Da circa venti giorni si fa un gran parlare di una serie tv, disponibile su Netflix dal 17 settembre, che ha riscosso un enorme successo e suscitato un grandissimo interesse: stiamo parlando ovviamente di Ojingeo Geim, conosciuto nel resto del mondo come Squid Game.

Squid Game non ha quindi bisogno di presentazioni: siamo di fronte ad uno di quei fenomeni che, in un mix tra la qualità del prodotto ed il tam-tam mediatico dei social, diventa un successo tra fasce di pubblico totalmente diverse, dall’appassionato di serie TV coreane allo spettatore più casuale che, incuriosito dal tanto parlare della serie, decide di darle una possibilità per finire, quasi inesorabilmente, con l’appassionarsi alle vicende dei protagonisti della serie creata da Hwang Dong-hyuk.

Se chi sta leggendo facesse parte di quella piccola fetta di appassionati di serie TV che non avesse la minima idea di cosa si stia parlando, ecco la sinossi:

Corea del Sud. Seong Gi-hun, un uomo divorziato e sommerso dai debiti, viene invitato a giocare ad una serie di giochi tradizionali per bambini per vincere una grossa somma di denaro. Egli accetta l’offerta e si ritrova in un luogo sconosciuto insieme ad altre 455 persone con debiti simili al suo. I giocatori sono tenuti costantemente sotto controllo da delle guardie vestite di rosso, con i giochi sotto la sovrintendenza del Front Man. I giocatori scoprono sin da subito che ogni morte aggiunge 100.000.000 ₩ al montepremi finale di 45.600.000.000 ₩ (circa 33.000.000 €). Gi-hun fa squadra con altri giocatori, incluso il suo amico d’infanzia Cho Sang-woo, per sopravvivere alle sfide fisiche e psicologiche sottoposte dai giochi.

Squid GameLa serie, fin dal primo trailer, si è presentata come un prodotto di qualità sicuramente più elevata rispetto alla media dei drama che arrivano sulla versione italiana della piattaforma, andando a consolidare una tendenza che, da qualche mese, vede l’arrivo di serie che si discostano dalle classiche e stereotipate commedie romantiche con elementi comici che nell’ultimo periodo hanno letteralmente invaso Netflix, con il risultato di sommergere e letteralmente nascondere prodotti degni di nota in un mare di serie tutto sommato anonime, quando non addirittura mediocri o peggio. Squid Game, infatti, pur non essendo un prodotto così originale come si vorrebbe pensare, lo è quanto meno nel panorama dei k-drama (almeno tra quelli che arrivano in Italia, ovviamente), e spicca, prima di approfondirne le tematiche, per un confezionamento tecnico di buonissimo livello, con picchi anche ottimi in alcune scelte che riguardano la fotografia e le scenografie, con una buonissima scrittura (non priva di qualche passo falso o ingenuità e buco di trama, ma nulla di intollerabile) ed un valido comparto attoriale che, fatta esclusione per alcune scene e determinati personaggi, riesce a scrollarsi di dosso l’eccessivo e, per un pubblico occidentale non appassionato ed abituato, spesso fastidioso overacting, uno degli ostacoli principali alla fruizione di una serie orientale in generale, e coreana in particolare, da parte di uno spettatore che sia al primo approccio con questo particolare tipo di prodotto.

A scanso di equivoci bisogna fare una precisazione: nonostante una buona fetta di successo della serie sia dovuta all’originalità del prodotto, Squid Game non ha nulla di originale. Non che questo sia necessariamente un difetto, anzi: le fonti di ispirazione della serie sono lampanti, chiunque mastichi un minimo il genere survival vedrà le palesi citazioni, alcune volontarie, altre meno, a film occidentali come Hostel, o la saga di Saw, o ancora a prodotti orientali come Battle Royale e As The Gods Will. Una serie di ispirazioni che, fortunatamente, non scadono mai nel plagio, ma fluttuano tra la citazione e l’omaggio.

Come dicevamo, uno dei principali pregi di Squid Game è soprattutto legato alla sceneggiatura e alla scrittura: dai piccoli indizi, presenti fin dal primo episodio, su quello che si rivelerà essere il plot twist principale del finale di stagione, alle finezze e ai dettagli che, sparsi soprattutto nel secondo episodio, creano dei paralleli con le vicende dei singoli personaggi che verranno ripresi man mano che il Gioco procede, fino alle battute finali. E ancora, la splendida scelta dei colori, con il contrasto tra il verde spento dei partecipanti, persone prese da situazioni di disagio sociale ed economico, ed il magenta acceso delle guardie del gioco, un rosso simbolo del potere che tornerà anche nel finale in una scena che, se visivamente può risultare abbastanza un pugno in un occhio, ha un significato simbolico decisamente lampante per il personaggio che la vive.

Gli altri due punti forti, al pari della scrittura, di Squid Game sono senza dubbio la splendida fotografia e le scenografie: dalle labirintiche scale ispirate al celebre lavoro di Escher, al villaggio in cui i giocatori si sfideranno con le biglie, ogni location colpisce per dettaglio, scelte cromatiche, inquadrature scelte, simbologie. Un lavoro decisamente valido, apprezzabile sia da un occhio poco esperto che da chi è appassionato di cinema e serie TV.

Squid GameMa, tralasciando il mero aspetto visivo della serie e la sua ottima scrittura, frutto di un lavoro minuzioso da parte di Hwang Dong-hyuk, quello che colpisce ancora di più in questa serie è la pesante critica alla disparità sociale, una delle piaghe principali della società sudcoreana. Non si tratta certo del primo prodotto a farlo, perché chiunque segua il mondo dei drama coreani sa che, in modo diverso e con toni differenti, questo tema è pressoché onnipresente nelle produzioni televisive: la totale assenza di un ceto medio e l’enorme disparità tra le famiglie povere e le persone più abbienti è ben presente in tutte le produzioni televisive coreane, anche in quelle più scanzonate o cringe, come Vincenzo, ma in Squid Game, anziché essere un mero contorno, la disparità sociale è il motore della vicenda, poiché tutti i partecipanti al Gioco sono persone sommerse dai debiti, invischiate, passivamente od attivamente, con la criminalità, clandestini, uomini e donne senza speranze che si devono aggrappare ad un gioco per provare a risalire la china ed elevare la propria condizione. Una possibilità che, come scopriremo vedendo Squid Game, porta inequivocabilmente molti dei partecipanti a tirar fuori il lato più meschino del proprio essere, l’egoismo e la mancanza di scrupoli, anche in persone che all’apparenza non sembrerebbero capaci di azioni del genere. La ludopatia in questa serie è sia causa del male che ancora di salvezza, ed il gioco, nella sua accezione più positiva, fa da contraltare al lato negativo della dipendenza e dell’azzardo. La serietà e la qualità della narrazione di questa disparità sociale è sicuramente rara in una serie TV, mentre è al centro di quel fenomeno globale di Parasite, il film di Bong Joon-Ho che ha trionfato agli Oscar 2020: senza ovviamente voler fare paragoni impossibili tra i due prodotti, è sicuramente notevole che un prodotto più leggero e destinato ad un pubblico decisamente più vasto possa comunque trattare una problematica così pesante e sentita.

L’unico punto che potrebbe rivelarsi un problema per Squid Game è il suo successo: Hwang Dong-hyuk non ha mai parlato di piani per una seconda stagione ma, visto l’enorme successo e il finale decisamente aperto, che porta a due ipotetici sviluppi narrativi legati a due storyline chiuse senza un vero e proprio finale, è lecito aspettarsi una seconda stagione, se non di più. Il rischio che si possa intraprendere una strada già vista con prodotti come La Casa di Carta è reale, e sarebbe un peccato, visto l’ottimo livello di questa serie.

Squid GameIn conclusione, Squid Game è un prodotto decisamente valido, godibile a più livelli: un grande e minuzioso lavoro di scrittura, una fotografia che regala tocchi di classe e scenografie sempre di ottimo livello appagano sia lo spettatore casuale, incuriosito dal trailer, sia l’appassionato di serialità coreana, e anche chi vuole approcciarsi a questo particolare mondo televisivo. Una forte critica alla disparità sociale sudcoreana e alla ludopatia ed un dolce amaro viaggio nelle bassezze dell’animo umano danno a questa serie d’intrattenimento quel qualcosa in più che non guasta mai.


Squid Game è ora disponibile su Netflix. Di seguito il trailer ufficiale della serie tv:

RASSEGNA PANORAMICA
Squid Game
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Il vecchio della redazione: un cocktail a base di supereroi, battle shonen, videogiochi, basket, fantasy e metal. Agitare, ma non troppo (che poi sta male), prima dell'uso.
squid-game-ludopatia-e-disparita-sociale-recensioneSquid Game è un prodotto decisamente valido, godibile a più livelli: un grande e minuzioso lavoro di scrittura, una fotografia che regala tocchi di classe e scenografie sempre di ottimo livello appagano sia lo spettatore casuale, incuriosito dal trailer, che lo spettatore più smaliziato o l'appassionato di serialità coreana, e anche chi vuole approcciarsi a questo particolare mondo televisivo. Una forte critica alla disparità sociale sudcoreana e alla ludopatia ed un dolce amaro viaggio nelle bassezze dell'animo umano danno a questa serie d'intrattenimento quel qualcosa in più che non guasta mai.

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