Dopo un’attesa lunga, finalmente Netflix ha rilasciato la terza stagione di Stranger Things, composta da 8 episodi per una durata totale di circa 8 ore. Dopo aver chiuso la porta per il Sottosopra e aver liberato Will Byers (Noah Schnapp) dall’influenza del Mind Flayer, i ragazzi e Undici (Millie Bobby Brown) sono tornati a delle vite con una parvenza di normalità: Mike (Finn Wolfhard) ora frequenta “Undi” con regolarità, Max (Sadie Sink) e Lucas (Caleb McLaughlin) sono una coppia, mentre Dustin (Gaten Matarazzo) è appena tornato dal campeggio scientifico.
Per gli adulti di Hawkins tutto sembra non essere cambiato più di tanto, Nancy (Natalia Dyer) e Jonathan Byers (Charlie Heaton) ora lavorano insieme all’Hawkins Post mentre Steve Harrington (Joe Keery) è impiegato nel nuovo centro commerciale della città, Stardust. Tutte le loro vite saranno nuovamente scosse quando il Sottosopra si ridesterà nuovamente a causa dell’uomo; infatti, con i continui stravolgimenti energetici dati dai poteri delle forze di quel mondo e una guerra fredda in corso, non potevano mancare anche i Russi pronti a sfidare le leggi della fisica per avere un pezzo della pericolosa torta che gli Americani hanno avidamente messo a disposizione di chiunque avesse le risorse e nessuno scrupolo.
La seconda stagione aveva lasciato molti dubbi ai fan sul futuro della serie, sopratutto considerando il suo stile più televisivo, che mirava a costruire di più il mondo intorno ad Hawkins e agli esperimenti del laboratorio anziché una storia che giustificasse il numero di episodi concesso. La terza stagione non fa questo errore e torna a concentrarsi sui personaggi che devono nuovamente fare i conti con il Sottosopra ma che hanno anche a che fare con nuovi nemici molto umani e che hanno una radice nella storia del cinema Americano anni 80, ovvero i russi.
Come stabilito durante le precedenti due stagioni, gli esperimenti del laboratorio erano tutti nati per la ricerca della prossima arma per gli USA da usare nel conflitto con l’URSS, ed ora finalmente vediamo anche la risposta della controparte sovietica del laboratorio; niente bambini di mezzo questa volta, ma un pericoloso cannone in grado di aprire collegamenti con altri mondi e assassini altamente addestrati, pronti a cacciare chiunque si metta in mezzo all’obiettivo finale.
Due filoni narrativi scorrono in questa stagione, quello sul complotto Russo e le nuove metastasi del Sottosopra, che qua diventa ancora di più una sorta di cancro che infetta tutto e tutti e che accelera il decadimento della società americana degli anni ’80, in procinto di affrontare numerosi scossoni culturali grazie alle nuove tecnologie e ai primi centri commerciali. Stabiliti i gruppi che funzionavano meglio insieme nella stagione due, la terza iterazione dello show continua in tal senso a proporci ormai squadre ben conosciute si muovono attraverso una storia così semplice che, per quanto in alcuni punti possa assumere contorni divertenti ed esagerati, è in pieno stile anni ’80.
Dal punto di vista tecnico, Netflix non delude, ma d’altronde di quello non ci si doveva stupire dato che già nella tanto criticata stagione due di Stranger Things la qualità era stata più che abbondante sotto questo aspetto. I Duffer Brothers però ricordano ancora di più la stagione uno con un’accentuazione dell’horror che, seppur sempre presente, in questo nuovo ciclo buca lo schermo in alcune occasioni, rendendo l’atmosfera in certi episodi ansiogena, sopratutto quando non ti puoi fidare di nessuno. Inevitabili le citazioni a classici anni ’80 come La Cosa di Carpenter, L’Invasione degli Ultracorpi del 1978 o ancora per la parte tutta “USA vs URSS”, come Alba Rossa. Questi elementi, insieme a citazioni alla cultura pop anni ’80, rendono ancora di più Stranger Things una serie che si incastona perfettamente nell’era prolifica di un tipo di intrattenimento ma che non gioca solo di citazioni e ricordi, dato che in alcuni casi fa anche di più. Sono più le le volte in cui non sai cosa aspettarti che quelle in cui ti sembra esattamente un prodotto di un’era come gli anni ’80; seppur a volte la sostanza venga lasciata indietro per far prevalere l’azione esplosiva, quando succede lo spettatore sarà troppo coinvolto per poter a mente lucida dire che non gli sia piaciuto. La scelta di ambientare la terza stagione così lontana dai momenti invernali, ma bensì nella calde estate americana con il 4 Luglio alle porte, apre tantissimi spunti che non erano stati ancora sviluppati, sopratutto perché porta in scena parecchi classici cliché di film anni ’80 sulle vacanze estive.
I personaggi anche in questa stagione rimangono dei perfetti avatar del pubblico e, anche se più “esperti” nell’aver a che fare con il paranormale, quando si trovano a dover affrontare nuovamente qualcosa di così pericoloso ed infido, tendono a portare nella loro piccola cerchia nuovi personaggi, che ci forniscono un nuovo personaggio con cui empatizzare, e dall’altra che fa da contro altare ad altri che già hanno avuto il proprio percorso e che presto avranno bisogno di essere lasciati andare. Tra questi abbiamo Robin (Maya Hawke) o ancora Erica (Priah Ferguson) che, seppur già presente nelle altre stagioni, qui ha più spazio e si dimostra un buon comic relief in molte occasioni. Robin diventa praticamente il contro altare di Steve, che viene messo così di nuovo a contatto con una persona adulta dopo aver passato buona parte della stagione due a far da babysitter ai ragazzini, ma sopratutto a Dustin. Il rapporto di Mike e Undici raggiunge qui un punto molto importante e si ripercuote su tutto il gruppo, che comprende anche l’ormai accettata Maxine. Persino Billy (Dacre Montgomery), che nella scorsa stagione sembrava l’ennesimo bulletto che non aggiungeva nulla, qua come “villain” viene sviscerato così tanto che si arriva veramente a capire cosa lo ha reso quello che è, e anche che tipo di rapporto ha davvero con la sorellina. Hopper, interpretato dal sempre bravo David Harbour, è uno dei personaggi fuori forma più badass della televisione e anche il suo rapporto con Joyce (Winoa Ryder) è interessante perché ci mostra due adulti che forse veramente non sono mai cresciuti dal liceo, ma che farebbero di tutto per i proprio figli.
I Duffer Brothers ci hanno fatto attendere per questi 8 episodi, ma il risultato finale è decisamente soddisfacente. Parliamo di una terza stagione si Stranger Things che non possiede nemmeno uno dei problemi della seconda, tacciata di prendere troppo larga la storia avendo una struttura molto più televisiva, mentre si torna ad avere una stagione molto veloce sia nell’esecuzione che per la durata. Le puntate non superano l’ora di durata e, anche quando lo fanno, si tratta di puntate che effettivamente necessitano tale minutaggio. Inoltre, seppur ormai ci siamo affezionati ai personaggi, i giovani attori continuano a fare il loro dovere ed anzi migliorano ulteriormente in questa stagione. Dal punto di vista tecnico, come ne abbiamo già avuto modo di discutere, la serie è decisamente solida come le precedenti e come tutte le hit di Netflix cerca di prendersi anche alcune interessanti scelte nelle ultime puntate dirette proprio dai Duffer Brothers. Insomma, Stranger Things è tornata ai fasti della prima stagione e noi siamo contenti di esserci lanciati in un binge-watching di 8 ore per portarvi un parere così entusiasta in breve tempo.