Pokémon: Detective Pikachu di Rob Letterman – Benvenuti a Ryme City | Recensione

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Pokémon Detective Pikachu

Circa 20 anni fa arrivò nei negozio di tutto il mondo la primissima coppia di giochi Pokémon, diventando da lì a poco uno dei franchise videoludici di maggior successo della storia. Sin da quel momento tutti i giocatori ed appassionati dei mostriciattoli tascabili sognavano di vedere i loro Pokémon preferiti prendere vita in una pellicola live-action, che avrebbe catapultato Pikachu e tutti i suoi amici nel mondo reale. Ci sono voluti due decenni, ma finalmente il sogno di molti si è avverato, o almeno in parte. Si perché l’ultima fatica di Rob Letterman, già regista di altre pellicole d’intrattenimento per ragazzi come Mostri Contro Alieni e Piccoli Brividi, non porta al cinema il classico modello di Pokémon che tutti conosciamo, fatto di avventure e lotte tra allenatori come nel videogioco o in altri prodotti derivati, come anime e manga, bensì un capitolo spin-off della serie uscito nel 2016, ovvero Detective Pikachu.

La trama di Pokémon: Detective Pikachu attinge a piene mani da quella dell’omonimo videogioco. La pellicola è ambientata nella moderna metropoli di Ryme City, città creata dal visionario Howard Clifford (Paul Kitson), dove umani e Pokémon vivono insieme in perfetta armonia tra loro. La misteriosa scomparsa di Harry Goodman, un brillante investigatore privato, e del suo partner Pokémon, spinge il figlio Tim (Justice Smith) a recarsi nella metropoli. Qui Tim farà la conoscenza dell’ispettore Yoshida (Ken Watanabe), un fidato collega di suo padre, che gli affiderà le chiavi del suo appartamento così da permettergli di svuotarlo. È proprio nell’appartamento che Tim incontrerà per la prima volta un esemplare di Pikachu (Ryan Reynolds) molto intelligente, dalle doti da investigatore ed ex-partner Pokémon di suo padre, del quale solo Tim può comprendere un linguaggio parlato. Pikachu non ricorda nulla dell’incidente ma è sicuro di una cosa: Harry è ancora vivo e sarà compito suo e di Tim investigare sull’accaduto per ritrovarlo.

Trasporre al cinema un videogioco non è mai stata un’arma vincente, molti sono quelli che ci hanno provato e tutti, o quasi, hanno fallito miseramente. L’impresa di Letterman sulla carta era ancora più difficile, poiché in questo caso non si trattava semplicemente di realizzare un semplice film tratto da un videogioco. Portare suo grande schermo un mondo così ampio e variegato, puntando a realizzare sotto forma realistica animaletti di fantasia a tal punto da renderli plausibili e vivi, non era certo cosa facile. Questo era forse l’elemento più complesso, e senza ombra di dubbio risulta il più riuscito della pellicola. I Pokémon sono ben realizzati mediante l’utilizzo della computer grafica mista alla creazione di modelli reali dei Pokémon principali. Tralasciando due casi, ovvero un Gyarados in cui si nota un pesantissimo uso del green screen, e uno Snorlax che sembra praticamente attaccato sulla pellicola alla meglio, il lavoro fatto sulle animazioni e sulla cura dei dettagli è davvero notevole. I mostriciattoli tascabili sono curati e verosimili nel contesto in cui vengono inseriti, risultando per buona parte della pellicola vivi e indipendenti. Ad esempio sarà facile notare un Growlithe annusare l’ambiente circostante come il più tipico dei cani.

Se il lato visivo della pellicola ci ha convinti, non possiamo dire lo stesso della sceneggiatura, su cui pesa come un macigno il target a cui è indirizzata. Sia chiaro, la pellicola è godibile, le battute strappano qualche sorriso e vi sono anche alcuni buoni momenti, ma il tutto risulta fin troppo piatto, lineare, scontato e privo di reali colpi di scena. Come nel più classico dei film per ragazzi, i personaggi non vengono ben dettagliati, ci vengono presentati sfruttando i più disparati cliché del genere, per poi essere lasciati lì senza essere mai esplorati un po’ più affondo. Anche i dialoghi non sono da meno, monotoni e scontati, che sano ampiamente di già sentito, funzionano invece bene le battute, che alternano ironia altamente autoreferenziale, dedicata ai fan del franchise, alla comicità slapstick. Questo mette i fan di lunga data come il sotto scritto ancora una volta difronte alla nuda realtà, noi non siamo più il pubblico di riferimento per The Pokémon Company, non siamo noi l’utente su cui puntano maggiormente, ma le nuove generazioni di  bambini e ragazzi a cui una trama semplice e la presenza dei Pokémon basta e avanza. Sarebbe stupido dunque da parte mia protrarmi oltre nell’analizzare nel dettaglio elementi tecnici, propinandovi una filippica inutile e alquanto fuori luogo sulla pellicola, che risulterebbe come analizzare un film di Disney Channel come se ci trovassimo difronte a 2001: Odissea nello Spazio.

In conclusione, Pokémon: Detective Pikachu è un film sufficiente, che fa del suo portare per la prima volta sul grande schermo in modo dignitoso i mostriciattoli tascabili creati da Satoshi Tajiri la sua arma vincente. In molti hanno tentato di far vita ad un videogioco, prendendo a che soggetti estremamente più facili da trasportare ma fallendo miseramente, non è però questo il caso, Ron Letterman riesce a confezionare un film d’intrattenimento per ragazzi godibile, consigliato sicuramente ai giovani amanti dei Pokémon, che però potrebbe far breccia anche nei cuori dei vecchi amanti del franchise che vedranno realizzare il sogno di una vita. Pokémon: Detective Pikachu è stato un buon esperimento, riuscito solamente in parte, che però per il futuro potrebbe aprire le porte ad altre pellicole dedicate al mondo Pokémon.