Oggi, 21 Giugno, Neon Genesis Evangelion debutterà su Netflix e noi di RedCapes.it non siamo riusciti a trattenerci dallo scrivere uno speciale sull’opera maxima di Hideaki Anno. D’altronde, se non l’avessimo fatto, saremmo venuti meno al motivo stesso per cui abbiamo deciso di aprire questo sito.
È con queste parole che nella tredicesima epistole, Dante Alighieri illustra al Cangrande Della Scala, dedicatario dell’opera stessa, la corretta lettura che deve essere fatta della Divina Commedia.
Quello che ad una prima occhiata potrebbe sembrare un paragone folle tra l’opera massima della letteratura italiana (e mondiale probabilmente) e Neon Genesis Evangelion è in realtà quanto di più utile ci possa essere per introdurre l’anime appena citato. Sì, perché senza alcun tipo di esagerazione ci sentiamo di poter tranquillamente definire NGE la Divina Commedia dell’animazione nipponica. Esattamente come la Commedia dantesca infatti, NGE non può limitarsi ad essere vista, ma deve bensì essere studiata. Noi però non siamo a scuola e non possiamo certamente fare delle lezioni su NGE. Probabilmente non ne avremmo nemmeno le competenze necessarie. Una cosa però possiamo farla, ovvero introdurre NGE e spiegare cos’è, perché abbiamo deciso di paragonarlo alla Divina Commedia e cosa ha rappresentato e rappresenta tutt’ora per l’industria d’animazione giapponese e per i fan in generale.
Neon Genesis Evangelion è, quantomeno nella sua forma originale, un anime di 26 episodi del 1995 ad opera dallo studio Gainax. La serie è stata ideata, sceneggiata e diretta da Hideaki Anno.
La storia si ambienta a Neo Tokyo-3 quindici anni dopo una catastrofe planetaria nota al mondo come Second Impact e vede protagonista Shinji Ikari, un ragazzino timido e impacciato, reclutato controvoglia da una misteriosa agenzia governativa segreta per pilotare un’arma dall’aspetto umanoide, un gigantesco robot che risponde solo ai suoi comandi, ovvero l’Eva 01. Insieme ad altri piloti, Shinji dovrà difendere la terra da misteriosi esseri apparentemente extra terresti chiamati Angeli.
Nella nuova versione disponibile su Netflix, doppiaggio ed adattamento sono stati modificati: uno dei casi più importanti di modifica è quello legato al termine “Angeli”, tradotto in “Apostoli”. La traduzione in sé è corretta, poiché nel parlato, i misteriosi nemici vengono chiamati “shito” (letteralmente “Apostolo”), mentre, sia nelle scritte che nelle idee di Anno, il termine utilizzato è “Angel”, traducibile appunto come Angelo.
Ricollegandoci alle parole del sommo poeta sopracitate, quanto scritto fin’ora non è che il primo livello di lettura di NGE, ovvero il (relativamente) semplice livello letterale, quello nel quale tutto ciò che lo spettatore vede è ciò che di fatto significa anche. Non che ad una visione poco profonda NGE risulti brutto, sia chiaro, ma è solo con una visione più attenta ed una lettura allegorica delle situazioni prima, e addirittura morale o anagogica successivamente, che la serie di Anno appare allo spettatore come il capolavoro assoluto che è. Senza nemmeno troppa fatica infatti, una lettura allegorica dell’anime farà riflettere per ore lo spettatore attento su temi profondi e di eterna attualità, come l’incomunicabilità umana e, nell’accezione più particolare, quella tra sessi diversi, la psicologia delle masse ed il famoso dilemma del porcospino di schopenhaueriana memoria, i blocchi emozionali e i sistemi di difesa della psiche, la sofferenza umana e il rapporto tra umano e divino.
Ma perché Neon Genesis Evangelion, a distanza di ventiquattro anni dal debutto in patria e diciannove da quello in Italia, è ancora oggi considerata una delle serie più importanti ed influenti dell’intero panorama dell’animazione giapponese? La risposta è complessa ma allo stesso tempo semplice, e ruota intorno allo sdoganamento di un fenomeno, o se vogliamo due: quello dell’otaku e, per quanto riguarda il nostro paese, quello degli anime.
In Giappone, la serie ha fatto letteralmente da spartiacque tra il periodo in cui la subcultura otaku era un fenomeno chiuso e circoscritto ad una limitata categoria di persone, ed il successivo, in cui divenne un fenomeno sociale di massa, tanto da andare lentamente verso uno svuotamento del significato originale, in una parabola che può ricordare quella del termine “nerd” in anni più recenti.
Neon Genesis Evangelion è rimasta a distanza di anni dalla sua prima messa in onda una delle serie animate giapponesi di maggior successo e influenza di sempre. Secondo il critico letterario Hiroki Azuma, la serie provocò una netta spaccatura nel settore dell’animazione giapponese; in seguito al grande interesse mediatico sviluppatosi nei suoi confronti, la subcultura otaku, dapprima chiusa e circoscritta a una limitata categoria di persone, diventò un fenomeno sociale di massa, e le sue regolari repliche contribuirono a far aumentare il numero di appassionati di animazione. Anche il Mainichi Shinbun si interessò del fenomeno, imputando a Evangelion la nascita e la diffusione della cosiddetta “terza generazione otaku, composta da tutti quei giovani adulti cresciuti leggendo il manga o guardando la serie televisiva originale”, di cui si dichiarò appartenente, tra gli altri, lo scrittore giapponese Tatsuhiko Takimoto. Grazie all’enorme popolarità dello show si diffuse un fervido interesse per il mondo del cosplay, e lo stesso termine otaku, inizialmente usato con intento dispregiativo e denigratorio, conobbe ampia diffusione mediatica.
In Italia, NGE ha avuto una valenza forse addirittura più importante: l’animazione giapponese, nel nostro paese, è presente da ben prima del 2000, anno di debutto di Evangelion sugli schermi italiani ma, fino all’inizio del nuovo millennio, il trattamento ricevuto, quasi sempre, dagli anime era quello riservato ai “cartoni animati per bambini”, trasmessi in orario pomeridiano, spesso riadattati, censurati, e relegati a trasmissioni per adolescenti.
Neon Genesis Evangelion, insieme ad altre opere mature, come Cowboy Bebop, Trigun, Death Note, e tutta una serie di anime trasmessi in orario serale da MTV in quegli anni, ha contribuito a far elevare il media a qualcosa di diverso dal semplice cartone animato per bambini, portando allo scoperto quella che era, in Italia, la versione nostrana della subcultura otaku, e spianando la strada all’invasione, già iniziata con i manga negli anni precedenti, dei prodotti giapponesi legati all’animazione.
In più, all’interno dello stesso settore di appartenenza, NGE è stato un elemento di rottura: se nei primi episodi nasce come “anime di combattimento tra robot e kaiju”, non diverso da tantissime produzioni del genere (se non per una qualità, per l’epoca, assolutamente impressionante), col passare degli episodi e il dipanarsi delle vere tematiche della serie, Eva può essere visto anche come una versione parodistica e critica dei classici anime del genere.
L’influenza della serie sullo stesso genere di appartenenza è risultata lampante soprattutto negli anni immediatamente successivi all’uscita della stessa: anime come RahXephon ne sono la prova più lampante per quanto riguarda il genere che affettuosamente abbiamo sempre definito “robottoni”, mentre le tematiche più legate alla psiche si sono riviste, per esempio, in opere decisamente poco mainstream come Serial experiments Lain.
E fidatevi se vi diciamo che, con questa analisi preliminare, abbiamo solo scalfito la superficie di quello che è stato, ed è ancora oggi, Neon Genesis Evangelion: un’opera spartiacque tra due epoche del mondo dell’ animazione, un’opera che fugge totalmente dal contesto della narrazione di eventi per affrontare ed analizzare tematiche di un’attualità ancora oggi impressionante.
E, come detto in apertura, per importanza, influenza e quantità di chiavi di lettura, siamo di fronte alla Divina Commedia dell’animazione giapponese.