In questi giorni si è conclusa in Giappone l’epopea di uno degli shonen manga più apprezzati e famosi degli ultimi anni: stiamo parlando ovviamente di Shingeki no Kyojin, conosciuto in Italia come L’Attacco dei Giganti. Il manga di Hajime Isayama, che ha esordito nel 2009, si è infatti concluso venerdì con il capitolo 139, che ha segnato la fine delle vicende di Eren Jaeger, Mikasa Ackerman e di tutti gli altri protagonisti della lotta con i temibili Giganti. Per celebrare l’evento, abbiamo deciso di scrivere alcuni speciali per approfondire ed esaminare le principali tematiche e curiosità, oltre alle svariate chiavi di lettura, dell’opera, senza entrare ovviamente nell’ambito degli spoiler, anche e soprattutto perché in Italia manca ancora parecchio tempo prima di arrivare alla fine della serie. Qualora, tuttavia, voleste scoprire cosa è successo nell’ultimo capitolo del manga, vi rimandiamo al nostro riassunto.
In questo primo speciale vogliamo tirare le somme dell’intera serie, andando ad individuare quelli che, per chi vi scrive, sono gli elementi fondanti dell’opera di Isayama. L’Attacco dei Giganti, infatti, pur avendo ovviamente alcuni punti in comune con altre opere a target shonen altrettanto famose, si distingue per alcune peculiarità quasi uniche, se riferite al target di riferimento.
Le avventure (o disavventure, a voi la scelta) di Eren sono infatti ben diverse dal classico shonen manga che siamo abituati a leggere: pur essendo inserito nel target adolescenziale, ed avendone alcuni crismi, Shingeki No Kyojin presenta tematiche e maturità dei contenuti e delle vicende, più tipiche dei seinen, il target dedicato alla fascia d’età più adulta rispetto alla controparte shonen, dedicata, appunto, all’adolescenza. Inoltre, e questo è abbastanza innegabile, L’Attacco dei Giganti è letteralmente un racconto tragico. E da questo vogliamo partire: Shingeki No Kyojin è a tutti gli effetti una tragedia che possiamo dividere in quattro parti o, se vogliamo prendere in prestito la terminologia teatrale, in quattro atti. Ognuno di questi quattro atti spazia tra diversi generi e tratta tematiche sempre diverse, pur mantenendo un’idea di fondo che ci viene svelata attraverso l’evoluzione dei personaggi principali.
La prima fase è senza dubbio un horror: conosciamo la popolazione dietro le Mura, il loro senso di tranquillità interrotto a seguito dell’attacco dei giganti. Questa prima fase, ricca di scene splatter, sangue, mutilazioni, morte e distruzione, ci presenta i primi tre protagonisti, Eren, Armin e Mikasa: mossi da un rapporto di amicizia fraterna che scopriremo ed approfondiremo andando avanti, il trio di amici reagisce in maniera totalmente diversa alla minaccia dei mostruosi giganti. Eren, fin da subito, sceglierà la strada della vendetta e dell’eliminazione della minaccia; Mikasa, legata al ragazzo da un sentimento che fin da subito sembra un misto tra amore e devozione, sceglierà come obiettivo della sua stessa esistenza la protezione di Eren; infine, Armin, il più debole e impacciato del trio, si dimostrerà da subito un personaggio estremamente intelligente, sensibile e, per questo, poco idoneo al clima di terrore e devastazione che circonda gli abitanti del mondo. In questa prima fase horror, siamo circondati da un senso di inquietudine, dal tipico terrore di chi sta guardando o leggendo un’opera ricca di jumpscare, in cui, da un momento all’altro, aspettiamo di vederci dilaniare davanti agli occhi un personaggio a cui ci eravamo affezionati. Questa fase è sicuramente uno dei primissimi motivi dietro all’enorme successo sia del manga che, soprattutto, dell’adattamento animato, che ha avuto il merito di espandere il fandom dell’opera di Isayama ai quattro angoli del mondo, andando ben oltre i lettori di manga (che, per inciso, erano comunque moltissimi ed avevano già decretato un successo straordinario per un’opera che esce decisamente dalle dinamiche del battle shonen).
La seconda fase de L’Attacco dei Giganti è sicuramente quella che va dall’attacco del Gigante Femmina allo scontro con Zeke e l’apertura della cantina di Grisha Jaeger: un atto decisamente lunghissimo, che copre la parte centrale della storia, che vede la crescita di Eren e di tutti i membri dell’Armata Ricognitiva, l’arrivo di personaggi incredibili come Levi e Kenny, l’ascesa di uno dei personaggi più amati di tutta la serie, il comandante Erwin e, soprattutto, mette i nostri giovani protagonisti di fronte a scioccanti rivelazioni che riguardano quattro dei loro fidati compagni del corpo speciale dell’Armata Ricognitiva.
Inoltre, in questa fase, che copre sostanzialmente la seconda e la terza stagione della serie animata, scopriamo il segreto di Christa Lenz e di tutta la famiglia reale. E’ interessante, inoltre, come, soprattutto nel manga, la storia inizi a prendere una piega decisamente politica, che getterà i semi per quello che avverrà in futuro. L’Attacco dei Giganti è, infatti, molto più della storia di umani contro mostri: in maniera non diversa da quanto avviene in un altro acclamato fumetto, The Walking Dead di Robert Kirkman (con il quale Shingeki No Kyojin ha molto in comune per molti versi), la lotta tra l’umanità e il mostruoso nemico è solo un pretesto narrativo per mostrarci altro. E’ lampante la metafora dello scontro generazionale tra gli adulti, rappresentati da chi vuole mantenere lo status quo all’interno delle Mura e le nuove leve, rappresentate in primis da Eren (che, man mano che la storia proseguirà, assumerà sempre più i contorni dell’idealista rivoluzionario) ma anche da personaggi come Erwin e soprattutto Armin, perfetta rappresentazione della sete di conoscenza e della determinazione a fare tutto il possibile per ottenere le risposte che si cercano.
La terza fase, più breve ma fondamentale per l’economia della storia di Isayama, è un flashback che ci spiega diversi retroscena legati a Grisha, il padre di Eren, e ci mostra il vero segreto dei Giganti che, per chi non avesse la più pallida idea di cosa stiamo parlando, non descriveremo, pur consapevoli che, vista la fama della serie, in molti conoscano le vicende legate ai nemici di Eren e dei suoi compagni d’arme. In questa fase troviamo, ancor più che nelle precedenti e in quella successiva, una pesantissima serie di metafore: da un lato, vediamo una popolazione trattata non diversamente da quanto avvenuto agli ebrei durante il nazismo, con chiarissimi riferimenti (basti pensare ai cognomi, tipicamente tedeschi, come Braum, Jaeger, Ackerman, Krueger) alla Germania nazista, anche dal punto di vista del design. Inoltre, in questa terza fase, ancora più che nelle precedenti, ci viene mostrato quello che, sostanzialmente, è il messaggio principale di Shingeki No Kyojin: non esiste il bene assoluto, così come non esiste il male assoluto; l’idealismo, per quanto possa nascere dai più nobili propositi, può sfociare facilmente nel fanatismo e nella tragedia. Infine, ancora più fondamentale, lo scontro tra passato e presente e le conseguenti incomprensioni, sia nel mondo di Eren che nel mondo reale, sono la principale causa di guerre e tragedie. Il fatto che a raccontarlo sia un autore del Giappone, paese dove questo scontro generazionale e questo dualismo tra isolazionismo e apertura al mondo sono ancora oggi problemi non completamente superati, rende il tutto ancora più apprezzabile, e da un valore aggiunto ad una storia emozionante ed orchestrata in maniera quasi perfetta.
Il quarto atto è invece, contemporaneamente, il meno riuscito ed il più emozionante: la cavalcata verso il finale della storia è poderosa, l’evoluzione del personaggio, ma soprattutto della figura, di Eren, all’interno delle vicende, le sue scelte, le sue contraddizioni ed ogni sua azione portano ad un capitolo finale che non ha accontentato tutti, ma che, e questo non è così scontato nel panorama fumettistico seriale nipponico, mantiene una coerenza quasi perfetta. Non accade di rado, infatti, che grandi opere, specialmente se di lunga durata, abbiano qualche calo nel finale: se pensiamo a Naruto, a Bleach, a Shaman King, Death Note e altri titoli amatissimi, spesso parliamo di opere clamorose con qualche passo falso nel finale. Da questo punto di vista, L’attacco dei Giganti non delude, anzi. E’ vero, qualche personaggio che pensavamo fosse fondamentale viene messo in secondo piano, alcune vicende per cui molti avrebbero voluto spiegazioni vengono chiuse in fretta e dimenticate ma, proprio da questo punto di vista, Shingeki No Kyojin assomiglia a The Walking Dead: anche nella saga creata da Robert Kirkman abbiamo un finale che salta a piè pari spiegazioni attese, ma non necessariamente fondamentali, e che ci porta dritti ad una conclusione che, se narrativamente potrebbe far storcere il naso a qualcuno, a livello di messaggio non ha difetti, perché The Walking Dead non è una storia che parla di umani contro zombie così come L’Attacco dei Giganti non è una storia sugli esseri umani che si scontrano con i mostri, ma è “semplicemente” una storia sull’umanità.
Lo scontro con i Giganti, i combattimenti, la politica, i plot twist e l’evoluzione nei rapporti dei nostri amati protagonisti sono solo la tela sulla quale Hajime Isayama dipinge la propria visione dell’esistenza, del conflitto generazionale, della libertà e dell’idealismo, dell’amicizia e dell’amore, della dedizione e del sacrificio e dell’incomprensione: in poche parole, della vita nella sua totalità.