[Recensione] The Post di Steven Spielberg – O l’inaspettata viltà dell’opulenza

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A volte capita di ritrovarsi a fare cose che non ci si aspetta, tipo di scoprire che la versione francese di The Post è uscita in francese al 24 di gennaio e che quindi lo puoi vedere in una sorta di “pesudo -anteprima”. Altre volte invece il ci si ritrova in determinate situazioni perchè ci si è impegnati con valenza e fatica per esserci, questo è il caso di The Post l’ultimo film di Steven Spielberg con protagonisti Meryl Streep e Tom Hanks, ora in corsa per l’oscar 2018 per il miglior film.

Il film di Spielberg racconta la storia del Washington Post, un giornale a conduzione famigliare che si ritrova a dovere entrare in borsa per non subire la bancarotta, e dei suoi due componenti più importanti: Katharine Graham(Meryl Streep), la proprietaria insicura e devota proprietaria del giornale e Ben Bradlee (Tom Hanks) il suo capo redattore, che si ritrovano invischiati con un caso giornalistico di portata mondiale: la fuoriuscita dei dossier del pentagono sulla guerra del Vietnam.
La regia di The Post é qualitativamente elevata, elevatissima, presentando tanti piani sequenza molto ben fatti e ben manentenuti. Questi insieme alle frequenti luci bruciate dei neon che compaiono in diverse scene, la presenza di diversi flare (quel dirsurbo visivo a forma di poligono che avviene quando una camere inquadra marginalmente una fonte di luce troppo forte) ed un audio molto pulito rendono il film molto reale allo sguardo dello spettatore. Non mancano inoltre le inquadrature evocative, che personalmente ho trovato molto belle. Vi è però un problema molto grave in tutto ciò : è troppo.

Se con Birdman Inarritu e Lubevsky hanno riportato in auge il piano sequenza, lo hanno fatto con una grande delicatezza, risultando fluido ed uniforme lungo tutto il film, risultando naturale. In the Post non vi è una costanza di piano sequenza, bensì una moltitudine di essi.
Finendo per essercene anche in scene in cui la loro esistenza non è necessaria, anzi, finiscono per essere di troppo, trasformando la percezione del film da storia “naturale” a “macchinosa “. Atta a mettere in scena le evidenti capacità del regista e del direttore della fotografia, ma abbassando ironicamente la qualità che il film avrebbe avuto senza queste esagerazioni.
Il film ha una sceneggiatura standard per quanto riguarda la vicenda, niente buchi di trama o logici, cosa d’altronde comune per i Biopic del genere. Semine e raccolte sono buone, non disperdendo l’attenzione dello spettatore su quanto accade e su quanto accaduto, inoltre la scrittura dei personaggi é davvero molto buona, sono reali e umani, dal primo all’ultimo.
Purtroppo però anche in questo caso vi é un “ma”, un grossissimo “ma”. Nonostante l’empatia con i personaggi ci sia, il film risulta troppo lento e senza mordente. Le vicende che fanno effettivamente partire la narrazione arrivano dopo quasi un’ora di preludi, introduzione della vicenda e presentazione dei personaggi. In un film di 118 minuti, questo risulta molto pesante e purtroppo affossa il livello della sceneggiatura.

Sulla recitazione si possono dire solo tre cose: Meryl Streep, Tom Hanks, Steven Spielberg.
Oggettivamente perfetta in ogni sua componente, d’altronde con i primi due nei ruoli  principali e uno come Spielberg a dirigerli, non ci si poteva aspettare di meno. La recitazione della Streep in particolare é molto delicata per la maggiorpare della pellicola per poi arrivre nelle parti finali a creare un ossimoro stupendo di sicurezza e fragilità allo stesso momento. Una gioia per gli occhi. E Tom Hanks è riuscito nel difficile ruolo di comprimario di questo mostro sacro, risultando convincente e non sfigurando affatto di fianco a quella che forse è la migliore attrice della storia.
Le musiche sono standard anche in questo caso, carine, altisonanti, ma praticamente uguali in ogni parte. Andando sul video della soundtrack su you tube e prendendo a caso dei minutaggi ho ritrovato sempre gli stessi accordi, gli stessi toni, le stesse melodie. In conclusione The Post risulta come uno spettacolo di fuochi d’artificio che parte, si svolge e si conclude con un gran finale continuo. Preso dal punto di vista puramente visivo risulta spettacolare, ma se lo si vede in un ottica di Storytelling questo viene oscurato, insomma è il significato dell’inflazione: se tutto è spettacolare alla fine più nulla lo è. L’esasperazione della abilità registica alla fine gli si è ritorta contro e la volgia di fare un film di due ore con oggettivamente il materiale per un’ora e venti/trenta ne ha ammazzato la sceneggiatura.
E’ davvero un peccato ed il più grande difetto di questo film, che se avesse cercato di essere un po’ più umile e con un minutaggio più adeguato, sarebbe stato un gran film invece che essere “solo” il tipico film in competizione per gli oscar.

Inoltre Spoiler allert che riguarda il mio gusto personale: In un Biopic realista non puoi fare un finale stile film Marvel.

Ecco un’altra opinione dagli amici di Why so serial, potete leggerla qui.

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