Il viaggio è un tema estremamente ricorrente nel mondo del cinema e della serialità, e forse è anche il più classico: un personaggio X parte da una condizione A, affronta una serie di eventi e supera determinati ostacoli e, alla fine di questo viaggio (spesso non solo riguardante lo status quo, ma anche un viaggio vero e proprio), si ritrova in una data condizione B. Chiaramente, tutto questo implica che per ogni personaggio, con relativo background e relative caratteristiche, lo sviluppo sia diverso. Se a tutto questo si aggiunge un’ulteriore variabile, ossia la sopravvivenza, si ottiene sostanzialmente quello che è Tribes of Europa, la nuova serie originale Netflix, di produzione tedesca, che racconta il Vecchio Continente in versione distopica e estremamente frastagliato.

Nel 2029 l’Europa ha vissuto il Dicembre Nero, un evento catastrofico non meglio precisato, probabilmente legata a qualche nuova tecnologia, che ha portato il continente al collasso. La geografia e la situazione politica cambiano profondamente e il territorio è diviso in tribù. Tra queste ci sono i Crimson, che cercano di preservare l’idea originale di Europa; i Corvi, uomini e donne che invece approfittano della situazione per acquisire sempre più futuro; gli Origini, una tribù che vive a contatto con la natura e che rifiuta l’utilizzo di qualsiasi tipo di apparecchiatura elettronica, perché additata come responsabile del collasso europeo. Proprio degli Origini, nel 2079, fanno parte i tre protagonisti Liv (Henriette Confurius), Kiano (Emilio Sakraya) ed Elja (David Ali Rashed), tre fratello che entreranno in contatto con il cubo: un misterioso manufatto atlantideo che sembra esser la chiave per la minaccia che si sta per abbattere sull’Europa. Quando però i tre fratelli verranno separati, ognuno di loro intraprenderà un personale percorso. Le nuove vite di Liv, Kiano ed Elja, nonostante le enormi differenze, avranno in comune il traguardo: la sopravvivenza e il ricongiungimento. “La vita è solo una” dicono i tre protagonisti, e sarà loro compito riuscire a preservarla fino all’ultimo.

Le premesse di Tribes of Europa sono veramente ottime. Anche se la storia non sembra essere nulla di troppo originale, il setting sulla carta aveva la possibilità di permettere allo showrunner Philip Koch di scompigliare in maniera incredibile le carte in tavola, magari estendendo la narrazione effettivamente a tutta l’Europa, e non limitarla alla sola Germania. Chiaramente, questo avviene perché si tratta di una produzione Netflix tedesca, ma visto il titolo ci si aspettava che la serie potesse avere un respiro più ampio. Così invece non è stato, anzi. Sembra chiara la scelta di puntare su una narrazione basata sul cliffhanger e sull’evoluzione dei personaggi, piuttosto che sul raccontare il mondo creato. A visione ultimata si può dire che la scelta non paga totalmente. Quasi tutti, se non tutti, i colpi di scena sono telefonati e, non di rado, capiterà allo spettatore di prevedere con relativa sicurezza quello che succederà di lì a qualche minuto, ma anche nelle puntate successive.

Per quel che riguarda l’evoluzione dei personaggi, anche su questo fronte la serie zoppica un po’: se da un lato abbiamo un personaggi come Kiano ed Elja che, seppur con il già citato sapore di già visto, vivono un percorso che effettivamente riesce ad interessare lo spettatore perché più approfondito e più movimentato. Soprattutto grazie ai personaggi con sui si intrecciano, ossia Varvara e Moses, forse i due più riusciti di tutta la serie nonostante anch’essi non siano nulla di originale. Discorso diverso per l’arco narrativo di Liv, che è vittima di una banalità eccessiva. La ragazza, inoltre, si rivela essere un personaggio scritto in maniera troppo liquida: il punto di vista e l’opinione della stessa cambia da un’inquadratura a parte, e l’impressione è che solo in questa maniera sia possibile mandare avanti la sua storyline.

Purtroppo, anche sul fronte dei dialoghi ci si ritrova a bocciare la serie, che scade nei cliché più banali e abusati. Pure sotto questo punto di vista, lo spettatore non avrà problemi ad anticipare le battute dei personaggi, che pronunceranno anche frasi intenzionalmente sensazionalistiche, alla “vieni con me se vuoi vivere”, ma che avranno quasi un effetto comico. L’unica scusante può esser quella che in fase di stesura del copione si sia scelto di andare volontariamente sul cliché, forse per spezzare un po’ la tensione che tutta la narrazione avrebbe dovuto creare.

Buone invece, anche se non tutte, le interpretazioni. Emilio Sakraya e David Ali Rashed, rispettivamente Kiano ed Elja, riescono a portare sullo schermo due personaggio sofferenti e spaesati dalle loro nuove condizioni di vita e che cercano in tutti i modi di galleggiare in un mondo che non conoscono. In particolare, l’arco narrativo di Sakraya è sicuramente il più interessante dal punto di vista dell’approfondimento, e l’attore è bravo a rendere con gli sguardi le emozioni e le paure del suo Kiano. Rimandata invece Henriette Confurius, che è apparsa veramente troppo imbalsamata nei panni di Liv, che è probabilmente il personaggio con più caratterizzazione e costruzione sin dal primo episodio. L’attrice resta bloccata per quasi tutta la serie su una faccia mono-espressiva, perlopiù basita, anche quando la messa in scena richiederebbe qualcosa in più. La speranza è che, in eventuali seguiti, il lavoro possa essere più curato. Promossa a metà l’interpretazione di Moses da parte di Oliver Masucci, l’Ulrich Nielsen di Dark: a differenza del personaggio incredibilmente tragico che interpretava nella trilogia sui viaggi nel tempo di Netflix, qui il suo personaggio è sostanzialmente il comic-relief della serie. Se da un lato la prova dell’attore dà un’ulteriore testimonianza della sua bravura, dall’altro in alcuni casi il suo Moses appare eccessivamente e immotivatamente sopra le righe.

Nonostante tutti questi difetti, non tutto è negativo quando si parla di Tribes of Europa. Il setting e la messa in scena dal punto di vista estetico sono semplicemente sublimi. Che ci si trovi nella foresta, nella nuova Berlino, in un accampamento militare o in una locanda, gli spazi sono tutti quanti bellissimi da vedere e il gusto è ottimo. Per carità, niente che non si sia già visto, anzi, però la serie riesce a miscelare accuratamente diversi elementi e il risultato è veramente ottimo. Lo stesso si può dire sui costumi, tutti molto belli e che rendono alla perfezione l’idea di una distinzione in tribù: ogni gruppo ha il proprio stile e quando un arriva un personaggio che ancora non è stato presentato è facilmente intuibile la sua appartenenza proprio grazie al vestiario: abiti militari per i Crimson, uno stile più distopico e quasi punk per i Corvi, abbigliamento più selvaggio per gli Origini.

Altra chicca della serie sono certamente le tante scene d’azione, realizzate in maniera magistrale. L’azione è spesso frenetica e coinvolge un gran numero di personaggi e figuranti, ma mai lo spettatore è confuso e/o spaesato su quello che sta succedendo, anzi. Il focus è sempre centrato sui protagonisti in scena e, grazie ai movimenti di telecamera a spalla, al pubblico sembrerà quasi di essere lì sul campo di battaglia a destreggiarsi assieme ai personaggi. Inoltre è presente una gran bella varietà di azione: sparatorie, scontri all’arma bianca, inseguimenti, momenti di guerriglia urbana, duelli. A livello di montaggio, inoltre, tutti questi momenti sono inseriti nei momenti giusti della narrazione e non risultano mai eccessivamente lunghi o di ostacolo allo svolgersi della trama.

Insomma, un po’ The 100, un po’ Horizon Zero Dawn, ma anche Hunger Games e Mad Max: Fury Road. Sono tutti prodotti la cui identità si può riscontrare in Tribes of Europa, che però non riesce a convincere del tutto. Questo perché la serie si basa fortemente sul colpo di scena e sullo sviluppo dei personaggi, ma questi due elementi scadono troppo spesso nel cliché ed il risultato è un prodotto che difficilmente incuriosirà più di tanto lo spettatore. Sicuramente la breve durata della stagione (che lascia intendere sicuramente l’intenzione di proseguire la narrazione con ulteriori episodi) può essere un punto a favore, ma viste le premesse si può parlare tranquillamente di occasione sprecata. Tuttavia, un’ottima estetica e delle scene d’azione magistrali riescono a far raggiungere a Tribes of Europa la sufficienza, nella speranza che, in caso di rinnovo, lo show possa imparare dai suoi errori e migliorarsi. Perché esattamente come per i protagonisti, anche per la serie stessa “la vita è solo una”, e il concept di base, assolutamente interessante, merita di essere ben sviluppato.


Tribes of Europa è disponibile a partire da oggi su Netflix. Di seguito, il trailer ufficiale della serie:

RASSEGNA PANORAMICA
Tribes of Europa
6
Articolo precedenteMortal Kombat – Ecco tutte le Fatality viste nel trailer del film
Articolo successivoLuca – Il nuovo film Disney Pixar protagonista della copertina de Il Venerdì di Repubblica
Il mio primo film visto al cinema è stato "Dinosauri" della Disney, il mio primo libro "La fabbrica di cioccolato" e il mio primo videogioco "Tip Top - Il mistero dei libri scomparsi". Nel 2002 mi sono innamorato di Spider-Man e nel 2008 del grande schermo, grazie a "Bastardi Senza Gloria". Parlerei per ore di cinema, serie tv e fumetti. Sto aspettando la quinta stagione di "Sherlock".
tribes-of-europa-stagione-1-la-vita-e-solo-una-recensioneTribes of Europa è un mix di elementi già visti in altre sedi, basti pensare a prodotti come The 100, Hunger Games, Horizon Zero Dawn o Mad Max: Fury Road. Il concept di partenza è sicuramente interessante e affascina il pubblico, ma la serie non mantiene fede all'ampio respiro del suo titolo e offre una narrazione più piccola e decisamente troppo banale e prevedibile. Tuttavia, una buona messa in scena dal punto di vista estetico e le scene d'azione veramente belle da vedere riescono a far strappare a questa serie una sufficienza di incoraggiamento, sperando che eventuali nuovi capitoli possano alzare l'asticella qualitativa.

Lascia un commento