Ci sono binomi autore/personaggio che attirano inesorabilmente un lettore verso la propria fumetteria di fiducia, un po’ come il profumo di una torta appena fatta, lasciata raffreddare fuori da una finestra, attira il personaggio animato di turno facendogli venire l’aquolina in bocca. Gli esempi si sprecano: Alan Moore e Swamp Thing, Chris Claremont e gli X-Men, Geoff Johns e Superman,… E ovviamente: Garth Ennis e il Punisher.
Uno degli aspetti più affascinanti dell’universo fumettistico Marvel è il fatto che, per quando assurde, la quasi totalità delle storie che ci vengono raccontate sono ambientate nel mondo reale. Spider-Man non è l’amichevole arrampica-muri di un quartiere di Metropolis, ma di New York. Magneto non fu forgiato dagli orrori del pianeta Apokolips, bensì, scoprì la crudeltà che la razza umana è in grado di auto-infliggersi ad Auschwitz durante la Shoah.
Allo stesso modo, Frank Castle, il vigilante noto come Punisher, imparò ad uccidere grazie allo United States Marine Corps durante la Guerra del Vietnam.
Nel 2003 Ennis (insieme a Darick Robertson, Tom Palmer, Paul Mounts e Wieslaw Walkuski) ci raccontò dell’ultimo turno di Frank Castle nell’inferno della giungla Vietnamita con la mini-serie “Born,“ poi ripresa dall’autore nella sua “storia d‘addio al personaggio“ del 2009: “Valley Forge, Valley Forge.“
Le origini del Punisher hanno sempre affascinato Ennis che, già scrittore di molte “war story,” fin dai suoi esordi sul personaggio ha sempre impreziosito le avventure di Frank con trame, situazioni e gergo provenienti dall’ambiente militare. Il grande ritorno dell’Anticristo dei fumetti e di uno dei suoi personaggi di punta, non poteva che essere legato a doppio filo con uno dei momenti più iconici della storia del Punisher sull’etichetta MAX Comics, rispolverata per l’occasione. Garth Ennis e Goran Parlov ci riportano nel 1968, raccontandoci del primo turno di Frank Castle in Vietnam, seguito spirituale di Born e Valley Forge, Valley Forge, questo è “Punisher: The Platoon.”
Per quanto il Punisher sia sempre dipinto come un’inarrestabile forza di distruzione votata ad una punizione inflessibile ed arbitraria, le storie più interessanti dedicate al personaggio sono sicuramente quelle che ne mettono in evidenza il modo in cui egli sia tragicamente inutile e, nel contempo, indispensabile in una società civile. Sì, a volte c’è una certa soddisfazione perversa nel leggere storie sulla peggior feccia del mondo che incontra una fine violenta per mano di Frank, ma ciò non fa di lui ne un eroe ne una personificazione della giustizia.
Il termine “anti-eroe” con cui vengono spesso indicati personaggi come Castle, serve a nascondere figure squilibrate avvolte da una grande tristezza, intente a intraprendere una guerra senza fine che non potrà mai essere vinta.
E’ proprio per questo che Garth Ennis si è affermato come il miglior scrittore che abbia mai affrontato il personaggio del Punisher. Ennis si è dimostrato in grado di comprende meglio di chiunque altro la tragedia che alimenta Frank Castle, elaborando l’idea che il Punisher esistesse molto tempo prima che la famiglia di Castle andasse incontro al suo tragico destino a Central Park. E se The Platoon dimostra qualcosa, è che Ennis non ha ancora finito le storie da raccontare con questo personaggio.
Come sopra, The Platoon è fondamentalmente un seguito diretto di Valley Forge, Valley Forge, l’ultimo arco narrativo di Punisher MAX targato Ennis. Micheal Goodwin, il personaggio/narratore/scrittore è tornato. Allo scopo di raccontare la storia del primo turno di Frank Castle in Vietnam, Goodwin ha radunato tutti i reduci del quarto plotone, compagnia kilo, terzo battaglione del ventesimo reggimento dei Marine che è stato in grado di trovare, con lo scopo di raccogliere una cronaca il più possibile completa ed esaustiva del del primo turno di Frank Castle in Vietnam.
Le sequenze di eventi ambientati nel presente, durante i quali diventa chiaro che Goodwin è una personificazione dello stesso Ennis, crea il palcoscenico per l’esteso flashback che rappresenta la vera storia di The Platoon.
L’intera run ha un taglio documentaristico, accurato e ricco di dettagli, tanto da sembrare un racconto “intimo” e biografico. Sembra quasi che Ennis abbia interpretato il suo ritorno sulla saga di Frank Castle, dopo tutti questi anni, come l’occasione di scrivere un nuovo capitolo della propria auto-biografia. Come con Valley Forge, Valley Forge, anche qui ci si concentra su come la storia di Frank Castle si inserisce nel più ampio pantano della Guerra del Vietnam e su come la nascita del Punitore rifletta una generale “perdita di innocenza” Americana a causa di tale conflitto.
Abbiamo già visto Ennis affrontare momenti chiave della vita pre-Punisher di Frank, sia prima che dopo gli eventi narrati in The Platoon, il modus operandi dell’autore è ben rodato: Ennis crea un “gancio” emotivo per fare presa nel lettore, mettendolo a proprio agio in questo particolare periodo storico. Un atto di “giocoleria narrativa” in cui Ennis è un vero maestro.
Il Frank Castle protagonista di questa storia, deve ancora fare la sua prima vera uccisione. Non è un personaggio completamente ingenuo, ma in lui ci sono un ottimismo e una gentilezza che, come sappiamo già, andranno a scomparire con l’avvicinarsi della fine della guerra.
L’indubbia abilità di Ennis risulta evidente dalla sua capacità di creare un comparto narrativo in grado di tenere alto l’interesse del lettore fino all’ultima pagina, nonostante i limiti imposti dal “formato flashback” di questa run.
Ovviamente, sappiamo già la direzione che prenderà la storia di Frank… E data la struttura della storia e il modo in cui molti dei personaggi chiave vengono introdotti nel presente fin dalle prime pagine, sappiamo che la maggior parte dei protagonisti sopravviverà agli eventi di questa miniserie. Eppure nulla di tutto ciò sminuisce l’inquietante qualità di questo spaccato di storia bellica Vietnamita, tanto meno il senso di terrore crescente mentre Frank tocca per la prima volta con mano l’inferno che diverrà la sua casa per i prossimi anni.
Innovativa e molto apprezzabile è la decisione di Ennis di focalizzare maggiore attenzione sui Viet Cong e sulle loro motivazioni legate al conflitto contro gli USA.
L’idea di bilanciare a livello morale le due fazioni, al netto delle loro mancanze a livello morale e non solo, ricorda molto “L’altra Parte” (“The Other Side“) di Jason Aaron e Cameron Stewart e altri progetti simili, volti a mostrare le due facce impresse sulla metaforica medaglia lanciata in aria rappresentante ogni guerra.
Dato il già citato legame di questa run con Valley Forge, Valley Forge, è ovvio che il comparto artistico sia curato l’artista Goran Parlov che fa il suo ritorno su questo nuovo sguardo alla carriera militare di Frank.
Parlov è certamente uno degli artisti che, negli anni, ha meglio definito l’aspetto della versione Marvel MAX del Punisher. Il tratto dell’artista, che stende su ogni cosa un velo dall’aspetto molto sgangherato e vissuto, riesce ad
adattarsi perfettamente sia alle scene ambientate nel presente che ai flashback.
Parlov è anche un maestro nella creazione di personaggi fisicamente ben distinguibili ed espressivamente caratterizzati a livello visivo: ogni membro del plotone di Frank ha la propria forma fisica, una propria postura e una gamma di espressioni facciali che rendono ogni singolo personaggio ben distinto e riconoscibile in ogni momento.
Proprio come Ennis, l’artista è in grado di realizzare una rappresentazione di Frank che perfettamente inserita ed appropriata a questa specifico momento della storia del protagonista. Parlov dipinge l’aspetto di un giovane Frank, l’uomo che diventerà il Punisher è chiaramente lì, nascosto dietro a quegli occhi azzurri, ma a sviare questo pensiero è l’aspetto più fresco e meno stanco di Frank, riflesso del fatto che non ha ancora visto il peggio che il mondo ha da offrire.
La differenza più evidente tra questa serie e i precedenti lavori di Parlov, è senz’altro rappresentata dalla colorazione di Jordie Bellaire. Bellaire completa meravigliosamente il lavoro di Parlov, rendendo il lussureggiare della giungla e il terreno macchiato di sangue delle scene di combattimento dei fondali fatti di enfasi chiaroscurale, atta ad avvolgere e ad accompagnare l’azione in corso. In generale, Bellaire da maggiore profondità al lavoro di Parlov.
The Platoon non rappresenta un semplice “racconto sulle origini,”non solo per le sequenze filo-documentaristiche legate al contesto bellico e al focus sulle motivazioni alla base delle azioni dei Viet Cong. Di certo tutti questi elementi forniscono un contesto più ampio in cui inserire l’ascesa di Frank da soldato a vigilante. Ma The Platoon rappresenta innanzitutto un grande quesito:
che cosa sarebbe successo a Frank, se non avesse mai intrapreso la sua folle ed effimera crociata?
La semplicità di un’azione perfettamente umana, nel bel mezzo dell’inferno, non guidata da concetti come “onore” o “vendetta,” ci ha rivelato che il personaggio di Frank avrebbe potuto avere di più. Forse non una seconda vita in costume come Steve Rogers ma, come padre e marito, di certo avrebbe potuto fare la differenza e questo è senz’altro un grande atto di eroismo.
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