“C’era una volta il West”, è sicuramente uno dei film più belli e sublimi di Sergio Leone. Considerato il canto del cigno dell’epica western, che completa quella linea temporale e storica iniziata nel 1962 con “Per un pugno di dollari”. Man mano ci si sposta dal confine messicano, dopo “Per qualche dollaro in più”, e con “Il buono, il brutto e il cattivo” si entra in maniera particolare e più dettagliata nella storia degli Stati Uniti. Il selvaggio west procede poi verso l’inizio della fine, con l’arrivo della ferrovia, la costruzione di una nuova città e con l’immagine dell’eroe femminile che dai bassi fondi di New Orleans giunge nelle zone desertiche del paese e tutto si chiude in un’atmosfera decisamente poetica e affascinante, mentre i protagonisti dell’era passata, i cow boy, bounty killer e fuorilegge, cadono sotto il ticchettio del tempo. Arriva una nuova civiltà.
SI potrebbe concludere così, invece Leone, da buon conoscitore della materia, soprattutto in ambito finanziario e commerciale, dopo “C’era una volta il West” fino a “Giù la testa” e anche successivamente, veste i panni di produttore aiutando giovani registi e scoprendo nuovi attori. È proprio durante gli anni settanta che esce nelle sale cinematografiche un film degno di nota. Sto parlando di “Il mio nome è Nessuno”. Al fianco del regista Tonino Valeri, c’è lo stesso Leone che accompagna la troupe, definisce le riprese e lavora alla sceneggiatura. Non è un western dei suoi, sebbene uno dei protagonisti principali sia Henry Fonda, già storico cattivo dagli occhi di ghiaccio in “C’era una volta…”. Anche il suo ruolo, in questo frangente, cambia, e si ritrova in una specie di burlesca farsa cavalleresca, che tuttavia non è la descrizione più azzeccata. Accanto a questo grande attore americano c’è Terence Hill, fresco dal successo con il collega Bud Spencer, che ripropone il personaggio dello sporco, furbo belloccio dei film precedenti. Quindi si potrebbe dire che sia un’opera comica, una sorta di parodia alla E. B. Clucker (Enzo Barboni), e invece ci si sbaglia ancora e ancora. Per molti, “Il mio nome è Nessuno”, è un film che cerca in qualche modo di aggiungere qualcosa in più all’epopea leoniana, portando sul grottesco e sul risibile aspetti del vecchio west che dovevano ancora essere perfezionati. Bisognava aggiungere qualcosa. Più che altro è un modo di salutare per l’ultima volta questo mondo selvaggio quanto ricco di codici d’onore, e per sottolinearne più gli aspetti epici, quasi mitologici che si ritrovano nei libri di Michael Blake, Elmore Leonard o i celebri fumetti di Tex. Parlando del cinema ma in modo più ampio del West e del suo genere, Leone disse che il western e i suoi personaggi erano i sogni e i giochi di un bambino, che inventa nuovi cattivi, nuovi eroi e vicende nella maniera più seria possibile. Infatti nel film c’è anche questo; eroi e nomi leggendari, bambini che credono ancora a tali storie, la famosa visione del mistico “mucchio selvaggio”, pistoleri invincibili ormai antichi e passati che si scontrano con l’era moderna e il nuovo secolo. L’ottocento giunge al termine e anche le grandi praterie si rimpiccioliscono. È ora di diventare grandi. È il momento di chiudere il libro.
Jack Beauregard (Henry Fonda) è un anziano cacciatore di taglie ormai stanco e non più temuto come molti si ostinano a credere. Uno fra questi è il giovane, spensierato e vagabondo Nessuno (Terence Hill), che incontra “quasi” per caso e che non lo molla, raccontandogli di quanto lo ammirava da bambino. Il vecchio pistolero deve preparare la sua partenza segreta per l’Europa lasciandosi tutti i problemi e i molti nemici alle spalle, ma il ragazzo non lo lascia un secondo, e vorrebbe vederlo su tutti i libri di storia prima che sparisca per sempre da quel mondo. Beauregard, che porta avanti una battaglia personale con il magnate dell’oro Sullivan, non vorrebbe cedere alle parole del giovane tanto che all’inizio è sempre più propenso a fuggire da lui. Tuttavia lo rincontra sempre e che lo voglia o no, le parole del vagabondo cominciano a poco a poco ad entrargli in testa. Dal canto suo Sullivan è sempre più propenso a pianificare la morte del bounty killer il quale, però, non più assetato di sangue e disilluso, una volta faccia a faccia con lui, accetterà di non desiderare più vendetta in cambio di qualche sacco d’oro. Si allontana così verso il tanto sperato porto e la fuga nel vecchio continente ma Nessuno riesce a scovarlo ponendolo davanti allo scontro finale, quello che da bambino aveva sempre immaginato e che farà entrare il suo eroe definitivamente nella storia; il mucchio selvaggio contro Jack Beauregard. Credendo impossibile batterli tutti, si ricorda che nelle bisacce dei pistoleri c’erano dei candelotti di dinamite. Imbracciato il suo fucile nessuno può più fermarlo e uno ad uno fa saltare in aria i 150 diavoli scatenati che galoppavano verso di lui.
Prima che i superstiti riescano ad agguantarlo, Jack riesce a salire sul treno con Nessuno che lo pilota. Eppure il suo lavoro non è ancora finito e prima che i due possano salutarsi convince Beauregard ad un’ultima e doverosa prova, quella che lo porterà immediatamente nell’olimpo degli eroi; la propria morte. Quale vero simbolo del codice d’onore di un cavaliere western se non un bel duello pubblico, naturalmente escogitato da Nessuno che finge di uccidere Jack il quale, prima di cadere a terra, attende che il fotografo scatti la fotografia dell’evento. Libero dai vestiti della vita passata, Jack fa un resoconto di quello che gli è successo negli ultimi giorni, seduto nella cabina in attesa che la nave salpi per l’Europa. Da qualche consiglio a Nessuno prima che parta. “Quando vai a farti la barba, assicurati che dietro al grembiule ci sia sempre la persona giusta”., ringraziandolo di come lo abbia aiutato, e di come lo abbia reso famoso e ormai libero.
Nei minuti iniziali della pellicola, Beauregard va a farsi la barba non sapendo che il barbiere è in realtà un pistolero che dovrebbe ucciderlo, mentre all’esterno del negozio altri due compari dalla faccia cattiva fanno da palo. Mentre il presunto barbiere sta per affondare il suo rasoio nella gola del protagonista, quest’ultimo, insospettito, gli punta la pistola sulle parti basse, facendosi poi finire di fare la barba. Finito il lavoro, inutile a dirsi, i tre killer vengono uccisi da quella che veniva soprannominata come la pistola più veloce. Nella scena finale, la situazione si ripete. Un killer mascherato da barbiere, attende nessuno che entri nel negozio. Quando questi si siede, per il pistolero sembra giunto il momento di ucciderlo, ma Nessuno, su consiglio dell’anziano Jack, sa di non essere in buone mani. Al posto dell’arma vera e propria, simula con la mano una pistola posizionata proprio all’altezza del sedere. Il finto barbiere si ferma ed è costretto a finire la rasatura. Una scena rimasta emblematica che chiude l’opera. Ma ce ne sono di ben altre che arricchiscono la storia. Le due parti si equilibrano. Se il personaggio tutto d’un pezzo di Fonda veste i panni solenni dell’epica e di tutto il vecchio west, Nessuno invece interpreta quelle più goliardiche in un mix di dramma e commedia. Il vecchio e il nuovo mondo che si incontrano. Il vecchio deve lasciare il passo alla modernità.
Perciò Valeri, sempre su regime di Leone, gira un seguito di quel canto del cigno tanto colossale quanto poetico. Il risultato non è solo una risata ma una fine di quei tempi andati con un tocco di spirito. Le musiche di Ennio Morricone, come sempre, rendono il tutto molto più gustabile, frenetico ed etereo, come è ancora oggi il West e il suo mito. Perciò, in un certo senso, la risata triplica quel senso nostalgico di ludica visione senza tralasciare mai i luoghi comuni; dramma, onore, sangue e duelli. Ma soprattutto, schiaffi. Tanti schiaffi.
Tra le altre sequenze da ricordare ci sono: l’incontro tra Jack e Nessuno. Nessuno e la gara dei bicchieri nel saloon. La storia del pulcino e del coyote e l’orda del mucchio selvaggio che cavalcano nell’immensa prateria. Si può aggiungere infine, che tale film sia destinato ad essere ricordato come un ultimo vero omaggio a quel particolare genere; un genere che con il subentro dell’immaginario italiano ha avuto modo di essere stravolto, riproposto, allargato, sporcato e inverdito. Una nuova linfa vitale aveva fatto si che il genere western non si spegnesse solo con le solite opere di Ford o Huston. Lo “Spaghetti Western” e “il mio nome è nessuno” in particolar modo, danno al grande lavoro iniziato da Leone una fine aspettata ma dolce, scherzosa, senza tanti merletti e decorazioni varie. Onesta e sempre sul pezzo.