fatto che dieci anni dopo stiamo discutendo dell’indiscusso impatto culturale della pellicola, la dice lunga sulla lungimiranza di un regista come Nolan.
Le tematiche della pellicola sono molteplici e tutte molto care a Nolan: ovviamente partiamo dal tema cardine della pellicola, parlando del sogno e della dimensione mentale onirica a cui esso è collegato a doppio filo. Il regista iniziò a sviluppare un primo abbozzo di trama già durante la produzione di Memento, nel 2000, ma il progetto rimase relegato ad un’ottantina di pagine fino a quando, terminata la produzione di Insomnia (altro film in cui il tema del sonno è fondamentale), Nolan riprese in mano lo script per poi confezionare la piccola perla che abbiamo visto e rivisto: il regista londinese era assolutamente affascinato dalle capacità della mente umana durante la fase del sogno, valutandone le potenzialità e la percezione tra reale e immaginario che va via via facendosi sempre più flebile. Sarebbe possibile sfruttare la potenza di più menti al fine di scavare nel subconscio dell’individuo? Se sì, cosa potrebbe creare il nostro cervello quando non è limitato dai confini del reale? E come potremmo, allora, discernere ciò che è reale da ciò che non lo è? I semi di tutte queste domande vengono piantati da Nolan nel corso di tutta la pellicola, il quale sembra quasi divertirsi a giocare con lo spettatore, lasciandogli briciole da seguire al fine di arrivare al centro del contorto labirinto della mente (quello del labirinto, inoltre, è un tema affrontato più volte, seppur indirettamente all’interno della pellicola: la paura di perdersi, il primo test sottoposto da Cobb alla giovane Arianna e perfino il nome di quest’ultima, chiaramente ispirato alla fanciulla che dipanò il suo celeberrimo filo per permettere all’eroe Teseo di sconfiggere il temibile minotauro).
Un ulteriore tema che vedremo, in seguito, esplorato da altre pellicole del regista è quello della relatività temporale, della diversa percezione dei piani temporali: in Interstellar viene approfondito dal punto di vista scientifico, poiché viene praticamente fornita una versione live action del paradosso dei due astronauti, sui quali, in seguito a viaggi a velocità superluminari, il tempo agisce diversamente; in Dunkirk, invece, è lo spettatore a ricostruire la diversa durata del tempo che passa nelle tre storie che vengono presentate nella pellicola, le quali hanno la medesima durata on screen, ma un tempo narrativo diversamente dilatato; in Inception, piuttosto, scopriamo che il tempo nei sogni scorre molto diversamente a seconda del livello di profondità in cui il sognatore è immerso e questo escamotage narrativo riesce a far funzionare perfettamente la scatola cinese della sceneggiatura. Non per niente, il termine “inception” negli anni, specialmente nel linguaggio della comunicazione internettiana ha assunto sempre di più il significato di struttura ricorsiva, di matrioska applicabile ad ogni situazione. Persino il nuovo film del regista londinese, Tenet, che, al momento in cui vi scrivo, si trova in una situazione distributiva piuttosto contorta, sembra voler giocare molto sulla questione del tempo affrontato da diverse prospettive, dimostrando ancora una volta quanto questo tema sia caro all’autore e lasciando lo spettatore curioso di sapere come tale prospettiva verrà narrata dal medium cinematografico in maniera, si spera, sempre nuova ed innovativa.
Ma ciò ha davvero diviso il pubblico sin dall’uscita di Inception e che continua ancora a causare liti tra parenti e amici come la peggior partita di Monopoly è l’interpretazione del finale: Cos’è successo a Cobb? È rimasto nel limbo, dove la proiezione di sua moglie potrebbe assicurargli una vita serena e tranquilla, seppur illusoria? Oppure ha raccolto il coraggio ed è tornato dai suoi veri bambini, pur dovendo affrontare i problemi legali rimasti insoluti alla morte della madre dei piccoli? La dannata trottola di Cobb gira e continua a girare ancora dopo dieci anni con “Time” di Hans Zimmer in sottofondo, considerata probabilmente una delle colonne sonore più belle di tutti i tempi. Sinceramente, se siete arrivati fin qui per leggere la mia opinione sul finale, temo rimarrete delusi: ovviamente, come ogni spettatore, anch’io ho partorito le mie teorie al limite del paracomplottismo e del cospirazionismo, ma la risposta più giusta da dare è quella schroedingeriana, ovvero dobbiamo accettare l’assunto che, sia che la trottola si fermerà, sia che essa continuerà a girare, ciò non sarà mai di competenza degli spettatori, poiché la narrativa del film prevede il finale aperto e il finale rimane aperto a tutti gli effetti.
In ogni modo, Inception continua ad attrarre a sé spettatori di ogni tipo e pareri di ogni tipo: c’è chi lo considera la nascita del vero Nolan e, paradossalmente, c’è chi lo contrassegna come pietra tombale del Nolan dal gusto pseudo-indipendente a cui ci aveva abituato con Memento e Insomnia, ma rimane, senza dubbio, un film dall’imponente eredità culturale capace di scaturire discussioni, pensieri e addirittura progetti nella mente dello spettatore. Non si tratta né di un banale esercizio di stile né di un blockbuster di stampo prettamente action, bensì di un’opera dall’elevato valore artistico capace di intrattenere e di solleticare la mente dello spettatore e, senza alcun dubbio, sono convinto che tra dieci anni staremmo ancora discutendo riguardo la trottola di Cobb, una trottola, come quella di Inception, che non smetterà mai di girare…O forse no.