[ALLERTA SPOILER: spoiler riguardanti i primi sette numeri di Doomsday Clock saranno presenti in questo articolo, inoltre, sono presenti spoiler riguardanti Watchmen, un fumetto di circa trent’anni fa che, comunque, dovreste aver letto…]
[N.D.R. per chi non lo sapesse, “Mister blue sky please tell us why“, è una citazione della canzone “Mr. Blue Sky” degli Electric Light Orchestra]
Nonostante “Doomsday Clock” si sia fin ora dimostrato non solo una lettura avvincente, ma anche un’opera degna di essere affiancata a “Watchmen“, la serie non ha ancora prodotto tutto quel che i lettori hanno agognato fin dall’inizio della serie, al meno fino a questo settimo albo.
A causa dell’inevitabile contrasto tra il concetto di “figura divina legata a doppio filo con l’umanità” rappresenta in modo differente sia da Superman che dal Dottor Manhattan, la presenza di entrambi i personaggi è stata, fin ora, a dir poco sporadica.
Ora che la serie ha superato la metà, essa comincia a cambiare, spostando il focus su colui che è stato fin dall’inizio l’occulto protagonista di Doomsday Clock. Il Dottor Manhattan infine diventa un personaggio attivo durante le vicende della serie, offrendo nuove e avvincenti intuizioni sul modo in cui i suo poteri hanno rimodellato un intero universo.
Uno dei punti di forza di Doomsday Clock è di certo il modo in cui la serie replica così fedelmente l’atmosfera e l’estetica di Watchmen nonostante il team creativo non sia quello dell’opera originale. Parte del merito va sicuramente attribuito alla complementarità degli stili artistici di Gary Frank e Dave Gibbons. Entrambi i disegnatori impreziosiscono ogni loro tavola con dettagli e sfumature che completano e ampliano il comprato narrativo.
Il lavoro di Frank ha anche il merito di essere in perfetta sincronia con il comparto narrativo curato da Geoff Johns. La perfetta collaborazione, tra questi due pesi massimi del mondo della nona arte, ha prodotto uno storytelling indistinguibile da quello di Watchmen. Doomsday Clock eccelle dunque nel mostrare l’ironica giustapposizione di narrazione e immagine: qualcosa che funziona solo quando lo scrittore e il disegnatore lavorano in piena sincronia.
Questo albo è forse il più Watchmen-esco tra quelli pubblicati finora. Ciò è dovuto alla volontà di Johns di riproporre e ricontestualizzare parti delle linee di dialogo del Dottor Manhattan tratte da Watchmen # 4.
Oltre ad entrare nella narrazione in modo significativo, Manhattan fornisce un apporto significativo nel chiarificare gli eventi portanti di Doomsday Clock. L’onnipotente uomo atomico mostra al lettore la visione dell’universo (o di più universi) attraverso occhi che trascendono l’ordine lineare di tempo e spazio.
Tuttavia, questa volta non sarà il Dottor Manhattan a vestire i panni di Virgilio. A narrare gli eventi che hanno trasformato un uomo in un super-uomo sarà Jon Osterman (che, per chi non lo sapesse, è il vero nome di Manhattan) e a cavallo di tale racconto, apprenderemo i primi dettagli su come egli abbia alterato il corso della storia dell’universo DC.
La sottile linea che separa il bene e il male in Doomsday Clock non può essere marcata tanto quanto non lo era quella tracciata da Alan Moore in Watchmen. Nonostante ciò, questo albo ci mostra una nuova sfumatura oscura del blu in cui è intriso il Dottor Manhattan. Egli sembra non avere alcuna comprensione o interesse del danno provocato ad un intero universo, ma forse ciò vuole solo essere una rappresentazione esasperata del distacco caratteristico della figura dello scienziato/ricercatore.

Il team-up Johns/Frank si conferma ancora una volta degno di essere alle redini di quella che, senza dubbio, diverrà una delle saghe fumettistiche più iconiche mai pubblicate.
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