Il megaospite di questo Lucca Comics 2017 è Robert Kirkman, mastermind dietro al culto di The Walking Dead, ma anche produttore di molte serie più di nicchia ma altrettanto apprezzate, come la longeva Invincible, l’apprezzatissima Outcast e e diverse testate Marvel. Vi riportiamo l’intervista di ieri al panel a lui dedicato per Saldapress, buona lettura!
Q: Cosa sono per te gli eroi?
Kirkman: gli eroi per me sono tutti coloro che riescono a sfuggire alla propria zona di comfort, e che faccia ciò che è buono per le persone. Per me l’elemento più importante è il sacrificio, perché penso che sia l’elemento che rende eroico un gesto.
Q: Con l’ultima opera, Oblivion Song, stai lavorando con un’artista italiano, Lorenzo De Felici. Quali elementi italiani sta apportando all’opera?
K: Non so se Lorenzo abbia portato qualcosa di specificatamente italiano nel progetto, è possibile che l’abbia fatto e non ci abbia fatto caso, però c’è una particolare sensibilità nel suo disegno che potrebbe esserlo, perché sono cose che non ho mai visto prima.
Q: E qual’è invece il suo apporto personale a Oblivion Song?
K: E’ un contributo enorme quello che sta dando, il mondo di Oblivion è enorme e lo stiamo creando insieme. L’Universo di Oblivion ha un suo ecosistema, una sua catena alimentare, che deve funzionare, deve avere senso, deve avere basi scientifiche, mostrandosi nel contempo unico.
Q: il 144 sarà l’ultimo numero di Invincible ma hai sempre espresso il desiderio di vederla continuare, questo è un addio definitivo o in futuro troverai un nuovo autore che potrebbe rilanciare la serie?
K: Anni fa dissi che avrei voluto che Invincible mi sopravvivesse e che qualche altro team creativo continuasse a lavorarci, con l’idea che un giorno, quando sarò più vecchio, leggerò un Invincible che non mi piacerà, perché la mia opinione sarà ormai osbsoleta e perchè non comprenderò le idee del team creativo della nuova generazione. Ma mano a mano che andavo avanti con la storia mi sono reso conto che la storia che stavo scrivendo aveva un inizio, uno sviluppo e una fine, e mi sono reso conto che tutti gli altri comics supereroistici americani continuano senza avere una vera fine, mentre Invincible nasce proprio con l’idea di ribaltare i clichè dei supereroi, quindi ho pensato che fosse adeguato che la serie avesse una fine.
Q: Nelle tue opere è sempre presente il senso di precarietà e disequilibrio, c’è stato un evento nella tua vita che ti ha fatto pensare a delle idee o in cui ti sei reso conto di averne già parlato nelle tue storie?
K: Volete tutti che parli di Donald Trump! [ridono, ndr] E va bene! Il mio modo di affrontare la situazione è cercare di ignorarla. Ma in questi periodi difficili non riesco a non pensare che ci sia una necessità di fuga. La situazione attuale mi ha dato la voglia di inserire elementi di speranza, nelle storie, credo che sia ciò di cui abbiamo bisogno in narrativa. Quindi aspettatevi molte più scene di danza e canto in The Walking Dead [ride, ndr].
Q: La paura è un tema fondamentale nelle tue opere, la prima è la paura sociale dell’epidemia, come in The Walking Dead, mentre l’altra è una paura più intima e familiare, come vediamo in Outcast. Di cos’ha più paura Kirkman, del mondo o dei mali che si nascondono vicino a noi?
K: Diciamo di entrambi, ci sono mali esterni di cui essere spaventati, ma c’è anche da lottare con le paure interne. Non dentro di me personalmente, non so voi [ride, ndr]. Credo che la cosa più interessante sia il percorso che ci porta a capire ciò di cui siamo capaci e ciò di cui sono capaci gli altri. Ognuno ha un suo punto di rottura, una linea che non si vuole oltrepassare, che sia per la sicurezza delle persone amate o altro, è una cosa che mi interessa molto.
Q: Volevo chiederti se hai informazioni sulla terza serie di Outcast che puoi condividerci.
K: Il nostro partner negli Stati Uniti, Cinemax, è in fase di ristrutturazione interna, questo è il motivo per cui non siamo riusciti a trasmettere la seconda stagione prima di quest’estate, quindi ora siamo un po’ tutti in attesa, cercando di capire in che modo si svilupperà la situazione, speriamo di poter continuare. Per quanto detesti lavorare con Patrick Fugit [attore protagonista in Outcast, ndr].
Q: Spesso nei fumetti americani vediamo l’eroe slegato dalla famiglia, mentre tu indaghi spesso nei rapporti familiari, da cosa nasce questa cosa?
K: credo di trovare le relazioni familiari più interessanti da esplorare, forse proprio perché è un tema evitato dagli altri sceneggiatori. E poi gli scrittori parlano di quello che sanno, essendo io sposato e con due bambini scrivo di quello che ho nella mia sfera d’influenza, parlo di ciò che quelle terribili persone fanno alla mia vita ogni singolo giorno [ride, ndr]. Avere una famiglia e coinvolgerla sembra sempre che dia più forza ad una storia, ad esempio se in una storia cerco di prendere l’autobus e lo perdo, quella è una storia noiosa, ma se coinvolgo i miei bambini la storia diventa sicuramente più forte. Le famiglie ci complicano la vita in maniera interessante, e lo stesso accade alle storie.
Q: Quest’anno è morto il grandissimo George Romero, non avremmo The Walking Dead senza di lui, eppure la tua opera è diversissima rispetto all’originale, tutto sommato ricca di speranza rispetto ai classici di genere, sei d’accordo?
K: Molti dicono che The Walking Dead non sia pieno di speranza, altri sono in disaccordo come lo sono io, sono storie basate sulla speranza. Dicono che non ci sia speranza neanche nei film di Romero, sia in Day of The Dead e in Dawn of The Dead, io ritengo il contrario (casualmente entrambi si concludono con la scena dell’elicottero), ma credo che il media utilizzato non abbia permesso a Romero di approfondire la tematica. Io ho un canvas illimitato con cui esplorare, sia con la serie a fumetti che con la serie tv. E credo che i film di Romero siano molto più speranzosi rispetto a The Walking Dead, lì gli zombie evolvono, c’è un aumento della loro intelligenza e quindi più pacifica.
Q: E’ vero che avevi in mente di inserire gli alieni in The Walking Dead, non negarlo! La domanda vera è, 17 anni anni fa scrivevi Battle Pope, ti lanciavi nella parodia e nella satira, tornerai a quei temi o andrai avanti.
K: Innanzitutto non ho mai voluto mettere gli alieni in The Walking Dead, ho mentito dicendolo che l’avrei fatto per vederli pubblicati! Seconda domanda, scrivere commedie è davvero difficile, scrivere Battle Pope è stata una sfida, forse un giorno tornerò alla commedia. C’è sempre molta pressione ed è davvero complesso scrivere storie comiche, un conto è scrivere una storia, aggiungere la commedia è come scrivere un’intera nuova storia su di essa. Ma ho sempre pensato che, avendo iniziato la mia carriera con Battle Pope, potrei finirla con Battle Pope, sarebbe bello iniziare e chiudere la mia carriera con il progetto più demenziale che potessi fare. Mi piace ridere alle mie stesse battute! Quando sarà vecchio e con i capelli bianchi tornerò su Battle Pope.
Q: Con Skybound Entertainment Il progetto di Robert Kirkman è diventato multimediale, il prossimo step potrebbe essere il film di Invincible, c’è qualche aggiornamento?
K: Posso dire di star lavorando a stretto contatto con Evan Goldberg e Seth Rogen, che scriveranno dirigeranno il film, le cose stanno andando avanti e ci sentiamo spesso per nuove idee, speriamo che ci sia una sceneggiatura a breve, è tutto ciò che posso dirvi.
Q: C’è un personaggio che hai ucciso in The Walking Dead e di cui ti sei pentito?
K: Il punto è che non posso avere preferenze, oltretutto ci sono degli attori coinvolti e non sarebbe corretto nei loro confronti. Detto ciò, Tyreese, perché Chad Coleman è il migliore!
Che dire, Kirkman si conferma sempre di più uno dei migliori scrittori degli ultimi anni ed un grande intrattenitore!