Finalmente dopo un’assenza inspiegabile durata vent’anni Made in Hong Kong, il seminale film di Fruit Chan, è tornato in Italia con una nuova edizione restaurata in 4K e curata da Tucker Film in associazione con il Far East Film Festival di Udine. Questa nuova edizione Blu-ray del film è stata distribuita grazie ad un crowdfunding di CG Entertainment, e per l’occasione, sia per chi già conosce il film che per chi lo scoprirà solo oggi, ve ne parleremo un po’.
Prima di passare alla pellicola in sè, dobbiamo parlare un po’ della realizzazione. Fruit Chan, contrariamente a quanto si possa pensare, non debutta alla regia con questo film: si tratta infatti del suo terzo lungometraggio ed è anche quello che lo riscatta dopo l’insuccesso dei suoi precedenti lavori. Realizzato a cavallo dell’Handover, ossia il ritorno di Hong Kong dall’Inghilterra alla Cina; Realizzato con l’intento di fare da testamento di un’epoca storica che stava scomparendo definitivamente con il ritorno della repubblica indipendente di Hong Kong alla madrepatria, impermeato di insicurezza e paure ma anche di speranza, questo film è diventato un manifesto, più che una semplice pellicola. La pellicola è anche un dipinto crudo e reale della vita del ceto proletario della città, realizzato sulla strada, per la strada, con mezzi da strada e con attori di strada. Made in Hong Kong, realizzato con appena 80.000 mila dollari, rappresenta uno dei prodotti più vicini al cinema di strada che potreste avere nelle vostre mani. Ma vediamo perché.
La pellicola segue Autumn Moon (Sam Lee), un teppistello che ha abbandonato la scuola, per sua stessa amissione limitato dalla sua stessa estrazione sociale. Moon è al soldo di un piccolo mafioso, il signor Wing e, nonostante tutto, è costantemente alla ricerca di una redenzione e di un riscatto sociale. Autumn passa il suo tempo con Sylvester (Wenders Li), un suo amico affetto da disabilità mentale ma, attraverso l’amore per Ping (Neiky Yim), malata terminale, la voglia di riscatto lo porterà, insieme a delle lettere di una ragazza morta, a cercare di redimersi.
“Mi chiamo Autumn Moon. Ho mollato la scuola dopo le medie. Non ero bravo negli studi, ma il sistema scolastico non è certo migliore di me”
Questa frase, recitata da Autumn all’inizio del film, riassume perfettamente la situazione non solo propria ma anche di numerosi giovani della periferia di Hong Kong, che portano soldi allo stato, ma che di fatto non hanno altre possibilità, non possono permettersi di arrivare in importanti posizioni della società senza un certo tipo di istruzione più alta che, invece, è alla portata di borghesi e ricchi; sono praticamente dei morti che camminano. Questo sentimento di incertezza e di futuro negato sono tra i primi effetti dell’avvicinarsi della madrepatria che già stava avanzando la sua posizione dominante sia sul cinema che sulla società stringendola a sè e plasmandola in attesa di riceverne il completo controllo.
La scelta di portare sullo schermo attori che venivano dalla strada ha ripagato perché hanno saputo portare nel film quella sensazione di disgregazione che provavano veramente le generazioni più giovani di Hong Kong. Sam Lee è Autumn Moon, il giovane attore non sta interpretando un personaggio ma una versione di sè stesso con una strada già tracciata dal regista. Moon è un ragazzo che ha come idoli personaggi negativi come il Woody Harrelson di Natural Born Killer o il Léon di Luc Besson dal film omonimo e quindi si arrabatta in tutto, ma ciò non basterà a tenerlo lontano dal suo destino che è scritto dalla sua stessa estrazione sociale. Tutti i personaggi, da Autumn a Ping, sono destinati a non arrivare alla fine del film, sia perché di estrazione bassa sia perché fin dall’inizio è ben chiara la sistemica violenza e diseguaglianza che colpisce e governa il loro mondo. Il forte vince sul debole, l’appartenenza ad un gruppo necessariamente non ti salva, sei da solo, anche quando sei in gruppo. Anche il climax finale del film è ben diverso da quello dei classici gangster movie: anzi, è poco celebrato, poco veloce, lento e compassato, come tutto il film d’altronde. Inoltre, il discorso finale che chiude la pellicola suona vuoto, suona come un mero inganno, soprattutto dopo che per 110 minuti abbiamo invece visto un incubo di vita e di possibilità inesistenti per quello che Mao Tse-tung definisce “il sole del mattino”. Se vogliamo, una mera operazione di propaganda.
Made in Hong Kong non racconta una favola moderna, non racconta di gangster di successo, racconta di ragazzi destinati all’oblio da un sistema che li vuole distruggere e che non potrebbe essere meno disinteressato di loro alla loro stessa sopravvivenza. Fruit Chan sovverte il canone del cinema d’azione alla John Woo creando un vero e proprio manifesto indipendente, che prende il mito dell’hustler venuto dal basso, che si fa strada e inizia a vincere e sormonta il grande o almeno muore in un tripudio di azione e sangue come un eroe. I personaggi di Fruit Chan non sono destinati a riscattarsi, sono destinati a venire inghiottiti da un mondo che non li vuole, che non ha probabilmente bisogno ora di loro, ma che sta fornendo un disservizio enorme al futuro. Da Made in Hong Kong parte quindi il messaggio che, per quanto alcuni possano aver trovato fortuna dal ritorno a casa, ce ne saranno sempre altri che invece avranno trovato qualcosa di diverso, o nulla. Il film alla fine ci dice che è più difficile combattere che morire, ma allo stesso tempo lo fa senza mitizzare l’atto del suicidio, bensì condannandolo, e condannando la stessa società che lo ha reso la via d’uscita. Se siete amanti del cinema orientale dovete assolutamente guardare questo film, che fa al caso vostro anche se siete interessati a vedere un pezzo di storia della civiltà orientale. Dunque, a chi vorrà imbarcarsi in questo viaggio, buona visione.
Made in Hong Kong è ora disponibile per la prima volta in assoluto in Blu-Ray grazie a CG Entertainment nella versione restaurata in 4K dal Far East Film Festival di Udine. Di seguito il trailer del film: