L’effetto nostalgia è diventato l’arma migliore per l’industria dell’intrattenimento, e anche il Cinema non fa alcuna eccezione. Da anni ormai ci vengono riproposte saghe o grandi film del passato in salsa contemporanea, dal reboot di Ghostbusters ai film in live action tratti dai classici Disney. La formula, spesso e volentieri, funziona, anche se non sempre con gli stessi risultati. Disney in particolare ha saputo trovare il giusto modo per rivisitare alcune delle sue opere più celebri prodotte in passato e in occasione del periodo natalizio, quest’anno, ha provato a portare sullo schermo uno dei personaggi più iconici di sempre: Mary Poppins. L’idea di realizzare un nuovo film con protagonista la stravagante tata nata dalla penna di Pamela Lyndon Travers e interpretata nella pellicola del 1964 da Julie Andrews, sembrava un’idea poco esaltante, all’inizio. E, ora che l’ho visto, posso dire che si è confermato un prodotto ben realizzato da un punto di vista tecnico, ma piuttosto freddo e dimenticabile.
Si potrebbe pensare che Il Ritorno di Mary Poppins – questo il titolo del nuovo film – si ispiri al secondo romanzo della serie scritta dalla Travers, ma in realtà trae linfa narrativa solo dalla situazione iniziale, per poi prendere una strada diversa, purtroppo. Infatti il vero problema della pellicola è proprio il suo rifarsi in maniera quasi pedissequa al capitolo precedente: ogni situazione ricorda in maniera pressochè identica le scene più riconoscibili del Mary Poppins diretto da Robert Stevenson, solo con qualche sostanziale differenza, mantenendone quasi intatta la struttura. Abbiamo di nuovo dei bambini infelici – tre stavolta – che vivono avventure incredibili grazie alla magia di una Mary Poppins effettivamente interessante, interpretata stavolta da Emily Blunt, ci sono viaggi in mondi dove i cartoni animati prendono vita e lampionai ballerini che decantano quanto adorano il proprio mestiere, esattamente come facevano Bert e i suoi compagni più di cinquant’anni fa. La sensazione di deja vu è quasi insopportabile e le canzoni non rimangono impresse nella memoria, complice anche la colonna sonora di Marc Shaiman e Scott Wittman, che punta ad ispirarsi ai brani più famosi del film originale, senza però arrivare ad avere una propria identità ben definita. Tutti problemi che si possono facilmente riscontrare in molti film Disney che cercano di ripescare dalle nebbie degli antichi successi storie e personaggi che erano già perfetti, senza bisogno di essere rivisitati o restaurati. Va detto che qui l’intento è quello di restituire allo spettatore le atmosfere tipiche dell’opera di decenni addietro, addirittura realizzando effetti visivi volutamente old school.
Ma rimane la domanda fondamentale: Perché? C’era realmente bisogno di dare un nuovo volto a Mary Poppins, che nei fatti rimane sempre la stessa, riproponendo però una situazione estremamente vicina a quella del film che tanti hanno sempre amato? La differenza più sostanziale è che la situazione dei piccoli Banks, figli di quel Michael Banks che anni prima era stato vittima, insieme alla sorella, delle mancate attenzioni di un padre fin troppo severo, vivono una situazione familiare difficile, ma non drastica.
Ciò che fa da motore per la trama è una situazione decisamente più terrena, che rischia di minare alla base la bontà di Michael, il quale rischia di diventare come il suo genitore assente e distratto. Questo può piacere come non piacere, perché si cambia alla base l’idea di una Mary Poppins che interviene per sanare un dolore emotivo, che qui diventa decisamente più materiale, anche se in realtà sono presenti alcuni insegnamenti morali forse espressi con minore efficacia. Per cercare di rendere il film un vero e proprio evento da non perdere, la produzione ha inserito quanti più volti noti possibili: oltre a Emily Blunt e Lin Manuel Miranda, che interpreta in maniera convincente il lampionaio Jack, ma non abbastanza da non far rimpiangere il Bert di Dick Van Dyke (che recita nel film in un cameo effettivamente gradito, nei panni dell’anziano proprietario della banca, già interpretato nello scorso cinematografico). Troviamo poi Ben Whishaw, il cui Michael Banks è in bilico tra serietà e fanciullezza, Julie Walters, Colin Firth, Meryl Streep e persino Angela Lansbury. L’idea di inserire un Firth cattivo e spregiudicato costituisce un elemento di novità, dato che nel primo film non c’era un villain vero e proprio, se non si considera la freddezza che subentra in età adulta, unico vero ostacolo alla felicità dei piccoli protagonisti. Anche Emily Blunt ha cercato di riportare sullo schermo una Mary Poppins diversa nei tratti somatici, ma identica a come la ricordava il pubblico, anche se la sua performance canora non è di certo ai livelli di quella della Andrews, e in generale sembra fin troppo distaccata rispetto a quella del film precedente.
Per il resto ci troviamo di fronte ad una pellicola con atmosfere suggestive, scenografie digitali mozzafiato e una fotografia che gioca su colori pastello indubbiamente caratteristici, ma in tutto questo sembra mancare la vera anima che aveva contraddistinto il film originale. Negli anni ’60 Mary Poppins si era dimostrato essere un film innovativo sotto ogni punto di vista, diverso rispetto a qualunque altro prodotto per bambini. Il Ritorno di Mary Poppins non aggiunge nulla di nuovo, non prova nemmeno a sperimentare a livello di tecnologie utilizzate, si limita a diventare un pallido tentativo di imitare il successo del suo ben più interessante predecessore, intrattenendo, certo, ma non riuscendo a ridimensionarsi nemmeno in quello che era il difetto più grande della prima pellicola: la durata. Trattandosi di un prodotto pensato per le famiglie del 2018, si suppone che il film non ecceda in lunghezza. Invece, con la sua lunghezza di oltre due ore, appesantisce e non poco la narrazione, con tanto di canzoni che sembrano eterne.
Insomma, nel tentativo di ricreare le atmosfere del film di Stevenson, il regista Rob Marshall non ha considerato che i tempi di una pellicola del 1962 erano ben diversi da quelli a cui siamo abituati oggi. Marshall ha tuttavia diretto il film con mestiere, ricorrendo ad una regia a tratti ispirata, ma forse non abbastanza. Nonostante questo, sono sicuro che il film verrà apprezzato dal grande pubblico, soprattutto dai più giovani, diventando uno dei maggiori incassi del periodo. E con questa Nostradamusata posso anche concludere.
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